La chiamano “operazione verità”!

La chiamano “operazione verità”!
Questo è il mio commento (pubblicato in calce all’articolo):”Il problema qui è che non si tratta di essere o meno neoborbonici né di stabilire se i morti fossero stati dieci, cento o mille, ma di rendersi conto che, qualunque fosse l’atteggiamento del popolo meridionale (e qui ci sarebbe molto da dire), uno stato cosiddetto amico (non dimentichiamo che la regina Maria Cristina era una Savoia) non può invadere, senza una formale dichiarazione di guerra, un altro stato! Se il meridione fosse stato così disposto all’unità, come si spiegherebbero i fallimenti delle spedizioni dei fratelli Bandiera e di Carlo Pisacane? La Sicilia? La Sicilia è sempre stata una regione fiera e poco incline ad essere dominata (non dimentichiamo che Salvatore Giuliano incarnerà addirittura una spinta annessionistica agli USA…). L’articolo parla dei 9000 di Liborio Romano, ma l’autore lo dice che i capi di quei 9000 erano camorristi (così come Garibaldi fruì dell’appoggio mafioso in Sicilia)? Il meridione era favorevole all’unità perché lo hanno stabilito i plebisciti? Andate a vedere cosa sono stati quei plebisciti e poi tacete, per favore. Si ironizza sulla linea Napoli-Portici, ma si sa quante industrie fiorenti furono chiuse al mezzogiorno per scongiurare la concorrenza con quelle settentrionali? Si sa che in Calabria, per la precisione a Mongiana, c’era una delle più grandi ferriere ed acciaierie d’Europa? Che con il suo ferro fu costruito il ponte sul Garigliano, primo ponte sospeso in metallo dell’Europa Continentale? Ma la cosa più grave, che la storia sembra ignorare, è che con l’annessione nacquero la questione meridionale (lo dice Gramsci in primis, eh?), la discriminazione nei confronti dei meridionali (ancora si discute se mantenere quell’osceno museo a Cesare Lombroso!?), la piaga dell’emigrazione, che ancora continua…”


 

“Un’operazione verità sul Risorgimento, non è esistito un Sud passivo”
Colloquio con Dino Messina, autore di “Italiani per forza. Le leggende contro l’unità d’Italia che è ora di sfatare” (Solferino): “Non è per demonizzare i neoborbonici, ma per ristabilire la verità dei fatti”

By Stefano Baldolini

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Garibaldi
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Le fake news non risparmiano neanche l’unità d’Italia. Con il rischio di creare nuove divisioni e il solito qualunquismo. E di costruire una falsa verità, come quella di un Risorgimento imposto dal Nord e non condiviso con l’anima meridionale. Lo sostiene Dino Messina, firma del Corriere e autore di libri storici nel suo Italiani per forza. Le leggende contro l’unità d’Italia che è ora di sfatare (Solferino).

”Una inchiesta giornalistica sull’unità d’Italia” che celebra i 160 anni il 17 marzo prossimo, e che già nel 150esimo, ha visto “una vasta pubblicistica e tante iniziative anti unitarie, tradizionalistiche, cosiddette neoborboniche. Con contenuti a volte legittimi, a volte inventati”. Dino Messina, lucano ma da 50 anni a Milano, tanto “da non sapere più cosa sia ora”, ci tiene a dire che “non è sua intenzione demonizzare la visione tradizionalista dei neoborbonici, ma un lavoro per ristabilire la verità dei fatti”.

Il primo dei luoghi comuni da sfatare è che l’unità d’Italia sia stata imposta dall’alto.

Non c’è un Sud passivo che si sottomette a una guerra di conquista da parte del Nord. Dalla consorteria napoletana riunitasi a Torino attorno a Cavour che avrebbe imposto al Meridione la ‘regola’ piemontese. In parte è vero che la guerra di conquista c’è stata, però è altrettanto vero che il regno borbonico era già attraversato da una forte corrente unitaria, liberale, costituzionale. Dalla rivoluzione partenopea del 1799, al 1860, come ha sostenuto lo storico Carmine Pinto, c’è stata una lunga guerra civile durata 60 anni segnata anche da aperture costituzionali poi soffocate, come nella repressione del 1848. Questo conflitto interno alla società meridionale si innesta sulla impresa dei Mille e sulla conquista regia. Per dire, quando Garibaldi arriva a Salerno, Liborio Romano aveva organizzato 9000 guardie nazionali. C’era l’insurrezione lucana. La Sicilia era ‘antiborbonica’ in tutti i suoi gradi.

