Il Carnevale rievoca l’eterna partita di formaggio tra il barone e il suo lavorante Pasquale
Il Carnevale, la festa più pazza del mondo, la festa del travestimento e dello scherzo, di variopinte stelle filanti e coriandoli multicolori, di “scorpelle” e struffoli, è alle porte. A Pontelandolfo è il secolare rito dell’accensione del fuoco votivo nella notte tra il 16 e il 17 gennaio in onore di San. Antonio Abate a dare inizio al tempo carnasciale, Le ceneri del falò raccolte quando le prime luci del sole rischiarano il cielo, vengono cosparse sui campi in segno di buon auspicio per un favorevole raccolto delle messi. Nella notte dal crepitio del fuoco, che nasconde sotto la cenere rovente decine e decine di gustose patate, si odono voci lontane, confuse, che si avvicinano sempre di più, sempre più chiare. Sono le voci del ricco barone e del suo lavorante Pasquale che rievocano l’infinita partita di formaggio vecchia di oltre sette secoli e che mai avrà fine fino a quando la singolare tradizione resisterà alla modernità di un Terzo Millennio demolitore di antiche, straordinarie, profonde costumanze che caratterizzano le piccole comunità ancora in vita. “C’era una volta un ricco barone – narra la leggenda -, proprietario di molte masserie e tante terre coltivate e in parte tenute a pascolo di armenti.Questo barone amava il gioco. Nel periodo di carnevale era uso ad andar per cantine ed ingaggiare partite di carte con chiunque gli capitasse a dar parola.Una domenica di carnevale, si era fatto già tardi e si era a lume di candela, il barone si attaccò con un suo lavorante di nome Pasquale a giocare a tressette. Pasquale era ritenuto un campione, ma il barone neanche scherzava, le vincite si distribuirono dapprima in modo uniforme da una e dall’altra parte in modo da aumentar l’accanimento dei giocatori e di chi li stava a guardare.Poi Pasquale cominciò ad aver fortuna.Il gioco durò tutta la notte. Alle prime luci dell’alba il barone aveva perso due masserie e un buon pascolo tenuto ad erba medica.Il barone era uomo d’onore e tenne fede ai debiti del gioco ma le sue vacche erano abituate al vecchio pascolo non ebbero notizia del cambio di proprietà e vennero a pascolare dove da sempre avevano più gusto a mangiar erba.Pasquale era un uomo di carattere, non ebbe a tenere tale affronto. Si recò dal padrone e pretese il suo.:“Le vostre vacche sono scese a pascer la mia erba – disse al barone – e a me tocca parte del formaggio che da loro ne avrete”.Il barone reagì alla richiesta arrogante:“Giammai te lo darò. La terra sì ti spetta ma la prima erba che era là già prima della vincita è ancor mia!” Nacque la contesa. Ci furon partigiani per l’una e l’altra parte. In breve la cosa diventò grossa. I nobili dell’epoca davan ragione al barone. Gli umili e senza casato furon subito con Pasquale.Il barone non si tenne la cosa e una notte mandò un fidato a appender una forma di cacio al balcone di Pasquale in segno di sfregio perché tutti vedessero. Non poteva finire così, e Pasquale non accettò l’omaggio ma era dopo tutto un uomo saggio e non voleva che tutto volgesse al peggio. Chiamò degli amici fidati e mandò al barone questo messaggio: “Quello che è nato dal gioco, nel gioco finisca, ci vediamo domenica mattina sotto la piazza”.Il barone non aspettava altro.Era un uomo forte e preciso e la partita di formaggio fu uno spettacolo che dicono non s’è più visto. Vinse sopra il barone, pattò sotto Pasquale e continuò così”. La partita non è mai terminata, mai nessuno dei due ha prevalso sull’altro, ed è nella prossima notte tra il 16 e il 17 gennaio che il fuoco di San. Antonio Abate farà nuova luce nel buio sull’eterna partita di formaggio del barone e il suo lavorante Pasquale.