Il 4 gennaio del ’75 muore Carlo Levi, lo scrittore di ‘Cristo si è fermato ad Eboli.
Pittore, politico, scrittore capace di spiegare il Novecento da un’angolazione inedita. Fu artista poliedrico; nella sua pittura, ad esempio, è possibile notare le trasformazioni sue e del tempo vissuto. I ritratti, le nature morte e le figure impresse sulle tele sono ancora oggi dei segnali inequivocabili della storia dell’uomo in quegli anni difficili di guerre, dittature, isolamenti, confini. I suoi dipinti riguardano anche il mondo femminile, dapprima attraverso un tocco evanescente e magro, poi più concreto grazie a quella che lui definiva la ’pennellata ondosa’. Un percorso che emerse anche nei suoi autoritratti in cui emerge una introspezione personale: dai giorni nel carcere fino ad Aliano e oltre. Un percorso artistico che culminò nei ritratti – bellissimi – di scrittori, amici, delle sue donne. Tutti personaggi a cui lui restituì l’anima, la fase intima, e il senso del rapporto umano. Con ‘Cristo si è fermato ad Eboli’, Levi subisce il passaggio artistico che lo porta dalla pittura verso la scrittura; Carlo cambia la sua visione sull’esistente e sull’esistenza, scoprendo un’umanità a lui fino a quel momento sconosciuta ed inedita, dopo aver vissuto a lungo in ambienti diversi, tutti cittadini e vitali.
“Chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte .– Noi non siamo cristiani, – essi dicono, – Cristo si è fermato a Eboli –. Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla piú che l’espressione di uno sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro libera vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto”.
Questa fraternità passiva, questo patire insieme, questa rassegnata, solidale, secolare pazienza è il profondo sentimento comune dei contadini, legame non religioso, ma naturale. Essi non hanno, né possono avere, quella che si usa chiamare coscienza politica, perché sono, in tutti i sensi del termine, pagani, non cittadini: gli dèi dello Stato e della città non possono aver culto fra queste argille, dove regna il lupo e l’antico, nero cinghiale, né alcun muro separa il mondo degli uomini da quello degli animali e degli spiriti, né le fronde degli alberi visibili dalle oscure radici sotterranee. Non possono avere neppure una vera coscienza individuale, dove tutto è legato da influenze reciproche, dove ogni cosa è un potere che agisce insensibilmente, dove non esistono limiti che non siano rotti da un influsso magico. Ancora descrive Levi: “Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli”.
Nel dipinto, Carlo Levi raffigura Alberto Moravia. (Buongiorno anime belle).
Maria Pia Selvaggio