Poi c’è la congiura massonica al soldo delle potenze europee.

Le potenze europee fecero il loro gioco, certo. Ma fino al 1859 fecero anche proposte di riconciliazione a Ferdinando delle Due Sicilie, che però rifiutava ogni apertura e finiva per contribuire al suo isolamento. Cosa che lo spregiudicato e intelligente Cavour aveva capito partecipando invece alla guerra di Crimea per entrare nel ‘Grande gioco’.

Era un regno in difficoltà, tuttavia meno messo male di quanto si narra? Anche l’“esercito di Franceschiello” è leggenda?

Sì lo è. Quello dei Borboni era un regno che stava implodendo, con un esercito potente e molto importante, ma mal gestito. Dopo la battaglia del Volturno poteva contare ancora su 50mila soldati disposti al sacrificio, si pensi alla resistenza di Gaeta. Comunque l’esercito borbonico – che deve essere inglobato da quello italiano – assume un ruolo centrale nella narrazione di quei giorni drammatici. La celebre frase, “esiste un solo Dio e un solo Re”, pronunciata dai soldati ammassati nel castello sforzesco, venne ripresa dai giornali cattolici Armonia e Civiltà Cattolica, gesuita, e diventa lo slogan dei legittimisti. Ma non viene citato quello che aggiungono dopo il cui senso era: “Lasciateci andare a casa, e una volta ristabilito l’ordine, arruolateci”. Non c’era opposizione, non poteva esserci, una volta sconfitti e senza Francesco II. Poi dopo Volturno e dopo Capua, alla fine del 1860, c’è stata una fase breve ma drammatica con migliaia di soldati trasferiti a Genova, poi trasferiti in vari forti, tra cui il famigerato Fenestrelle, in Val Chisone.

E qui arriviamo a una delle fake news sul Risorgimento più diffusa.

La leggenda nera del lager di Fenestrelle è significativa. In quel posto oggettivamente duro, esposto al gelo delle Alpi, il 9 novembre del 1860 si presentano 1186 soldati borbonici. Sono laceri, stanchi, affamati e malati. Sono dei prigionieri ma vengono accolti con l’ordine di vestirli e sfamarli come dei soldati normali. Alcuni di questi non ce la fanno, e nei primi giorni ne muoiono in 5. Dopo alcuni anni, ne muoiono altri 40. Ma questa cosa è stata trasformata in un eccidio di 40 mila soldati. Per fortuna ci sono stati libri come Le catena dei Savoia di Bossuto e Costanzo e I prigionieri dei Savoia di Alessandro Barbero che hanno dimostrato che c’è stata sofferenza, ma non era un lager. Certo, erano luoghi estremi, di punizione dove venivano mandati gli indisciplinati, luoghi che si sono prestati al fiorire di altre leggende come ‘quella della calce’.

Ce la racconti.

C’è una vasca addossata a una chiesa di Fenestrelle dove durante gli assedi, per evitare il dilagare delle infezioni, i morti venivano ricoperti di calce in attesa della sepoltura. Altra cosa che essere bruciati e gettati nella calce, come raccontato in seguito. Peraltro queste cose sono state tutte documentate dai verbali dello stato sabaudo che era pignolo, e segnava tutto. Ma le leggende nere non si limitano a Fenestrelle. C’è quella del paese sannita Pontelandolfo, incendiato dal generale Cialdini nell’agosto del 1861 come rappresaglia per la strage di 41 militari uccisi dai briganti e dalla popolazione. Qui si arriva a sostenere, Pino Aprile in primis, un eccidio di 400 o 1.400 persone. Mentre in realtà le vittime della rappresaglia furono 13. Nonostante questo, si è arrivato a paragonare Vittorio Emanuele a Hitler e Cialdini a Kappler, e anche in virtù di campagne fondate sulla fantasia, arrivate persino in Parlamento, Giuliano Amato andò a chiedere scusa e a deporre una lapide con le parole dell’allora presidente della Repubblica Napolitano.

