Giambattista Vico, un gigante del pensiero nella biografia di Marcello Veneziani
Una gran bella biografia del filosofo napoletano, il cui pregio maggiore è quello di aver messo insieme in una mirabile sintesi un approccio divulgativo dell’opera del filosofo con la profondità del suo pensare
by Leonardo Giordano 14 Settembre 2023
Vico di Marcello Veneziani
«Siccome Esiodo diceva che Minosse era il più regale de’ regi, giacché governava le città collo scettro di Giove, così noi potremmo dire che Giambattista Vico sia il più filosofale fra tutti i filosofi. Perocché questo personaggio, il quale splende assai illustre, anzi che restringersi in una o più scienze, spaziò con alta e divina mente su tutto l’umano sapere. Di fatto, unendo egli la filologia colla filosofia, e la storia delle nazioni colla metafisica, tessette un sistema ignoto all’età che preceduto lo aveano. Lo stile poi con cui aperse i suoi interni profondi sensi, paragonar si può a un torrente, cui i soli forti tragittan con sicurezza; mentre i deboli annegati rimangono per la rapidità delle acque. Quale stupenda affluenza di idee! Quale accumulamento di verità in ciascuna pagina dei suoi scritti!»
Così Francesco Lomonaco, scampato al capestro di Piazza Plebiscito dopo il fallimento della Repubblica Partenopea, sintetizzava il lascito culturale immenso di Giambattista Vico; lui che ne aveva fatto conoscere le opere a Foscolo e a Manzoni durante la sua permanenza milanese di inizio Ottocento.
Passata l’infatuazione illuminista, prima, romantica ed idealista poi, per la filosofia vichiana, in Italia il filosofo napoletano fu relegato nel dimenticatoio sicché si è arrivati dopo gli anni ’70 ad “espellerlo” completamente dai programmi scolastici. Due nobili tentativi di riprenderne il pensiero ed indicarne la vitalità furono quello degli studi dell’italianista cattolico Rocco Montano e quello dei Centri di Cultura Italiana (una sorta di “scuola d’idee” parallela alla Destra e diretta da Ernesto De Marzio) che agli albori degli anni ’70 organizzarono a Bari un convegno con autorevolissimi studiosi stranieri di Vico, la cui saggia e dotta presidenza fu affidata ad Elias De Tejada.
Un tentativo di rinverdirne la memoria e di riportarne la figura al centro del dibattito culturale italiano odierno è il recente volume di Marcello Veneziani, Vico dei Miracoli, edito da Rizzoli.
Quella di Veneziani è una gran bella biografia del filosofo napoletano, il cui pregio maggiore è quello di aver messo insieme in una mirabile sintesi un approccio divulgativo dell’opera di Vico con la densità, lo spessore e la profondità del suo pensare.
Quali sono i punti di forza di questo saggio? Innanzitutto la felice ed originale idea di scriverlo in quello che Tejada chiamava “italiano napoletano”, preferendolo all’italiano toscano. Insomma Veneziani ha deliberatamente scelto di “sciacquare i panni” sulle rive del Tirreno a Mergellina invece che nell’Arno. Quali le ragioni di questa scelta? Crediamo che essa risponda soprattutto all’esigenza di immedesimazione nell’atmosfera culturale, nel contesto sociale e financo antropologico della Napoli di fine Seicento ed inizio Settecento per poter rendere più “vero” il suo profilo biografico di Vico.
Questa scelta non è assolutamente una scelta inopportuna e arbitraria se pensiamo che nella “Napoli Spagnola” di fine Cinquecento, secondo la ricostruzione che ne fa Elias De Tejada, fu molto acceso il dibattito tra gli intellettuali dell’epoca circa l’uso dell’italiano napoletano o dell’italiano toscano come lingua ufficiale della “Spagna Italiana”.
