GAETA, 13 FEBBRAIO 1861
Quando la Patria Napolitana
aggredita e sconfitta non si arrese
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Dopo novantaquattro giorni di duro assedio compiuto esclusivamente con un continuo ed estenuante bombardamento che comportò lo sparo su Gaeta di oltre 160.000 colpi, di cui molti a granate con spolette esplodenti a massima carica; dopo l’avvelenamento delle condotte idriche di Monte Conca, situate al di là delle linee piemontesi, e la conseguente epidemia di tifo scoppiata tra le truppe e la popolazione assediata, nonostante la determinazione di militari e cittadini di proseguire comunque nella resistenza, S.M. il Re Francesco II decise di porre fine all’eroica difesa militare del Regno.
Resistere ancora alla devastante guerra mossa senza scrupoli e con disonore da quell’armata di invasori che senza alcuna dichiarazione di guerra aveva assaltato come predoni uno stato ricco, indipendente e pacifico, avrebbe solo accresciuto le sofferenze di quegli uomini e di quelle donne che, comunque, avrebbero difeso fino all’estremo sacrificio la loro antica Patria Napolitana.
D’altronde l’incredibile pioggia di bombe che giorno e notte martoriava i contrafforti, i palazzi, le chiese e le case dell’antica e splendida città di Gaeta, era il “naturale effetto” della nuova concezione di guerra, introdotta dalla “rivoluzione ateo-liberale”, fedelmente rispettata dalla soldataglia del Savoia.
Non aveva senso secondo gli assedianti piemontesi, scomunicati portatori di un’etica militare aberrante, fare una guerra basata sulle antiche regole cavalleresche che impedivano agli eserciti di coinvolgere la popolazione civile.
L’ordine era di prendere Gaeta, al di là dell’onore militare, delle “linee di avanzamento” o di assalti alle mura, costi quel che costi alla città ed ai suoi abitanti. E così fu.
In quei tre mesi di inferno Gaeta subì una devastazione senza misura e senza precedenti da parte di un nemico che mai osò spingersi fin sotto le mura della Piazzaforte né, tanto meno, cercò di conquistare attraverso una leale battaglia. Gli “eroi” scesi dal nord a depredare e saccheggiare preferirono mettersi al sicuro dietro le colline e bombardare alla cieca, giorno e notte, la nostra gente, la nostra Patria, la nostra civiltà uccidendo, bruciando e distruggendo tutto.
La ferocia e l’odio di chi veniva a spogliarci in nome di una falsa unità, raggiunse l’apoteosi durante le trattative per la capitolazione di Gaeta.
Mentre gli ufficiali dei due schieramenti stavano espletando le procedure di firma del documento di resa, il Cialdini ordinò di fare fuoco a volontà e senza sosta accrescendo all’inverosimile l’intensità del bombardamento. La risposta che egli freddamente diede a chi gli faceva notare l’inutilità e le responsabilità di fronte a Dio ed agli uomini di quella strage senza senso fu: “Sotto le bombe si tratta meglio”. E a chi ancora riferiva del tragico coinvolgimento di civili inermi, ospedali e feriti egli replicava: “Le mie bombe non hanno occhi”. Fu così che il 13 febbraio del 1861 un’immensa ed infernale pioggia di proiettili di ogni calibro e potenza investì la città, le case, le strade, gli ospedali, le chiese, i monumenti, la gente e l’intera linea di resistenza di terra dove ormai ogni difesa si era mitigata in attesa degli ambasciatori.
Tale evenienza consentì agli invasori di esporsi al di fuori dei loro trinceramenti e di meglio puntare le loro potenti artiglierie rigate. In una salve infernale colpirono in pieno la piccola Batteria Transilvania, tenuta dai giovanissimi eroi della Nunziatella, e fu strage. La violenta esplosione travolse anche la vicina Batteria Malpasso, con il contiguo deposito delle polveri da sparo, uccidendo tutti i militari, compresi i giovanissimi eroi.
Finalmente alle 18.30 dello stesso giorno le batterie degli assedianti improvvisamente si tacitarono per consentire agli ambasciatori borbonici di rientrare nella Piazzaforte a notificare l’atto di resa.
A questo punto sembrava tutto compiuto, ma non è così. Nuovi elementi stanno oggi emergendo nella faticosa e difficile ricerca storica sull’Assedio di Gaeta che, pertanto, appare tutt’altro che scontata.
Come si potrà notare, l’art. 2 dell’atto di capitolazione entra in forte contraddizione con l’evenienza che la mattina del 14 febbraio le truppe di assedio fossero ancora impegnate nella costruzione di una nuova e possente batteria a 6 canoni rigati tipo “cavalli” nei pressi di Montesecco, a meno di 800 metri dalla Fortezza.
