𝐈𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐏𝐫𝐨𝐮𝐬𝐭
Vorrei incontrarti tra cent’anni, Marcel. E quel giorno è arrivato.
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Incontro con Proust
Vorrei incontrarti tra cent’anni, Marcel. E quel giorno è arrivato. Rivedo Marcel Proust passeggiare col suo ombrellino parasole con il manico di giada che fa mulinare nell’aria, la sua cravatta rosa, la ciocca arricciata che sporge dal cappellino, gli occhi infossati, un dito di cipria sul viso e un lieve affanno. E quello sguardo che ti scava, viene dalla lontananza e va in profondità. Marcel è straniero ai nostri giorni, sin dallo sguardo. Si può essere stranieri non solo ai paesi ma anche ai tempi. Lui vede il mondo col microscopio e con la sonda indaga fin dentro l’anima degli uomini e delle cose: ama la gigantografia del dettaglio, coglie la sfumatura, indugia sul paesaggio fiorito, sull’arredo, sui particolari delle persone. Non ci sono grandi eventi, non c’è la Storia nella sua opera, semmai il loro pallido, marginale riflesso. E’ un altro mondo, visto da un entomologo dell’anima e delle forme viventi. Sarà pure narcisista, visto come cura la sua immagine e tiene al giudizio altrui. Ma il suo narcisismo, a differenza di quello dilagante nei nostri giorni, si estende alla natura, fino all’ultimo fiore; alla civiltà, fino al più piccolo ninnolo, e all’umanità setacciata un singolo alla volta, mai in massa. Marcel non parla per classi, concetti, astrazioni ma cala l’universo in ciascuna esile foglia. Vede con l’immaginazione, scrive nei fogli, solo ora pubblicati per il suo centenario (75 fogli, La nave di Teseo). E reputa che il segreto della Vita sia vedere la realtà con gli occhi del sogno e dell’interiorità. Un campo pieno di papaveri – ci dice – mi fa pensare che la poesia è qualcosa di reale e che la felicità può essere di questo mondo.
Quei 75 fogli di Marcel sono traboccanti di scrittura anche ai margini, guarniti di paperoles, foglietti attaccati a organetto sulle pagine colme di correzioni, schizzi; una chiesa, un profilo di donna. Se scrivesse oggi al computer il testo sarebbe pulito, privo di stratificazioni e di correzioni, aggiunte e allegati, perché si può modificare e integrare il testo con infiniti inserti, senza quei papiri pluridecorati. Ma quanta bellezza artigianale avremmo perduto, quanta calligrafia o a volte solo grafia, tanto è illeggibile in alcune chiose al bordo mentre lo spazio finiva; non avremmo potuto separare la prima stesura dalle successive, conoscere le cancellazioni, scoprire i ripensamenti. Il computer ci avrebbe dato la pagina liscia e linda, resettata di rughe come in un lifting.
Immagino Proust che tira fuori dal suo taschino il portatile, rivestito di una guaina fiorita, morbida e perfino profumata, e ripulisce il display con una pezzuola di daino; ma quante minuziose, deliziose descrizioni ci saremmo persi se lui avesse deciso di farcele vedere zoomando sul paesaggio tra foto e video anziché ricamare pagine squisite. E se avesse affidato i suoi ricordi, il suo tempo perduto, alla gallery e se la memory card avesse preso il posto della madeleine… L’immagine spegne l’immaginazione.
Lo vedo a disagio passeggiare oggi nella sua amata Venezia, districarsi stranito nelle calli e sui ponti rigonfi di turisti, impossibilitato a scorgere tra tante teste e telefonini puntati, i canali, le gondole, gli anfratti. Ancor più a disagio è Marcel se incontra sfilate gay e gender fluid, quel mondo fluttuante e colorito: eppure lui è nell’anima uno di loro, ha un’indole femminile, e una sessualità in transito, tra il maschile e il femminile, posandosi poi sul puerile. Ma troverebbe volgare l’esibizione, e più volgare la pretesa di diritti e parità, amando la bellezza delle disparità e vivendo la diversità con voluttà e sofferenza come un privilegio e un’estrosa difformità, non materia di petulante rivendicazione sindacale e di lotte collettive.
Marcel resta incantato dal Dio che vede in San Marco e ai suoi occhi è un giullare pascià d’Oriente, con l’aria effeminata, orientale e bizzarra. Oggi è sconcertato a vedere i bambini ipnotizzati da un piccolo schermo, indifferenti ai richiami della mamma; ripensa alla tragedia della sua infanzia per un bacio della notte negatogli da sua madre; tutta la sua opera è una lettera d’amore e nostalgia a sua madre, e alla madre di sua madre.
Oggi Marcel vedendo i nostri contemporanei ritirerebbe la sua affermazione: “Ogni giorno attribuisco meno valore all’intelligenza” perché ostacola la facoltà di recuperare le nostre impressioni passate. Oggi l’intelligenza è atrofizzata nella tecnicità, ma la facoltà di recuperare le impressioni passate si è ancora più ristretta; siamo incapaci di uscire dalla prigione del momento, non sappiamo viaggiare davvero nel tempo, come lui ha fatto.
Marcel conversa e passeggia con i defunti ma si trova a disagio a intrattenersi con i posteri. Non va alla ricerca del tempo venturo. Lo vedo allontanarsi dal nostro tempo e rifugiarsi nella lettura. Perché la vera vita, dice lui stesso, è la letteratura. Marcel cerca l’eterno nel fiore dell’istante e nel suo ricordo, oltre le intermittenze del cuore. Poi ci dice: cercate di conservare sempre un lembo di cielo sopra la vostra vita; anche se i veri paradisi sono i paradisi perduti. E se viaggiate, aggiunge, prima di cercare nuovi paesaggi, munitevi di nuovi occhi. Un’altra vista per un’altra visione del mondo. Il contrario del viaggiatore globale che trova l’uguale ovunque e non ha occhi per vedere, gli basta la videocamera.
Mentre si allontana, mi scuso con lui per averlo trascinato nel nostro tempo, appropriandomi delle sue parole. Uno scempio, una marcelleria…E un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene, dice Dante. Ma anch’io sono Marcel.
(Panorama n.25)