Italiani, neoborbonici e briganti nella Guerra per il Mezzogiorno: «Le aree interne sono state centrali nella connotazione del fenomeno»
Il brigantaggio fu l’eroica resistenza meridionale al colonialismo sabaudo o la sfida allo Stato di bande criminali? Da questo interrogativo comincia il ragionamento storico contenuto nel saggio (edizioni Laterza) di cui è autore il Professore Carmine Pinto – ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Salerno, si è occupato di sistemi politici del Novecento e di guerre civili e movimenti nazionali nel XIX secolo – che sarà presentato ad Avellino il 5 ottobre al Circolo della Stampa: dal 1860 al 1870 l’analisi di un fenomeno plurisecolare che attraversa il Meridione, ne abbiamo parlato con l’autore
Il brigantaggio fu l’eroica resistenza meridionale al colonialismo sabaudo o la sfida allo Stato di bande criminali?
Da questo interrogativo comincia il ragionamento storico contenuto nel volume La guerra per il Mezzogiorno (edizioni Laterza) e si dipana tra le figure di italiani, neoborbonici e briganti. L’autore è Carmine Pinto, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Salerno. Si è occupato di sistemi politici del Novecento e di guerre civili e movimenti nazionali nel XIX secolo.
Sarà presentato ad Avellino il 5 ottobre al Circolo della Stampa – ore 17 – con un’introduzione del presidente del centro di ricerca Guido Dorso di Avellino, Luigi Fiorentino. A coordinare il tavolo di discussione e approfondimento ci sarà il Professore Francesco Barra, insieme all’autore interverranno Ermanno Battista e il Professore Marco Meriggi.
Pur prendendo in esame gli anni che vanno dal 1860 al 1870, nel libro si analizza un fenomeno plurisecolare quello del banditismo e lo si fa ampliando il quadro sia dal punto di vista sociale che geografico, fino alla dilatazione cronologica.
Sempre esistito nel Mezzogiorno, ha cambiato colori e bandiere, è stato guerra e rivoluzione, fino ad essere brigantaggio politico e braccio armato di fazioni rivali: «Racconta come l’Italia ha combattuto nel Mezzogiorno il primo conflitto della sua storia come nazione unita – ci spiega il Professore Pinto – non è stato, secondo la mia interpretazione, né una resistenza eroica, né una sfida allo Stato da parte di bande criminali. E’ stato un conflitto tra il Movimento Nazionale Italiano per fare definitivamente una nazione, è stato il tentativo politico di sopravvivere come attore istituzionale e il brigantaggio come vecchia permanenza dell’antico regime, del mondo feudale, che trovò in questo conflitto la sua ultima possibilità di esistenza e di affermazione».
La guerra per il Mezzogiorno concluse la crisi del Regno delle Due Sicilie, determinò il successo dell’unificazione italiana e marcò la complicata partecipazione del Mezzogiorno alla nazione risorgimentale. Iniziò nel settembre del 1860, dopo il successo della rivoluzione unitaria e garibaldina, e si protrasse per un decennio, mobilitando re e generali, politici e vescovi, soldati e briganti, intellettuali e artisti. Non fu uno scontro locale, perché coinvolse attori politici e militari di tutta la penisola e d’Europa, ma non fu neppure una guerra tradizionale: i briganti, le truppe regolari italiane, i volontari meridionali si sfidarono nelle valli e nelle montagne in una guerriglia sanguinosa, del tutto priva dei fasti risorgimentali. Si mescolarono la competizione politico-ideologica tra il movimento nazionale italiano e l’autonomismo borbonico; l’antico conflitto civile tra liberalismo costituzionale e assolutismo; la lotta intestina tra gruppi di potere, fazioni locali, interessi sociali che avevano frammentato le città e le campagne meridionali.
La guerra di brigantaggio non è ricordata per battaglie importanti o grandi operazioni, ma per il ruolo e il controllo svolto dalla popolazione civile. Le aree interne in questo si rivelarono centrali: «Fu combattuta principalmente nelle aree interne del Sud, perché Borbonici e Briganti non ebbero mai la forza di mettere in discussione il successo italiano nel controllo di Napoli e degli altri Capoluoghi e quindi anche per motivi politico-militari la guerra di brigantaggio si connota per i combattimenti nelle aree rurali, recuperò la dimensione tradizionale nelle relazioni e nella mentalità».
Questo libro, per la novità di materiali e documenti usati e per la vastità delle ricerche compiute, offre una prospettiva sulla guerra di brigantaggio che innova interpretazioni fino a oggi date per acquisite. Una monografia di sintesi esposta con metodo e in maniera coerente, capace di collegare al fenomeno anche temi relativi alla fine del regno delle Due Sicilie e alla nascita di una nazione, ma di indagare la cultura della gente del Meridione, il che ci porta alla genesi della questione meridionale.
Eppure non è una lezione da cui imparare per il futuro, è la storia di un momento decisivo per l’Italia. Le vicende certo non sono attuali, ma hanno a che fare con l’identità: «Non c’è alcun dubbio che il Mezzogiorno da allora abbia subito profonde trasformazioni – conclude il professore Pinto – quello che è oggi non ha nulla a che vedere con quello che era nel 1862. Banalmente, la mia opinione è che la storia così lontana da noi sia affascinante e allo stesso tempo utile per comprendere i processi del passato, quella storia della cultura e delle istituzioni che solo in questo modo è possibile ricostruire, ma è scorretto utilizzare materiali storici inattuali per giustificare o legittimare azioni politiche nel presente».
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