Gioacchino Murat, caccia al Dna del re fucilato: aperta la cripta, riesumate le ossa
di Gigi Di Fiore (inviato)
Sulle tracce di Gioacchino Murat. Sulle tracce delle sue ossa, che finora nessuno ha riconosciuto con certezza tra le centinaia disperse nella cripta sterminata sotto il pavimento della Chiesa Matrice di San Giorgio. Il duomo di Pizzo Calabro, dal suggestivo portale barocco del ‘600 che ha una targa di marmo sul lato destro dove si ricorda, tra «le mirabili opere in dipinti e sculture del sedicesimo secolo», anche la tomba di «Gioacchino Murat re di Napoli e di Antonio Anile poeta».
Ma è conservato davvero in questa stupenda chiesa, che qui chiamano delle statue bianche, ciò che resta di Murat fucilato a 48 anni, vittima della sua illusione e tradito da tutti per le ragioni di Stato delle grandi potenze dell’epoca? I soci dell’Associazione onlus Gioacchino Murat, costituita a Pizzo 14 anni fa, ne sono convinti. E da sette anni combattono la loro battaglia, per convincere il Comune di Pizzo a esplorare la cripta della chiesa e trovare, attraverso approfondite verifiche sul Dna, i resti di Murat. Dice Giuseppe Pagnotta, presidente dell’Associazione: «Esistono documenti dell’epoca, come le testimonianze del canonico che confessò e diede l’estrema unzione al re di Napoli, che confermano la collocazione del corpo nella cripta. Vi si parla di una bara avvolta in un grande manto di stoffa in taffetà nero».Alla ricerca del corpo di Murat, ricordato a Parigi in una lapide nel cimitero di Père Lachaise, che qualcuno sostiene sia stato cremato con le ceneri disperse nel mare di Pizzo. Ma entrando nella chiesa di San Giorgio, sul pavimento, tre lastre quadrate di marmo bianco in successione. Le prime due senza scritte, nella terza dal 1976 è inciso il testo «Qui è sepolto re Gioacchino Murat. La Bastide Fortuniere 25 marzo 1767 – Pizzo 13 ottobre 1815».
Qui sotto, dove c’è il più grande cimitero sotterraneo in una chiesa dell’intera Calabria, dovrebbe esserci anche il corpo di re Gioacchino. Qualche giorno fa, è stata sollevata la prima lastra di marmo ed è stato illuminato un tappeto di ossa da perderci la testa. In fondo, visibile e fotografata, una bara in piedi. Dice il presidente Pagnotta: «Sembrano visibili tracce di quella famosa stoffa nera, di cui parlano le fonti dell’epoca. Ma la certezza l’avremo solo con l’analisi del Dna».Il giorno atteso dall’Associazione, che è riuscita a convincere il Comune di Pizzo a sostenere l’impresa, è fissato per il 30 marzo mattina. A Pizzo arriveranno i carabinieri del Ris di Messina e preleveranno la bara con i resti che vi sono contenuti. Spiega Rosa Pacifico, componente del direttivo dell’Associazione: «Vi sarà una comparazione con il Dna degli eredi di Murat, che vivono in Francia. Il problema da risolvere è, scendendo attraverso una scala da creare partendo dalla prima lastra di marmo, come superare le montagnelle di ossa ammassate nella cripta»
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