Guido Dorso e la rivoluzione meridionale (I parte-II parte)

Guido Dorso e la rivoluzione meridionale (I parte)
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18 giugno 2007

NAPOLI – 18.6.2007 La lezione salveminiana e gramsciana trova in Guido Dorso (1892-1947) uno dei suoi maggiori prosecutori critici tanto sul piano teorico quanto su quello pratico. La collaborazione con la rivista “Rivoluzione liberale” diretta da Piro Godetti offre al giovane avvocato avellinese l’opportutnità di formulare in modo coerente ed organico le sua analisi meridionaliste, che partono da una profonda revisione critica del Risorgimento, con la chiara finalità pratica di rifondare le basi sociali, politiche e morali dello Stato italiano. “La caratteristica essenziale del nostro Risorgimento – osserva Dorso (nella foto) – è costituita dal dissolvimento di tutte le correnti ideali, che si disputarono la direttiva della rivoluzione, nel grigio incedere della conquista piemontese. Lo Stato non si formò negli animi dei cittadini, per poi affiorare, a mano a mano che la maturazione si completava, ma si estese dal Piemonte alle altre regioni italiane, attraverso una serie di aggiramenti, di compromessi, di accorgimenti, che appiattirono la conquista indigenza, e scoprirono l’assenza del concetto di libertà come principio rivoluzionario. Il risultato di questo processo fu, dunque, uno Stato piemontese territorialmente più vasto, ma, come ispirazione ideale, egualmente angusto. Anzi la continuità necessità di transazione con i ceti dominanti degli ex Stati ne restrinse sempre più l’ispirazione ideale”. Se Cavour, sottolinea Dorso, era stato costretto a scendere a compromessi con le forze politiche di opposizione in relazione alla situazione storica, i suoi successori elevarono il compromesso a metodo politico. Con Giolitti il riassorbimento delle ragioni ideali delle forze critiche trova il suo sigillo nel “compromesso istituzionale”, che lega i socialisti alla politica del capitale. Un ruolo fondamentale venne svolto dalla borghesia rurale meridionale, schieratasi in blocco con la monarchia sabauda esclusivamente per trarre dal monopolio della rappresentanza politica dei vantaggi economici grazie alla liquidazione dei residui di feudalità operata dalla legislazione demaniale. Nella loro terribile immaturità politica – chiarisce Dorso –, nel loro gretto particolarismo i borghesi meridionali non compresero che il loro dominio era quanto mai labile perché privo del controllo sullo Stato, non si accorsero che i loro interessi venivano manomessi, che la giustizia distributiva veniva conculcata e si lasciarono spingere sempre più nel chiuso orizzonte degli interessi locali. Lo Stato italiano, assolutamente privo di ogni velleità etica, di fronte al chiuso particolarismo di questa classe meridionale, ebbe un giuoco assai facile perché la sua linea di politica generale coincise con la stretta mentalità dei popoli conquistati. Salvatore Lucchese

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Guido Dorso e la rivoluzione meridionale (II parte)
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01 luglio 2007

