La cappa che opprime e cancella

𝐋𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐩𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐨𝐩𝐩𝐫𝐢𝐦𝐞 𝐞 𝐜𝐚𝐧𝐜𝐞𝐥𝐥𝐚
Ho dedicato molte pagine de La Cappa, dedicato alla critica del presente, per approfondire il tema della cancel culture e il suo antefatto, il politically correct

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La cappa che opprime e cancella

Ho dedicato molte pagine de La Cappa, dedicato alla critica del presente, per approfondire il tema della cancel culture e il suo antefatto, il politically correct. Il male principale di entrambi è la riduzione della storia al presente, del diverso al conforme, della realtà allo schema ideologico. La cancel culture che va tradotto come cancellazione della cultura e non come fanno taluni cultura della cancellazione, perché è fenomeno barbarico, è l’incapacità di affrontare mondi diversi, parametri diversi dai propri, di capire che ogni epoca ha i suoi metri, nessuno può elevarsi a giudice finale di ogni altra epoca e cultura. E le grandezze e le infamie non si misurano solo col metro piccino del nostro manicheismo vigente.

La cancel culture è l’estensione retroattiva del politically correct, che invece si accanisce sui comportamenti, i linguaggi e i costumi presenti. Ho definito il politically correct come il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo in assenza di religione e l’antifascismo in assenza di fascismo. Lo scopo dichiarato in origine era tutelare le minoranze più deboli e oppresse, ma si è via via capovolto, fino a creare una corazza d’immunità cioè di non criticabilità per alcune categorie (gay, trans, rom, neri, femministe, ecc.), un suprematismo rovesciato, per accanirsi infine verso tutto ciò che non rientra in quelle diversità protette: a partire dalla famiglia, dai popoli, dall’uomo comune. Ma funziona anche da terribile “livella” perché punisce e deprime ogni eccellenza, ogni grandezza, ogni bellezza. Il politically correct uccide la realtà e demotiva ogni ricerca di qualità, di verità, di eccellenza. Ne La Cappa ho tradotto questi nuovi canoni d’ipocrisia in una vera e propria manipolazione culturale, in una fabbrica delle opinioni preconfezionate e soprattutto ho ravvisato la censura che ne deriva nei confronti di chi non si allinea. Viviamo un ritorno della censura, del controllo, della sorveglianza che si accanisce sulle opinioni libere, sui giudizi storici divergenti dai pregiudizi, sulle difformità di canoni e pensieri. E se questa ondata repressiva viene poi coniugata ai dispositivi d’emergenza approvati ora per la pandemia ora per la guerra in Ucraina, i risultati sono un regime di sorveglianza e l’anticamera di un sistema totalitario, seppur con l’apparenza retorica della democrazia liberale. Siamo scivolati dalla società aperta alla società coperta. La censura è inaccettabile, per le falsità, le calunnie e le diffamazioni bastano i codici civili e penali. Più difficile si fa invece la domanda sui possibili rimedi, sulle possibili risposte a questa dominazione “globalitaria”. Perché è in gioco l’egemonia ideologica imposta ormai da decenni, in senso radical-progressista che sovrasta la società come una cupola, anche in senso mafioso; e sono in gioco i nessi, le relazioni fortissime tra quella egemonia e i poteri legati al regno dell’informazione, della comunicazione, della cultura ma anche alla magistratura, all’establishment economico-finanziario e burocratico-dirigenziale. Quella saldatura, quel blocco, impedisce di opporre una cultura civile e una sensibilità diversa. Anche se, va pure detto, non esistono forze organizzate, tantomeno partiti, che abbiamo perlomeno tentato di costruire reti, strutture e racconti alternativi. Manca la sensibilità, la lungimiranza, la strategia per una organica risposta a quel predominio. Non resta allora che l’uso dell’intelligenza a livello personale e di gruppi. Per perforare la Cappa occorre la spada dell’intelligenza, del pensiero critico e di chi non si accontenta di quel che somministra il convento. La Cappa e la spada, per usare un linguaggio mitico. E con quella spada dare l’assalto al cielo, stavolta non per far venire giù gli dei e abbattere ogni principio superiore, ma per sgombrarlo dalla coltre di ipocrisia, uniformità e sorveglianza che ci opprime e impedisce di vedere liberamente e interamente il cielo.

Formiche, n.179 (aprile 2022)