Se, poi, si analizzano alcune stampe e foto di quei giorni si notano combattimenti anche nei pressi della Torre di Orlando, posta sulla sommità di Monte Orlando, che, secondo il citato art. 2 della capitolazione, doveva essere consegnata ai piemontesi senza colpo ferire.
Il compianto Don Paolo Capobianco, citando il regolamento delle Piazze militari del Regno delle Due Sicilie, che accreditava la potestà di resa delle stesse esclusivamente al Re, sosteneva la tesi di una illegittimità di firma nel documento di resa da parte degli ufficiali borbonici.
In pratica, quanto sottoscritto dai Comandanti della Piazzaforte di Gaeta, doveva essere firmato o, comunque, ratificato dal Re, cosa che di fatto non avvenne mai.
Ciò dato, quasi sicuramente Torre d’Orlando non si arrese e per prenderla fu necessario conquistarla “metro per metro”. Certamente, per ovvi motivi di propaganda e per non alimentare le voci sull’illegittimità dell’intera spedizione, l’evento fu tacitato e cancellato dai giornali militari e dalle cronache.
Solo così si spiega il perché degli spari anche nei seguenti giorni 14, 15 e 16 febbraio, il perché della presenza della bandiera Borbonica che, nonostante le “cronache militari piemontesi affermino altro”, il 16 ancora sventolava su alcuni spalti del colle e perché alcuni giornalisti e incisori del tempo ritraggono scene di guerra nei pressi di Torre di Orlando. Per non parlare di alcuni cronisti esteri che il 17 febbraio scrivono: “… si ode il fragore solitario del cannone”.
Quanto accadde a Gaeta dopo la resa militare potrebbe sembrare di poco conto, ma in realtà è estremamente importante dal punto di vista del Diritto Internazionale ed avvalora l’illegittimità dell’intera operazione comandata dai Savoia.
Se, infatti, l’invasione fu un’azione di pirateria internazionale in grande stile, ovvero un’aggressione militare ad uno stato libero ed indipendente con l’avallo delle potenze del tempo, ogni atto discendente senza l’accettazione del legittimo governo fu, di fatto, un atto illegittimo.
Allora, che valore poteva avere un documento di resa con tali premesse? Chi e come avrebbe fatto rispettare quanto sottoscritto? Chi il giudice di un’azione di per se già fuori da ogni regola? L’Inghilterra, la vera mandante, oppure la Francia, la sua fiancheggiatrice?
L’assedio certamente cessò, i militari si fermarono, anche se qualcuno, come abbiamo visto, probabilmente continuò fino alla fine, ma la Patria rappresentata dall’augusto Sovrano S.M. Re Francesco II di Borbone non si arrese. Mai.
Nessun trattato o atto di capitolazione dispone una tale evenienza. Lo stesso Re nel lasciare Gaeta diede un arrivederci. E ciò è quanto basta.
E’ questo in realtà il grande valore di Gaeta, questo il vero messaggio che la Città Martire porta inciso sulle sue mura ancora intrise del sangue dei nostri Eroi.
Cap. Alessandro Romano
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A Gaeta, dove è indelebilmente marchiata la nostra identità di popolo, ogni anno è innalzata con amore la Bandiera del Regno delle Due Sicilie, così come avviene nel contempo in tutte le parti del mondo dove si trovano i figli più fedeli di una Patria immortale.
Infatti, il 13 febbraio è il giorno dell’Orgoglio Identitario e si espone, ovunque ci troviamo, il Sacro Simbolo della Nostra Terra e della Nostra antica Civiltà, il Vessillo dinastico del Regno delle Due Sicilie.
Il 12 febbraio del 2017, è stato inaugurato il GIARDINO DELLA MEMORIA, su proposta di Pino Aprile,l’autore di “ TERRONI” e di “CARNEFICI” dove a pag. 461 ha scritto:” Se l’Italia non farà il sacrario, qualcun altro lo farà a Gaeta, a Pontelandolfo, a Casalduni, ad Auletta, a Bronte,a Castellammare del Golfo, o ad un altro dei luoghi del nostro martirio. Arriveranno migliaia di terroni, ognuno con una pietra e con un fiore; e faremo da soli, se non si volesse fare insieme. E su ogni mattone, il nome di un paese distrutto o di Concetta Biondi, di Angelina Romano, di Ninco Nanco, di Nicolò Lombardi, di Michelina Di Cesare, di Matteo Negri..o di soldati morti a Fenestrelle.