LO SAPEVATE CHE FONDI E’ STATA PER SECOLI “LA PORTA D’ INGRESSO” DEL REGNO DI NAPOLI?
La frontiera tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio era infatti situata tra Terracina e Monte S. Biagio (al km 109,500 dell’attuale via Appia). È qui che si trovava – e si trova ancora oggi – la cosiddetta “Torre dell’Epitaffio” (che qui potete vedere nella foto in alto, in un’incisione di Luigi Rossini del 1839, coll. Rizzi). Da un portale ad arco posto a cavallo della vecchia Appia si accedeva ai territori sotto il potere temporale del Papa, come ci ricorda ancora la scritta incisa sulla chiave di volta. Gli edifici intorno erano destinati alla dogana e alla guarnigione di controllo. Sulla tomba di epoca romana situata nel piazzale fu collocata nel 1568 la lapide (da qui il nome “epitaffio” che il monumento ha assunto col passare del tempo) fatta incidere dal viceré Don Perafan de Ribera: “PHIL. II CATH. REGNANTE PER AF ALCALAE DUX PRO REGE HOSPES HIC SUNT FINES REGNI NEAP SI AMICVS ADVENIES PACATA OMNIA INVENIES ET MALIS MORIBUS PULSIS BONAS LEGES MDLXVIII”, iscrizione con cui, in sostanza, si dava il benvenuto agli ospiti e li si avvisava che chiunque fosse entrato in pace avrebbe trovato tutto sommato un luogo tranquillo dove i cattivi comportamenti sarebbero stati contrastati da buone leggi. L’ingresso ufficiale nel Regno di Napoli era invece rappresentato dal complesso monumentale detto “Portella”, situato poco più avanti, al km 112,300 dell’Appia, non distante dall’attuale stazione ferroviaria di Monte S. Biagio. Si tratta di una grande porta monumentalizzata da due torri laterali cilindriche in mattoni e travertino (qui nella foto in basso, in un’altra incisione di Luigi Rossini, coll. Rizzi). Tra la Torre dell’Epitaffio e le torri di Portella vi era la cosiddetta “Terra di Nessuno” che comprendeva l’intera zona di Vallemarina, compresa tra i monti e il lago, con i vertici che arrivavano fin sui paesi tristemente famosi per le loro frequentazioni brigantesche: Sonnino, Vallecorsa e “Monticelli” di Fondi. Qui i briganti vi trovavano rifugio sicuro e la facevano da padroni, avendo anche la possibilità di spostarsi da uno stato all’altro con estrema facilità.
Pasquale Peluso