NAPOLI – 1.7.2007 Negli anni che vanno dalla scoppio della Prima guerra mondiale alla presa del potere da parte di Benito Mussolini, l’Italia si caratterizza per una serie di conflitti e di formazioni politiche, attraversate, secondo Dorso, in modo trasversale da posizioni reazionarie e rivoluzionarie, che nell’immediato dopoguerra fanno precipitare il paese in un enorme caos politico alimentato dalla paura del comunismo. Nel 1925 Dorso ritiene che il programma rivoluzionario del movimento fascista sia definitivamente fallito e che oramai le oligarchie liberali riprenderanno nuovamente il sopravvento sulle spinte innovative, che, anche se in forme convulse e contraddittorie, avevano attraversato il paese. Egli allora analizza i programmi e le posizioni politiche dei popolari e dei comunisti, indicandoli come i due partiti potenzialmente rivoluzionari, a condizione che riconoscano la centralità della questione meridionale. “Sembrerà un paradosso, – scrive l’avellinese – ma è così: sono le forze che oggi costituiscono l’oggetto del baratto trasformistico, che divenendo finalmente soggetto dell’azione politica, sono destinate a rappresentare la leva potente della rivoluzione in marcia. Gli sforzi rivoluzionari post-bellici di talune fazioni del popolo italiano, falliti per l’assenza delle masse meridionali, avranno coronamento solo quando l’epicentro della rivoluzione sarà portato nel Sud”. Ma quali sono le forze sociali rivoluzionarie individuate da Dorso nel Meridione? Innanzitutto i braccianti agricoli (foto), i fittavoli, i mezzadri a cui nel dopoguerra si sono affiancati i piccoli imprenditori e i piccoli commercianti. Tuttavia, la loro posizione potenzialmente rivoluzionaria rischia di rimanere tale se nel Mezzogiorno non sorge un partito autonomo della rivoluzione meridionale, in quanto il Partito popolare e il Partito comunista potrebbero limitare al loro interno le spinte innovative delle masse meridionali. Durante gli anni del regime fascista, Dorso è costretto ad una posizione marginale ma non inattiva, in quanto si impegna nella stesura di una biografia su Mussolini, pubblicata postuma. Subito dopo la caduta del fascismo, Dorso riprende la tesi di un partito rivoluzionario meridionale autonomo ed intransigente. “Ma – egli si domanda – esiste una nuova classe politica nel Mezzogiorno? Esistono cento uomini d’acciaio, col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea? Oppure la nostra dolce terra perderà un’occasione unica più che rara, e continuerà il suo duro martirio al seguito della tradizionale miserabile classe politica meridionale, dopo che questa si sarà salvata da un naufragio per l’assoluta impotenza della nostra terra ad esprimere nuove energie politiche? Questo è l’interrogativo amletico che caratterizza il momento presente, e ad esso potrà rispondere soltanto la gioventù meridionale. Se tra quei giovani, che hanno affrontato intrepidi il pericolo ed anelano a vivere una vita politica di marca più elevata, vi saranno anche pochi che si raggrupperanno per difendere la nostra terra, questa favorevole ora, che si approssima sul quadrante della storia, non passerà invano, ed anche il dolce, il sobrio, il paziente, il pio Mezzogiorno d’Italia sarà iniettato nel circolo della vita moderna, e potrà mirare il suo ferreo destino con occhi più tranquilli”. Salvatore Lucchese

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Dorso Guido Dorso

Avellino, 30 maggio 1892
Avellino, 5 gennaio 1947
politico, meridionalista
e antifascista italiano

Guido Dorso nacque il 30 maggio 1892 ad Avellino, figlio di Francesco, direttore delle locali poste, ed Elisa Gallo, insegnante elementare. Dopo gli studi classici nel capoluogo irpino, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza della Regia università di Napoli, dove si laureò con il massimo dei voti e la lode nel maggio del 1915. Se la poesia e la letteratura furono gli interessi degli anni adolescenziali del giovane D. , con il passare del tempo si affiancò quello per la filosofia e la politica, come testimoniato da alcune conferenze e interventi a stampa per associazioni e riviste di area massonico-radicale, soprattutto del capoluogo irpino. Un’attenzione che venne ulteriormente approfondita negli anni universitari e che ebbe coronamento nella tesi dal titolo La politica ecclesiastica di Pasquale Stanislao Mancini.
Nei primi mesi del 1915 si schierò con gli interventisti. Declinò tuttavia il suo interventismo in chiave anti-giolittiana, meridionalistica e democratica, lasciandone traccia in otto interventi pubblicati su “Il Popolo d’Italia” di Benito Mussolini.
Partecipò al primo anno di conflitto, ma a causa di problemi di salute, nei primi mesi del 1916 venne esonerato. Nell’aprile del 1916 superò l’esame da procuratore legale presso la Corte d’appello di Napoli, iscrivendosi all’albo del collegio di Avellino. Nel 1919 riprese l’attività pubblicistica, scrivendo prima per “La Libera parola” e poi per “L’Irpinia democratica”, giornale, quest’ultimo, fondato assieme ad Augusto Guerriero (futura importante firma del “Corriere della Sera”). In questo periodo tornò a scrivere su temi di attualità politica, prestando particolare attenzione alle gravi disfunzioni nei rapporti tra governanti e governati che caratterizzavano il Mezzogiorno italiano.