Dovremmo parlare della diffusione di queste teorie, di come hanno fatto a propagarsi con tanta efficacia.

Il primo articolo che istituisce il parallelismo tra la Germania hitleriana e il Piemonte sabaudo è del ’93, poi c’è stato Fulvio Izzo con il suo I lager dei Savoia e Terroni di Pino Aprile. Nel dopoguerra ci fu la trilogia revisionista di Carlo Alianello, che negli anni ’70-80 divennero persino sceneggiati Rai. La cosa curiosa degli anni ’70 è che la vulgata revisionista univa estrema destra ed estrema sinistra. Ma il boom delle fake news è dai Novanta in poi grazie a Internet che ha fatto diventare virali molte storie false. La Rete oggi pullula di gruppi e gruppuscoli cosiddetti neoborbonici, pagine facebook dedicate. Comunità che si sono autoalimentate nel vuoto lasciato dalla pigrizia della storiografia ufficiale, che solo ultimamente ha ripreso vigore. Le fake news sono oggi alla base della vulgata del Sud tradito, derubato, vittima, che nasconde una grande delusione e una grande sconfitta storica del Meridione. Il vittimismo fa gioco a una classe dirigente e politica che, finita l’esperienza della Cassa del Mezzogiorno, è stata incapace di colmare il gap economico e sociale con il Nord.

E’ stato anche un brodo di coltura dei populisti? Croce definì la nostalgia del regno dei Borboni “romanticismo legittimistico” e nel 1960 la Stampa parlava di “ennesima manifestazione di quel malumore, un po’ anarcoide, di quella vaga protesta di quel fluttuante malcontento meridionale, che a volta a volta animò il qualunquismo di Giannini, il mito di Achille Lauro, il successo del Msi”. Siamo ancora lì?

Certamente, non è un caso che la proposta di un giorno della Memoria per le vittime meridionali del Risorgimento sia partita da rappresentanti pugliesi dei 5 stelle. Ma era il MoVimento delle origini, ancora non ‘normalizzato’ che vediamo oggi. Quello del revanchismo meridionale, negli anni ’90, fu una dinamica uguale contraria alla spinta della Lega di Bossi. Sono spinte al qualunquismo e alla disunità che, almeno sinora non hanno prodotto risultati eclatanti. Ma è veleno che circola nel Paese e che innesca processi politici negativi, specialmente ora che la distanza tra Sud e Nord si è riallargata drammaticamente. E questo è paradossale visto che effettivamente nel 1861 la differenza di Pil tra le due aree era minore di oggi.

Quindi un po’ di verità nella leggenda del “Paese del Bengodi”, del Sud preunitario, c’è.

Che la ricchezza fosse a livelli simili non è del tutto sbagliato, ma le differenze strutturali che produrranno poi percorsi divergenti erano altre e molto importanti: nelle infrastrutture, nell’analfabetismo, nella propensione all’industrializzazione. Il punto non è l’eterno racconto del primo treno della penisola, il Napoli-Portici, ma di quanti km di binari disponesse il Sud rispetto al Nord. Poi va aggiunto che la differenza vera era, ai tempi dell’Unità, tra la penisola tutta e il resto d’Europa. Ma il problema è un altro.

Prego.

Il problema – e il senso del mio libro d’inchiesta – è che si costruisce una Storia d’Italia fondata su falsi dati. Che non è giusto dire che non c’è stato un Risorgimento meridionale. Che non è vero che nella guerra la brigantaggio non sono state 600mila vittime. Che non si possono paragonare i piemontesi ai nazisti. Ma vorrei anche precisare una cosa: il mio non è un lavoro contro i neoborbonici, non è un pamphlet contro di loro. Anzi, gli ho dato anche voce, ho voluto sentire le loro ragioni e le loro fonti, ed esporre le mie.

E li ha convinti che i loro numeri, le loro teorie, sono sbagliate?

No.

https://www.huffingtonpost.it/entry/sul-risorgimento-serviva-unoperazione-verita-non-e-esistito-un-sud-passivo_it_6041140fc5b6d7794ae4bc38

www.mondadoristore.it