“La dismissione” nell’anniversario dell’eccidio di Pietrarsa: Ermanno Rea e l’importanza della memoria
di Gigi Di Fiore
Oltre le chiuse e polverose polemiche accademiche, sterili e utili solo a se stesse, c’è tutto un mondo di sensibilità e culture aperto alla storia senza etichette. Alla memoria del proprio passato e delle proprie identità politico-sociali.
Una riflessione doverosa, il 6 agosto, giorno di ricorrenza del famoso eccidio degli operai di Pietrarsa dinanzi la loro fabbrica nel 1863. Non voglio, ancora una volta, ricordare cosa avvenne. La premessa dà il senso al mio blog, in questo giorno.
Il senso si chiama “La dismissione”, il bellissimo libro che uno scrittore e fine intellettuale di sinistra, come Ermanno Rea, scrisse nel 2002 in maniera partecipata sulla chiusura dell’Italsider di Bagnoli. Un libro sulla fine della cultura operaia, sui pericoli legati alle fabbriche che non ci sono più con conseguenze nefaste per il sistema sociale che si nutre di lavoro.
Senza lavoro, senza cultura operaia, si aprono enormi varchi d’inserimento per il crimine organizzato, si scatenano affari illeciti alimentati dal mercato della disperazione. Poteva mai, Ermanno Rea, parlare di morte dell’Italsider, senza dare uno sguardo al primo episodio emblematico su quella che chiama “la fabbrica negata” nel Sud?
No, Rea non si chiedeva chi e come aveva descritto e approfondito quelle vicende. Gli bastava che fossero vere e documentate e le riportò nel suo libro: parlò di Pietrarsa e del suo dramma. Il racconto lo mise in bocca ad un professore in una conferenza intitolata “Napoli e la sua fabbrica”. Così: “Nel 1863, raccontava frattanto il professore, i soldati piemontesi entrarono con i fucili spianati nelle officine di Pietrarsa, affollate da lavoratori inermi che scioperavano in difesa del salario e del posto di lavoro, uccidendone non so quanti. Una carneficina di cui nessuno sa niente e della quale ormai si va perdendo perfino il ricordo. Altrove, quei morti, avrebbero mobilitato poeti, scrittori, pittori, politici, giornalisti, storici”.
Chissà perché Rea lascia, nell’elenco, gli storici all’ultimo posto, facendoli precedere da ben altre categorie. Ma si pone il grande problema di come molte vicende storiche siano rimosse. E aggiunge, sempre nello stesso libro a pagina 61: “Non trovate incredibile che questo episodio tenda addirittura a scomparire dalla memoria collettiva della città, a essere inghiottito dal pozzo dell’oblio generale? Una metropoli senza passato, potremmo definirla, senza storia”.
Ecco, Rea colse il senso: dietro la rimozione di molte vicende della nostra storia si nascondono interessi occulti legati ai presenti. Checché oggi possano dirne polemiche di casta. Cosa e chi difendono quelli che, in nome di una storia che si spiega in se stessa, ne occulta la memoria che è alimento per l’agire?
Rea, scomparso lo scorso 16 settembre, spiegava i pericoli di una metropoli che non tiene vivo il ricordo della sua storia con la memoria: “A Napoli l’operosità di tante singole persone e gruppi è come riassorbita e cancellata da quell’indistinto sociale che va sotto il nome di plebe”. Quella plebe che, lasciata nel suo presente e privata del passato, annienta il resto. Onore a Rea, dunque, che aveva le idee chiare sull’importanza della memoria nella storia. Giusto rammentarlo, nell’anniversario dell’eccidio di Pietrarsa.
Domenica 6 Agosto 2017, 11:28