Il Corriere dell’Irpinia
A partire dal 1920 e nel corso del triennio successivo si registrò un’interruzione nella collaborazione alla stampa da parte di D., che preferì dedicarsi allo studio e all’approfondimento dei temi che più gli stavano a cuore, e curò il decollo della sua attività professionale di avvocato. Nel gennaio 1923, per compiuto sessennio di esperienza come iscritto all’albo dei procuratori legali, fu iscritto al locale consiglio dell’Ordine degli avvocati. L’inizio del 1923 segnò anche il ritorno all’attività giornalistica, con l’assunzione della direzione di un nuovo settimanale, “Il Corriere dell’Irpinia”, edito dai tipografi avellinesi Pergola. Se all’inizio il foglio sembrava dedicarsi alle questioni locali, con il passare delle settimane gli orizzonti editoriali si allargarono, con interventi dello stesso D. su temi di politica nazionale e un piglio battagliero di crescente denuncia nei confronti del fascismo. Per merito di D., il “Corriere” si arricchì dei contributi di firme di indiscusso rilievo nel dibattito politico-intellettuale dell’Italia dell’epoca, quali quelle di Luigi Salvatorelli, Luigi Sturzo, Arturo Carlo Jemolo, Luigi Einaudi, Ivanoe Bonomi, Stefano Jacini.

La collaborazione con “La Rivoluzione liberale”
La direzione del settimanale avellinese lo portò anche ad entrare in contatto con Piero Gobetti che, nel giugno del 1923, lo invitò a collaborare alla sua “La Rivoluzione liberale”, offrendogli così per la prima volta una ribalta nazionale che si sarebbe rivelata decisiva. Negli interventi pubblicati sul settimanale avellinese D. aveva intanto modo di coniugare la sua riflessione sui problemi del Mezzogiorno e la severa critica della sua vita politica entro un orizzonte nazionale, che coincideva poi con l’originale approfondimento dei limiti dello state-building italiano. Su questo punto D. aveva ormai le idee chiare: come scritto nell’Appello ai meridionali pubblicato da “Rivoluzione liberale” nel dicembre 1924, la «questione meridionale è tutta la questione italiana», risolvibile solo attraverso una differente classe dirigente, in rappresentanza di nuove formazioni politiche. Il manifesto venne sottoscritto da altri 13 meridionalisti in contatto con D. e Gobetti.

La rivoluzione meridionale e il regime fascista
L’elaborazione di D. trovava frattanto una sua organica e compiuta enunciazione ne La rivoluzione meridionale, il libro dato alle stampe proprio dalla piccola casa editrice di Gobetti nel 1925. Nel volume veniva ricostruita ed analizzata in maniera critica la vicenda politica e istituzionale che aveva portato alla nascita e al consolidamento dello Stato italiano e valutati gli effetti che ciò aveva comportato sul Mezzogiorno, effetti negativi che non sembravano poter trovare soluzione a causa di un sistema politico bloccato e della strutturale emarginazione delle masse popolari. Una situazione che, nei propositi dorsiani, si sarebbe potuta invertire positivamente solo con una rivoluzione che fosse partita dal Mezzogiorno, basata su di un’inedita e reale partecipazione democratica, con autonomie locali e nuove classi dirigenti, a loro volta espressione di un nuovo blocco anti-latifondista tra borghesia intellettuale progressista e contadini del Sud. Il saggio di D., per la novità delle tesi e la chiarezza della esposizione, suscitò grande interesse tra l’intellettualità nazionale, non solo d’area democratica.
Il contemporaneo consolidamento del regime fascista e il varo delle leggi eccezionali avrebbero però messo a tacere ogni forma di dissenso nei confronti del governo Mussolini e di conseguenza ogni critica della questione meridionale. Ne derivarono le dimissioni dello stesso D. dalla guida de “Il Corriere dell’Irpinia”, alla fine di luglio 1925, e la chiusura della gobettiana “La Rivoluzione liberale”, nel novembre dello stesso anno. Costretto al silenzio e sorvegliato dalle autorità, negli anni seguenti, D. dovette diradare i contatti con gli altri esponenti antifascisti, dedicandosi all’attività di avvocato, senza rinunciare allo studio e all’analisi dell’attualità politica, come testimoniano le annotazioni sulle sue letture di cui si può trovare traccia nei suoi quaderni di appunti. Un lavoro solitario, culminato nella redazione della prima parte di una biografia del duce, successivamente stampata nel dopoguerra con il titolo Mussolini alla conquista del potere.
Nel 1940 D. si sposò con Teresa De Silva. Nel febbraio del 1942 nacque la figlia Elisa.

