Il plebiscito del Veneto fu una truffa ma la sinistra non vuole dirlo
Un saggio diffuso dalla Regione Veneto dice la verità sul plebiscito di annessione del 1866. Ed è subito polemica
Carlo Lottieri
È polemica: ed è bene che sia così. La diffusione di un volume di Ettore Beggiato (1866: la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto all’Italia, Editrice Veneta) sul modo in cui il Veneto 150 anni fa è stato «italianizzato» dopo la terza guerra d’indipendenza, a seguito di un referendum truffaldino, disturba gli intellettuali progressisti.
Sul quotidiano veronese L’Arena ieri si riportavano alcune prese di posizione negative nei riguardi del libro. Secondo Carlo Saletti saremmo di fronte a «un uso distorto della storia», piegata a ragioni politiche. Una tesi condivisa da Federico Melotto, direttore dell’Istituto veronese della storia della Resistenza, per il quale con questo volume «si vuole dare un messaggio politico partendo dal plebiscito per lanciare una critica all’Italia di oggi». Il tono è di contestazione, ma con ogni probabilità l’autore sarebbe in parte d’accordo.
Già assessore regionale e appassionato cultore della storia della Serenissima, Beggiato si propone di smontare la lettura tradizionale di una popolazione veneta ben felice di lasciare l’Impero asburgico per unirsi alle popolazioni italiche. Il volume è tutt’altro che paludato: vuole interessare e farsi leggere. Chi l’ha scritto, per giunta, non cela in alcun modo la propria speranza che Venezia e gli altri territori possano presto decidere del proprio futuro (con un referendum democratico), tornando indipendenti come furono per secoli.
Beggiato ha insomma esaminato il passaggio storico del 21 e 22 ottobre 1866 per illuminare l’attualità: per far comprendere ai veneti di oggi per quale motivo devono pagare le tasse a Roma, e non a Vienna. Guarda il passato per criticare il presente, senza dubbio. Ma dove sarebbe il problema? Non è forse utile leggere la storia per capire il nostro tempo? I due studiosi evocano controverse questioni di metodologia, ma le loro parole lasciano perplessi: specie pensando che per Benedetto Croce ogni storiografia è contemporanea, dato che il passato ci interessa in quanto esso ha di tuttora vivo.
Una cosa non viene detta da Saletti, né da Melotti: che Beggiato racconti falsità. Il libro, in effetti, è inattaccabile e il plebiscito fu un inganno da ogni punto di vista. Non fu garantito l’anonimato, votarono soggetti che non ne avevano titolo (i soldati italiani di stanza in Veneto, ad esempio) e, soprattutto, i dati resi noti non possono corrispondere ai voti reali. È significativo che gli storici «accademici» nulla contestino, sul piano dei fatti, a quanto Beggiato afferma, né difendano la regolarità del referendum: anche perché si renderebbero ridicoli. Di fronte a risultati ufficiali che parlano di 647.246 voti favorevoli e solo 69 voti contrari (l’equivalente del 99,9%), chi conosce cosa sia l’errore statistico sa che l’annessione del Veneto all’Italia fu costruita su un imbroglio.
Un argomento è usato dai due storici contro il volume di Beggiato: ed è la decisione della Regione di regalarlo alle biblioteche del Veneto, anche scolastiche. La critica potrebbe avere una sua plausibilità (può un ente pubblico sostenere un’iniziativa culturale di parte?) se solo non sapessimo che le scuole pubbliche sono «apparati ideologici di Stato», per usare la formula del marxista Louis Althusser: sono da sempre realtà schierate a difesa del potere vigente e delle sue retoriche (dal Risorgimento alla Resistenza, dall’ecologia all’Europa, dalla solidarietà alla legalità). È allora soltanto positivo che una pecora nera come Beggiato trovi spazio tra tante pecore bianche, che belano tutte nello stesso modo.
È poi interessante rilevare come per Melotto il referendum fosse sì ridicolo, ma perché tale doveva essere: «L’annessione fu decisa dal punto di vista diplomatico», dato che «il plebiscito serviva a sancire una situazione di fatto». Fu insomma una truffa, come dice Beggiato, ma «non può essere definito scandaloso questo modo di procedere perché nell’800 era la diplomazia a prendere le decisioni, non il popolo».
Per Melotto non ci si deve proprio scandalizzare se nell’Ottocento la gente non contava e neppure a questo punto se in varie parti del mondo c’era ancora la schiavitù. Se però i veneti conoscessero meglio la loro storia, forse anche certa retorica nazionalista avrebbe assai meno presa. E questo sarebbe solo positivo.