Immagini dal Sannio: mito e leggenda del Noce di Benevento
di Barbara Serafini
È appena trascorsa la notte di San Giovanni, conosciuta anche come notte delle streghe. E parlare di streghe, rituali magici, janare nel Sannio è come parlare delle nostre radici, della nostra recondita identità. Dici Benevento e dici strega. Ecco, allora, che è proprio del simbolo di queste stregonerie che oggi vi voglio raccontare: il Noce, quell’albero che non era certamente una pianta qualunque, nella zona vicina al fiume Sabato, il Sabatus, dove le streghe si radunavano dando vita ai loro rituali magici, i Sabba, per l’appunto. Un albero alto, frondoso e sempreverde, molto nocivo anche se solitamente le proprietà di questa pianta sono considerate di carattere curativo. Quello dei Longobardi era un popolo pagano legato al dio Odino e per lui si svolgevano dei sacrifici con dei rituali nei pressi della Ripa di Janara che si riconducono ai rituali delle Janare, donne terrene collegate alla Luna che suggeriva loro i momenti di semina e di raccolta, le quali avevano un modo di comportarsi tutt’altro che normale: venivano avvistate nei pressi del fiume ed erano solite cantare ritornelli simili a incantesimi, ballare intorno agli alberi e avvicinarsi ai serpenti uscendone illese. Inneggiavano, inoltre, anche all’uccisione di animali e questo era visto come un rituale sacrificale. Essendo loro un popolo guerriero, il rito pagano consisteva nell’appendere pelli di montone ai rami e colpirli con lance e frecce, mentre cavalcavano al contrario, in sella ai loro cavalli, riducendo le pelli in pezzi piccolissimi, che poi finivano per mangiare. Assistevano a tali riti anche le donne longobarde, che gridavano e incitavano gli uomini a consumare il rito. Nel rituale, le streghe usavano ungersi alcune parti del corpo per prepararsi citando l’incantesimo: “Unguento, unguento, portami al Noce di Benevento. Sopra l’acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo” e poi si davano alle danze e ai macabri rituali in cui era presente Lucifero in persona sotto le sembianze di un caprone. Si dice persino che avessero la capacità di rendersi informi e di contaminare con le loro magie i cittadini. Dopo i riti, seminavano il terrore, causando aborti, rendendo deformi i neonati, o li rapivano per poi gettarli sul fuoco.
Come già detto, fin dai tempi antichi all’albero di noce vengono attribuite proprietà benefiche ma anche molto pericolose. Plinio, nella sua Naturalis historia, in tono severo si raccomandava di non sdraiarsi all’ombra di questo albero che potrebbe essere mortale, al quale vengono attribuite grandi proprietà magiche, soprannaturali, indicibili. La mitologia ci insegna che l’albero era una creatura che veniva protetta dall’egida di Artemide, dea della natura protettrice dei boschi, che proprio da Dioniso sarebbe stata trasformata in un noce. Anche i romani vedevano in Diana, mutuazione latina di Artemide, la protettrice dell’albero. E infatti, le Dianare erano le seguaci di Diana, ed erano loro a celebrare i riti legati alla fertilità e a madre natura. Le Dianare, il cui nome mutuato è janare, erano personaggi stregati, che attorno al Noce di Benevento praticavano riti satanici, chiamati Sabba. A Benevento cresceva un grande Noce e lì si incontravano le streghe più potenti non solo della zona, ma che venivano persino da ogni parte d’Europa, per celebrare i loro riti demoniaci. Si racconta, a sostegno di come il noce fosse una pianta dalla proprietà magiche, che a Roma la chiesa di Santa Maria del Popolo fu costruita nel luogo in cui sorgeva un noce attorno al quale migliaia di diavoli danzavano nel cuore della notte. Anche a Bologna e a Pescia, in Toscana, detti popolari sostenevano che le streghe si trovassero a confabulare o a dormire sotto le piante di noci.
Riti sabbatici intorno al Noce di Benevento
Il libello del 1640 Della superstitiosa noce di Benevento, di Pietro Piperno, ci racconta la leggenda di questo Noce, narrandoci una vicenda che appunto risale al periodo longobardo, quando nel 667 il ducato di Benevento fu cinto d’assedio dall’esercito bizantino guidato da Costante. Il sacerdote Barbato accusò i cittadini che adoravano un serpente. appeso ai rami di un noce a pochi chilometri dal centro della città, di assedio, carestia, morte e distruzione. Il duca Romualdo promise che se Benevento avesse resistito all’assedio, avrebbe fatto sradicare l’albero fino alla cessazione della tradizione, accettando di essere convertito al Cristianesimo e con lui tutti i Longobardi. Il grande albero di noce attorno al quale si consumava il rito pagano per il dio Odino fu abbattuto e la leggenda narra che, appena l’albero cadde in terra, ne uscì fuori una vipera, simbolo di un legame satanico. Pare anche che nello stesso luogo il noce sia rinato. Anche dopo la conversione, i Longobardi di Benevento non rinunciarono ai loro riti pagani e continuarono a praticarli di notte
I Longobardi, tra l’altro, veneravano gli alberi maestosi e, dunque, anche il noce. L’esistenza del Noce non è mai stata dimostrata, anche se in molto lo hanno cercato e hanno ritenuto di averlo individuato in molte contrade. Una credenza che col passare dei secoli non si è mai affievolità, al contrario si è sempre più rinsaldata. Nell’Ottocento era possibile leggere tali versi in un poemetto popolare edito a Napoli e intitolato Storia della famosa noce di Benevento, raccolto da Giuseppe Cocchiara:
Vicino alla città di Benevento
Vi sono due fiumi molto rinomati
Uno Sabato , l’altro Calor del vento;
Si dicono locali indemoniati,
Un gran noce di grandezza immensa
Germogliava d’estate e pur d’inverno;
Sotto di questa si tenea gran mensa
Da Streghe, Stregoni e diavoli d’inferno.
Stregoneria o no, i frutti del noce avevano davvero delle proprietà curative, contro ulcere, piaghe e ferite, ma anche contro dolori di denti e problemi digestivi e intestinali. Coi malli ancora verdi, raccolti rigorosamente nella notte di San Giovanni, si prepara il noto nocillo, che un tempo veniva prodotto solo e unicamente da farmacisti. Puoi leggerne ricetta e caratteristiche cliccando qui. In ogni caso, la correlazione tra la pianta di noce e il mondo infernale, demonicaco, stregato nel tempo ha evocato e mantenuto un simbolismo funesto che si è poi riflettuto in alcune superstizioni. In alcune zone di campagna si dice ancora oggi che non bisogna dormire all’ombra di un noce poiché è facile risvegliarsi con una forte emicrania o con la febbre. Un’altra credenza popolare sostiene invece che se le radici del noce penetrano nelle stalle, fanno deperire il bestiame. Sembra, infatti, che le radici di questo possente albero contengano la juglandina, una sostanza tossica per tutte le altre specie vegetali, che spesso soccombono al loro contatto o a causa della loro vicinanza. Questo sarebbe il motivo per cui non è raro vedere in natura alberi di noce totalmente isolati.
In copertina, Il Noce di Benevento di Giuseppe Pietro Bagetti.
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