Il crollo del regime e la ritrovata libertà
Il crollo del fascismo e l’armistizio nell’estate del 1943 coincisero per D. con il ritorno all’impegno politico e pubblicistico. Assieme a buona parte dell’intellettualità meridionale con cui aveva stretto legami negli anni precedenti, egli si iscrisse e militò nel Partito d’Azione. Secondo D. il crollo della dittatura e l’esperienza del Regno del Sud al fianco degli alleati rappresentavano per il Mezzogiorno un’«occasione storica» di rinnovamento, di totale rottura con il passato e di lotta intransigente al risorgere del trasformismo. A livello locale fu alla guida del giornale “L’Irpinia libera”, organo del comitato irpino del Fronte nazionale di liberazione, e venne proposto alle autorità di occupazione alleata come prefetto. Nella primavera del 1944, D. venne eletto consigliere dell’Ordine degli avvocati di Avellino.

L’azionismo
In breve tempo D. diventò una delle figure di spicco dell’azionismo meridionale, anche grazie al successo riscosso dalla sua Relazione sulla questione meridionale, presentata al congresso del partito dell’agosto 1944 a Cosenza. Una rilevanza, la sua, nel dibattito politico-culturale non solo meridionale, che trovò conferma, nel dicembre dello stesso anno con l’intervento La classe dirigente meridionale, tenuto al convegno di studi sui problemi del Mezzogiorno, organizzato dagli azionisti baresi; e, nei mesi successivi, con una nuova edizione de La rivoluzione meridionale, per l’editore Einaudi.
D. in quei mesi collaborò con numerose riviste politiche e nell’estate del 1945 accettò di dirigere il quotidiano napoletano “L’Azione”, organo degli azionisti dell’Italia meridionale. Ma l’esperienza alla guida del quotidiano, con sede a Napoli, ebbe breve durata. Complici problemi finanziari e la contemporanea caduta del governo Parri a Roma, nel dicembre del 1945, “L’Azione” chiuse i battenti. La vicenda segnò profondamente D., che decise di lasciare il Partito d’Azione. Si trattò di una scelta dolorosa, ma irrevocabile.

La candidatura all’Assemblea costituente
Segnato dalla vicenda e dalla crisi del partito, sancita dal congresso di Roma del febbraio 1946, D. prese parte ad una nuova iniziativa politica (l’ultima), in occasione del referendum del giugno 1946, candidandosi all’Assemblea costituente, assieme ad altri esponenti del meridionalismo di area azionista, nelle liste dell’Alleanza repubblicana, per le circoscrizioni pugliesi e lucane. D., candidato come capolista, si impegnò a fondo nel corso della campagna elettorale, ma, nonostante la vittoria della repubblica, i voti della lista non furono sufficienti per eleggere rappresentanti alla Costituente.
Il fallimento anche personale causò una nuova, profonda delusione, che D. espresse in una missiva scritta ad inizio agosto a Michele Abbate: «Quando nel 1924 intitolai il mio libro: Rivoluzione Meridionale, fui tentato di dargli come sottotitolo “una rivoluzione che non avverrà mai”. Mi parve, però di essere uno jettatore e mi risolsi per l’attuale sottotitolo. Peccato! Sarei stato facile profeta».

L’epilogo: tra disincanto e riflessione teorica
Il rientro ad Avellino fu segnato da un serio peggioramento delle sue condizioni di salute, con il concorso dello stress vissuto nei mesi precedenti e di congeniti problemi cardiaci. Queste complicazioni resero impossibile l’avvio di una nuova collaborazione giornalistica, la direzione del quotidiano indipendente di sinistra “La Nazione del popolo”, incarico inizialmente accettato, su invito di Tristano Codignola e Giorgio Spini nell’agosto del 1946, ma che poi D. dovette rifiutare nelle settimane successive. Le sue condizioni di salute purtroppo si aggravarono irrimediabilmente.
Morì ad Avellino il 5 gennaio 1947.