Sempre rispondendo al bisogno di aderenza allo spirito del tempo, Veneziani sceglie inoltre un approccio narrativo che potremmo definire “ignaziano”, spesso badando a quella che il santo di Loyola, nei suoi Esercizi Spirituali, definiva “composizione di luogo”, cioè una precisa e particolareggiata ricostruzione immaginaria delle scene di vita di Vico con speciale attenzione ai dettagli che riguardavano i luoghi e le atmosfere, quasi a volerle rivivere immedesimandosi interamente e totalmente in esse.
Val la pena forse darne un saggio citando il brano in cui Veneziani rievoca l’ultima lezione di Vico:« Ce lo ricordiamo quanno traseva in aula o’ professore. A testa bassa, e passi brevi, auribus demissis, diceva lui, con le orecchie basse come nu ciucciariello mortificato. Lasciava a lato della cattedra il bastone, il cappello e andava a sedersi. Noi ci alzavamo in piedi quando saliva in cattedra e lui senza guardarci ci diceva, a bassa voce:«Assettateve». Poi apriva il quaderno, i fogli d’appunti volavano e lui si chinava con fatica a raccoglierli. Sistemati i fogli, ci guardava, e il suo sguardo era tenero e malinconico, i suoi occhi lucidi e parlanti. Guardava e taceva».
Consapevole della complessità del pensiero di Vico e delle impervie espressioni del suo stile (“il torrente in cui solo i forti tragittan con sicurezza” secondo la felice espressione di Lomonaco), Veneziani alterna sapientemente narrazione biografica e illustrazione del processo di sviluppo del pensiero vichiano. Questo espediente formale aiuta a meglio digerire ed assimilare i punti cardini della filosofia del pensatore napoletano. Alla fine, in maniera quasi impercettibile e con disinvolta naturalezza Veneziani ci introduce nel carattere “eroico” di questo pensiero che ha sfidato il tempo e i confini geografici: «La vita di Vico fu tormentata, forse tragica, ma non fu eroica: invece la sua mente sì. Fu un eroe del pensiero e ne affrontò i tormenti e le sfide».
Questo pensiero, pur avendo radici napoletane, italiane, latine, mediterranee e cattoliche, sostiene Veneziani, non ha difettato di una dimensione europea nella misura in cui ha sfidato le filosofie di autori quali Cartesio, Grozio, Pufendorf, Spinoza, Leibniz e Hobbes e si è confrontato con le idee di Bacone e Montesquieu.
Ha sfidato il tempo perché alcuni capisaldi del pensiero vichiano si trovano ad ispirare autori e filosofi contemporanei: quanto della “grammatica universale” del linguista Noam Chomsky può ritrovarsi nel concetto di “lingua mentale comune a tutte le nazioni” elaborato da Vico?
Quanto il concetto di “diritto naturale”. del quale parlò Benedetto XVI durante il suo intervento al Bundestangdel 22 settembre 2011. deve all’idea di “eterno vero” e di “senso comune quale giudizio senza alcuna riflessione, comunemente sentito” coniati da Vico e che secondo Benedetto XVI risiede alla radice stessa dell’identità europea?
Nel 2007, Zeev Sternhell pubblicò un corposo saggio dal titolo Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra Fredda, (Baldini e Castoldi Editore). In questo saggio Giambattista Vico è citato per ben 52 volte e diviene punto ineludibile di cospicua parte del dibattito filosofico europeo del XX secolo.
L’essere considerato “anticipatore” e precursore di dottrine per certi versi opposte ed antitetiche fa del suo pensiero un possibile punto di sutura fra le lacerazioni e le contrapposizioni che hanno caratterizzato la cultura europea, almeno a partire dalla Rivoluzione Francese. Da qualche tempo dimenticato in patria, ha fatto bene Marcello Veneziani, in questo suo saggio, a rilanciare e riproporre l’importanza del pensiero e delle opere di Giambattista Vico.
@barbadilloit
Leonardo Giordano