La famosa requisitoria dell’on.le Ferrari tra i banchi della scuola
Nella mattinata di domani gli alunni della Scuola Media insieme all’Associazione “Pontelandolfo città martire”, ascolteranno la voce della famosa requisitoria dell’on.le liberale Giuseppe Ferrari che tuonò tra i banchi del Parlamento nella Tornata del 2 dicembre 1861 a Torino, esattamente 154 anni or sono. Riportiamo alcuni significativi passaggi di quel discorso che sancì già in quel tempo, all’indomani dell’Unità d’Italia, la perentoria condanna all’esercito piemontese per l’efferato eccidio di Pontelandolfo commesso il 14 agosto 1861 commesso contro una popolazione inerme: “Io ho dovuto intraprendere un viaggio per verificare il fatto cogli occhi miei – aprì il suo discorso l’on.le Ferrari -. Ma io non potrò mai esprimere i sentimenti che mi agitarono in presenza di quella città incendiata. Mi avanzo con pochi amici, e non vedo alcuno; pochi paesani ci guardano incerti … destra, a sinistra le mura erano vuote e annerite, si era dato il fuoco ai mobili ammucchiati nelle stanze terrene e la fiamma aveva divorato il tetto; dalle finestre vedevasi il cielo. Qua e là incontravasi un mucchio di sassi crollati; poi mi fu vietato il progredire; gli edifizi pontellati minacciavano di cadere ad ogni istante … chi può dire i dolori di quella città! E quando volli vedere più addentro lo spettacolo celato delle afflizioni domestiche, mi trassero dinanzi il signor Rinaldi, e fui atterrito … Aveva due figli, l’uno avvocato, l’altro negoziante, ed entrambi avevano vagheggiato da lontano la libertà del Piemonte, ed all’udire che approssimavansi i Piemontesi, che così chiamasi nel paese la truppa italiana, correvano ad incontrarli. Mentre la truppa procede militarmente, i saccomanni la seguono, la straripano, l’oltrepassano, e i due Rinaldi sono presi, forzati a riscattarsi, poi, dopo tolto il danaro, condannati ad istantanea fucilazione … L’uno di essi cade morto; l’altro, viveva ancora con nove palle nel corpo; e un capitano gittavasi a ginocchio dinanzi ai fucilatori per implorare pietà; ma il Dio della guerra non ascoltava parole umane e l’infelice periva sotto il decimo colpo tirato alla baionetta … Invero noi non abbiamo perduti i nostri amici, e giacché ho citato Rinaldi, io vi ripeterò le parole che mi disse: non domando niente, non mi lamento di nulla. Gli amici della libertà sono pronti ad ogni perdono; ma essi vi guardano e attendono molto da voi … Io finirò richiamandovi che il tempo è giunto di riconoscere la situazione, e di riconoscerla solennemente. Nulla di grave; non ci sono piaghe insanabili; ma qualcosa vi è da sanare, ed è la vostra politica”. Quelle parole, con tanta rabbia esternate, non furono ascoltate. Eppure, come ha poi scritto Gian Antonio Stella in occasione del 150° dell’eccidio: “Lui, patriota italiano ma indisponibile al patriottismo ottuso e cieco, aveva già chiaro tutto: era un errore stendere un velo di silenzio sul massacro degli abitanti di Pontelandolfo commesso dai bersaglieri”.
Gabriele Palladino