Il profondo e crescente disincanto per le vicende politiche lo aveva spinto, negli ultimi mesi della sua vita, ad una intensa fase di studio e di elaborazione teorica. Paradossalmente lo sconforto per gli eventi attuali contribuiva ancora una volta a renderlo ancora più determinato su questo fronte. Significativi lasciti di questa sua ultima fase di riflessione sono due saggi, pubblicati postumi: La dittatura borghese da Napoleone a Hitler, e Classe politica e classe dirigente, entrambi scritti redatti, presumibilmente, tra l’inverno del 1944-45 e i primi mesi del 1946. Questi contributi rappresentarono il punto d’arrivo della riflessione dorsiana su due temi che avevano caratterizzato gran parte della sua riflessione teorica, vale a dire, rispettivamente, le caratteristiche della dittatura in età contemporanea e una compiuta rilettura, in chiave democratica, della teoria delle élites.

FONTI ARCHIVISTICHE
CRGD [Centro di Ricerca Guido Dorso per lo studio del pensiero meridionalistico], Archivio Dorso; AOaAv, [Archivio del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Avellino], fascicoli personali, Guido Dorso; AcS, [Archivio centrale dello Stato], Ministero degli Interni, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati. Uffici dipendenti dalla sezione prima (1894-1945), Casellario politico centrale (1894-45), Fascicoli personali, busta 1855, fasc. D’Orso Guido.

OPERE DI GUIDO DORSO
Giordano Bruno. Conferenza tenuta addì 17 febbraio 1911, Avellino, Pergola, 1912; In difesa dell’ing. Federico Bozzoli contro il comune di Avellino, Avellino, Pergola, 1919; Con A. Cecere, In difesa di Manfra Modestino contro Nazzaro Maria fu Modestino, Graziano Consiglio fu Angelo, Avellino, Pergola, 1920; In difesa della signora Luisa Maggi contro il sig. Francesco Solimine, Avellino, Pergola, 1921; In difesa del signor Alessandro Salerno contro il signor rev. Riccardo Carlucci, Avellino, Pergola, 1922; In difesa del signor Antonio Piccolo contro i sigg. Stanislao, Giovanni e Vincenzo, Avellino, s.e., 1923; In difesa del signor Alberto Briganti contro la Banca italiana di sconto, Avellino, Pergola, 1923; In difesa della signora Giuseppina Criscuoli, maritata Vietri contro i signori Nicola e Angiolina Criscuoli, Avellino, Pergola, 1923; In difesa del comune di Montoro Inferiore contro il sig. Del Pozzo, Avellino, Pergola, 1924; In difesa del signor Giovanni Vietri, commerciante domiciliato in Avellino contro la Banca nazionale di credito, Avellino, Pergola, 1924; In difesa del cav. Giovan Giacomo Del Pozzo fu Luigi chiamato in garentia contro Alfredo Del Pozzo fu Francesco attore in principale e coniugi Giuseppe Aliberti e Rosa Giaquinto convenuti ed attori, Montoro, Parrella-Rivellini, 1925; Nota aggiunta per Bozzoli Lorenzo, Maria ed altri contro il comune e la congrega di carità di Andretta, Avellino, Pergola, 1928; con N. Bosco e F. Perrone, In difesa dei sigg. Francesco e Raffaella Amendola fu Michele, convenuti contro i germani Giuseppe, Mattia, Fortunato, Gennaro e Nicola Farina fu Francesco, attori. Oggetto: rinuncia tacita. Esecuzione volontaria di testamento viziato. Transazione generale. Erede apparente. Restituzione dei frutti. Interrogatorio. Ammissibilità, Avellino, Labruna, 1934; Relazione sulla questione meridionale, in “Quaderni del Partito d’azione”, 1944, n. 14; La rivoluzione meridionale, Torino, Einaudi, 1945; Dittatura, classe politica e classe dirigente, Torino, Einaudi, 1949; L’occasione storica, Torino, Einaudi, 1949; Mussolini alla conquista del potere, Torino, Einaudi, 1949; Bruno Ucci (a cura di), Carteggio (1908-1947), Avellino, Edizioni del Centro Dorso, 1992 (“Annali” del Centro Dorso, 1991-1992); Guido Dorso e l’Azione, Avellino, Edizioni del Centro Dorso, 1994; La classe dirigente meridionale. Relazione al convegno di studi sul Mezzogiorno. Bari, 3-5 dicembre 1944, Avellino, Sellino, 2004; F.S. Festa, M.G. Silvestri (a cura di), Guido Dorso. Tutti gli scritti dal “Corriere dell’Irpinia” 1923-1925, Avellino, De Angelis, 2010.

