Il giardino di Bomarzo, labirinto di simboli e segni

Sul Nuovo Corriere Nazionale di oggi una bella recensione di Davide C. Crimi al saggio di Caterina Luisa de Caro (tra le maggiori esperte italiane di “giardini filosofici”) “Bomarzo: la Dea nel suo Giardino”. Un saggio raffinato e godibilissimo! Roba da “intenditori” (nel senso di chi ha gli “strumenti per … intendere”). Brava!!!
Valentino Romano

libroIl giardino di Bomarzo, labirinto di simboli e segni
di Davide C.Crimi

Libro inusuale, il soggetto di questa recensione: non è un romanzo, non è un saggio in senso stretto, ma ha tutta la passione di un romanzo e la piena intellettualità di un saggio. E queste qualità, Bomarzo: la Dea nel suo Giardino (Futura Edizioni, 2018), le trasfonde ad un accesso concreto e operativo: quello di farsi guida al percorso di questo giardino di simboli e misteri. Un libro che rivela.
L’autrice, Caterina Luisa De Caro, docente di ?loso?a e storia, è tra i più autorevoli esperti in tema di giardini ?loso?ci italiani. Oltre a questo lavoro sul giardino di Bomarzo, si è occupata della Scarzuola di Monte-gabbione, del Trono delle streghe di Montecchio a Bagnaia e attualmente lavora sul giardino di Niki de Saint Phalle a Capalbio. Il progredire delle sue ricerche risulta avvincente e il suo modo di trattare la singola parola per addensarla nelle frasi riesce a stare in equilibrio tra la potenza degli eroi e la leggiadria delle ninfe delle acque. Il lettore ne rimane fatalmente attratto. Il nome del Giardino di Bomarzo, spiega l’au- trice, è una contrazione di Polis Martis, città di Marte. Si trova nel borgo omonimo di Bomarzo, nei pressi di Viterbo; la costruzione risale alla metà del XVI secolo, per volontà di Vicino Orsini, in memoria della moglie prematuramente scomparsa, Giulia Farnese.
bomarzoLe note storiche che il libro contiene sono ra?nate ed esaustive, permettono quindi al lettore di addentrarsi con consapevolezza delle premesse nel labirinto del giardino, attraverso la Porta della Dea, per accedere alla quale occorre superare un incerto ponticello che passa sopra un rivo, a simboleggiare il ‘passaggio dell’acqua’. L’autrice si so?erma in modo mirabile su ogni dettaglio, per mettere in rapporto gli elementi simbolici con il valore iniziatico e alchemico che ciascuno di essi assume nella correlazione oggettiva tra percorso ?sico e percorso allegorico. Non a caso, il passagggio è definito nel testo “prima morte iniziatica” questa, a partire dal viatico che si apre varcando il corridoio delle due s?ngi, non è che una tra le sette soglie che l’autrice individuerà nel frastagliato ed enigmatico percorso, assumendo a guida le fasi alchemiche che l’itinerario del giardino compone come allegoria del percorso di trasformazione spirituale.
Ben altrimenti che semplice guida turistica, il libro che scaturisce dalle ricerche della De Caro non è soltanto documento sul Giardino di Bomarzo, ma soprattutto ri?essione del Giardino sul Giardino, nel profondo intento di raggiungere l’immagine universale: in questo senso, è immagine di immagine; rinvia a qualcos’altro che, come nota con sintetico acume Augusto Vasselli nell’introduzione, “è una chiave di comprensione unitaria, che si ispira e che richiama la Tradizione”.

Ciò che rende questo testo estremamente interessante, anche per chi non conoscesse o non avesse immediata intenzione di recarsi sui luoghi di Bomarzo, è il suo costituire in sé un ottimo trattato di  fiosofia spirituale a matrice alchemica, pieno, esaustivo, comprensibile e ben narrato.

Un’ultima riflessione: qualcuno potrebbe chiedersi se questo decodificare non possa costituire una violazione del Mistero. Come ricorda l’autrice medesima, “ai santuari della Dea era vietato l’ingresso a coloro che non avevano ricevuto l’iniziazione”. Oppure, in chiave secolarizzata, ci si potrebbe chiedere se questa corsa ermeneutica, se questo tentativo di spiegare tutto, non sia filosoficamente all’opposto del suo scopo antico, rendendo i Misteri superflui e vani nello spirito del nostro tempo. Entrambe le considerazioni si risolvono per proprietà di stile: perché la De Caro, con il suo dire metamorfico, allude, ma non svela. Per definizione, i simboli non possono essere spiegati con un solo significato: è contrario alla loro natura. Ogni spiegazione non è che copertura con un secondo velo.
Non è invano: perché qui è l’oro alchemico. Alla ?ne del racconto, si ottiene quella perfetta ri-velazione, annunciata sin dal primo passaggio e non ancora ottenuta.
corriere
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