Il racconto del Sud e la rassegna di Pollica-Acciaroli
Gigi Di Fiore
Il racconto del Sud si muove sempre attraversando continue suggestioni, stimoli occasionali, ispirazioni da esperienze. Un racconto che si muove, nelle diverse narrazioni, tra sogno, denuncia, memoria storica, vagheggiamento. Da sempre, scrivere di Sud – sia come luogo geografico sia come luogo dell’anima – non è vincolato ad uno stato anagrafico. Carlo Levi, il più citato narratore della Lucania contadina negli anni del fascismo, non era meridionale, ma piemontese. Eppure, le sue pagine furono ispirate, profonde, ricche di umile sensibilità. Arte letteraria.
Il racconto dei Sud è stato uno degli obiettivi principali, in via per ora sperimentale, della tre giorni cilentana, tra Pollica e Acciaroli, che ha messo insieme stimoli di riflessioni, uniti a provocazioni e invocazioni, invitando autori di narrativa e critici letterari di varia formazione. Ascoltare più voci è sempre arricchimento individuale e motivo d’ispirazione. Le esperienze individuali forniscono sempre occasioni di esplorazioni mentali, che rinfrescano memorie e letture, sollecitando voglia di confronti.
E’ Sud di storia quello contadino di Levi? E’ Sud di rimpianto quello che narrò Ermanno Rea nel descrivere la fine di una fabbrica e della cultura operaia? C’è il Sud descritto nella sua volgarità e nei suoi limiti, la denuncia dell’etica del male dominante e il richiamo alle identità perse e tramandate. C’è il Sud che cerca la storia nelle memorie e fa memoria d’identità nella narrazione storica.
Tanti, non un solo Sud. E potrebbe essere anche luogo non geografico limitato all’Italia, una riunione di innumerevoli Sud del mondo, quelli di chi deve affannarsi a rincorrere chi è più bello, più fortunato, più baciato dal destino che vive in altre latitudini C’è un insegnamento (potrebbero essercene tanti, legati alle individuali sensibilità e culture) nella tre giorni cilentana, assemblata con il suo indispensabile know-how da Francesco Durante, che ha trapiantato il suo collaudato brand di “Salerno letteratura” per farne esperimento autunnale a Pollica. E’ un insegnamento semplice e banale: si mettono insieme più ospiti, con suggestioni ed esperienze, per fornire spunto di confronto. I nomi contano, certo. Ma conta anche la disponibilità ad ascoltarli, ad accoglierne le differenze.
Forse a Pollica sono mancati quei tanti cilentani che avrebbero potuto esserci, quei tanti che si lamentano che “qui non si fa mai nulla” e poi, quando c’è l’occasione, disertano. Sono mancati studenti curiosi, come i loro docenti. E’ mancata la voglia di capire chi era arrivato e cosa diceva. Storia vecchia. Anche questo è Sud da raccontare. Eppure, in un momento in cui, complice il complicato periodo editoriale, gli steccati tra saggistica e narrativa, tra fiction e no-fiction si fanno sempre più labili, la curiosità diventa sempre lievito per tutto. Saggisti utilizzano sempre più romanzi tra le loro fonti e narratori si documentano sempre di più con i saggi. Tutto si tiene, se c’è voglia di interagire e di scambio.
Quella voglia, forse, si avvertiva poco nell’aria di Pollica. Non certo negli interventi, o negli organizzatori, ma pensando ai tanti che non c’erano. Ognuno ha il diritto di impiegare il proprio tempo come vuole e come riesce. Credere in qualcosa o in un’altra. Ma, fino a quando non si diffonderà il gusto di capire e ampliare le proprie vedute, si resterà fermi. Ed è una condizione che non fa bene al Sud.