FONTI BIBLIOGRAFICHE 
T. Fiore, Guido Dorso. Discorso commemorativo tenuto ad Avellino il 20 aprile 1947, Manduria (Ta), Lacaita, 1947; C. Muscetta, Guido Dorso, in “Belfagor”, 1947, n. 2, pp. 575-587; M.L. Salvadori, Il mito del buongoverno: la questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino, Einaudi, 1963; I. Freda, L’interventismo meridionalistico di Guido Dorso, in “Rivista storica del socialismo”, 1965, n. 24, pp. 121-142; U. La Malfa, Guido Dorso e la classe dirigente meridionale, Roma, Edizione della voce, 1968; N. Bobbio, Saggi sulla scienza politica in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1969; R. De Felice, Il fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Roma-Bari, Laterza, 1970; M. Caronna, Guido Dorso e il Partito Meridionale Rivoluzionario, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1972; E. Ripepe, Gli elitisti italiani, II, Pisa, Pacini, 1974, pp. 735-841; V. Napolillo, Guido Dorso e la rivoluzione meridionale, Napoli, Nuovo Mezzogiorno, 1975; G. De Luna, Storia del Partito d’azione, Milano, Feltrinelli, 1982; E. Alifano, C. Valentino, La stampa politica irpina dal 1860 al 1925, Napoli, Guida, 1982; F. Bruno, F.S. Festa e B. Ucci, Per conoscere Guido Dorso. I suoi libri e il suo carteggio, Napoli, Guida, 1984; S. Fedele, Guido Dorso. Biografia politica, Roma-Reggio Calabria, Gangemi, 1986; Guido Dorso e i problemi della società meridionale, Avellino, Edizioni del Centro Dorso, 1989 (“Annali” del Centro Dorso, 1987-1988); F. Biscione, Guido Dorso interprete della crisi liberale, in “Italia contemporanea”, 1990, n. 179, pp. 317-323; Id., Guido Dorso, in Dizionario biografico degli italiani, XLI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1992, ad vocem; F.S. Festa, Dorso pensatore politico, Avellino, Edizioni del Centro Dorso, 1994; P. Polito (a cura di), Piero Gobetti e gli intellettuali del Sud, Napoli, Bibliopolis, 1995; M. Gervasoni, L’intellettuale come eroe. Piero Gobetti e le culture del novecento, Firenze, La Nuova Italia, 2000; L. Musella, Meridionalismo. Percorsi e realtà di un’idea (1885-1944), Napoli, Guida, 2004; Guido Dorso nel 60° della morte, Avellino, Edizioni del Centro Dorso, 2007; M.L. Salvadori, Italia divisa. La coscienza tormentata di una nazione, Roma, Donzelli, 2007; F. Attal, Histoire des intellectuels italiens au XXe siècle. Prophètes, philosophes et experts, Paris, Les Belles Lettres, 2013.

(Mario De Prospo, Guido Dorso, in L’élite irpina. Centocinquanta biografie 1861-2016, a cura di Guido Melis e Antonella Meniconi, Napoli, Esi, 2019).

Per saperne di più delle opere e degli scritti di Guido Dorso, esplora la bibliografia dorsiana 

Consulta l’inventario dell’archivio personale di Guido Dorso

Clicca qui per leggere la biografia su Wikipedia, oppure qui per consultare la voce a lui dedicata, redatta da Francesco Biscione sul Dizionario biografico degli italiani (vol. XLI, 1992)