«Italiani, brava gente?» di Angelo Del Boca non è una novità editoriale. Edito nella veste dei tipi della Biblioteca Editori Associati di Tascabili, è produzione del 2014, alla sua 12ª edizione nel 2021. Le numerose edizioni dicono del successo di un libro, che dovrebbe essere presente, a mo’ di livre de chevet, in ogni casa italiana. Perché le sue pagine costituiscono il salterio dei nostri peccati politici, commessi laddove nell’ultimo secolo un piede nostrano ha lasciato la sua orma, non disdegnando di massacrarci fra noi con inaudita violenza, prediligendo la tortura di italiani su italiani, dentro i nostri confini ed esportando la nostra malvagità dall’Africa alla Russia, dalla Croazia alla Slovenia, dall’Albania alla Grecia, fino alla Cina. Anche in Cina siamo stati, e con la concessione di Tien – T – sin, premio ricevuto per la nostra partecipazione alla cosiddetta «guerra dei boxer», una concessione conservata fino alla fine della seconda guerra mondiale. Posti del mondo in cui facemmo le solite porcherie nostre, uccidendo, stuprando, violentando, assaltando, bruciando. Il che dice innegabilmente che proprio bravi non siamo stati e forse non lo siamo ancora. Come tedeschi, inglesi, francesi, giapponesi, russi, austroungarici, belgi e, inutile sottolinearlo, americani. Ma un po’ più ridicoli. La partecipazione a quella guerra cinese, che il cinema internazionale ha celebrato col film «55 giorni a Pechino», interpretato da Charlton Heston e Ava Gardner, una pellicola di retorica patriottarda, come tutti i film americani a sfondo storico, fu un intrufolarci in un’avventura di sangue e di violenze razzistiche, inflitte all’antico popolo cinese, attivata dall’imperialismo internazionale in cerca di fare della Cina quello che s’era fatto dell’Africa, suonò grottesca perché al banchetto internazionale volemmo partecipare anche noi, pezzenti com’eravamo ma con la prosopopea padronale d’essere una potenza anche militare, ed eravamo stati da qualche mese gli unici europei ad essere sconfitti in Africa da un Menelik, che ci aveva umiliati sbaragliandoci ad Adua e imponendoci il pagamento di un riscatto costosissimo per liberare i pochi prigionieri in divisa italiana in sua mano. «Italiani, brava gente?» di Angelo Del Boca lascia l’amaro in bocca, perché il suo specchio riflette l’immagine di mister Hide che ognuno di noi ha proiettato nella storia del mondo. E ancor più male fa nel constatare che, a differenza di tutti gli altri, che hanno massacrato e ucciso e non se ne sono mai fatto scrupolo, noi siamo stati spesso peggiori di loro ma ci siamo assolti. Un’autoassoluzione, che ha fatto di noi peccatori nostri confessori, anche perché una Chiesa sempre complice dei poteri dominanti, ha provveduto sempre a non farci mancare benedizioni e estreme unzioni, mentre portavamo la morte dove campavano la vita. Ma noi siamo stati così e così siamo ancora, nonostante la storia si sia abbondantemente vendicato con noi, impartendoci delle sonore lezioni a colpi di sanguinose nerbate. Angelo Del Boca è il maggior storico del nostro colonialismo, uno studioso che spese la sua vita a dimostrare l’ipocrisia italiana di aver voluto spacciare il colonialismo tricolore quale missione di civiltà. Sì, il solito ritornello di «Italiani, brava gente».
Nel suo libro Del Boca appone a quel refrain un punto interrogativo e alla luce delle risultanze d’archivio, di quelli che si è riusciti ad aprire, ché l’Italia è famosa per avere armadi d’archivio con le porte rivolte ai muri, dà la risposta. Illustrando che cosa fecero i piemontesi nel sud Italia mentre si cantava “Fratelli d’Italia”, cosa facemmo da italiani in Africa Orientale fra la fine dell’800 e la metà del ‘900, in Cina all’inizio del XX secolo, in Libia tra il 1911 e il 1943, ai fronti della Grande Guerra, in Spagna tra il 1936 e il 1939, ai fronti della Seconda Guerra Mondiale, durante la guerra civile. Laddove lo facemmo, costruimmo nuove città, sì, ma mentre le nostre sul suolo metropolitano languivano e Matera era la vergogna del sud, le strade di quelle terre lontane, piastrellate di pietra, furono lastricate di sangue. Sangue che noi provocammo, con i nostri plotoni di esecuzione, con le nostre forche, con i nostri lanciafiamme, con i nostri cannoni e le nostre mitragliatrici, con i nostri campi di concentramento fino a raggiungere livelli stragistici di genocidî da offuscare la triste fama dei tedeschi. Per che cosa? Per acclarare la nostra foia di potenza. E non avevamo sempre da mangiare. Come scrisse Sergio Romano sul Corriere della Sera, «Italiani, brava gente?» di Angelo Del Boca rappresenta «uno straordinario bucato della coscienza nazionale». Dovremmo immergerci i nostri panni sporchi in un ranno della storia, che dovrebbe farci migliori. Anche perchè la storia è sempre vindice. E di questi tempi sta bussando alle porte di antichi peccatori. Per dirci che i nostri peccati sono imperdonabili?
Vito Errico