L’amara Unità d’Italia
Riflessioni su una storia scomoda nell’incontro con la scrittrice Dora Liguori
di Raffaella Anna Dell’Aere
Dora Liguori
L’incontro con l’autrice
Dora Liguori, docente universitaria, dirigente nazionale di un sindacato che raccoglie artisti e professori, da 15 anni gira in lungo e in largo l’Italia e l’Europa per illustrare, con la forza e la dolcezza tipiche della donna autorevole del sud, una storia scomoda e alternativa, quella dell’amara Unità d’Italia.
A Ruvo, insieme a Salvatore Matarrese e Vito Angelo Ippedico, ha voluto dare un apporto controcorrente alla proposta culturale che caratterizzerà la campagna elettorale di Mariatiziana Rutigliani, candidata sindaco della città. Un invito a vivere la storia per riappropriarsi delle radici e del territorio e vivere con orgoglio la nostra genesi “sudista”.
L’intervista
Perché lei definisce “amara” l’Unità d’Italia?
Perché è stata amara soprattutto per il meridione, ma anche per altre regioni. È stata una unità forzata, voluta, ma sicuramente non è stato un bene per questa penisola.
Qual è stato il ruolo dei “poteri forti” nel favorire il progetto piemontese nell’unificazione della nostra penisola?
Non è un segreto che i poteri forti, in questo caso l’Inghilterra, avevano tutti gli interessi a conquistare il regno del sud per via dello zolfo e dell’apertura del canale di Suez, quindi si sono spesi in tutte le maniere per aiutare e chiamare a raccolta la Massoneria mondiale; anche quella americana intervenne a raccogliere fondi. Perché servivano questi soldi? Purtroppo per corrompere i generali dei Borbone.
Il ruolo della mafia è stato determinante nella nascita della Repubblica Italiana, una volta liberata dal nazi-fascismo?
Anche con Garibaldi la mafia è stata determinante perché, quando è sbarcato a Marsala, uno dei primi soccorsi che ha ricevuto è stato quello dei “picciotti” chiamati dai latifondisti, anche se la storia, in merito a questo, è stata molto controversa. Ma sicuramente lui è entrato a Palermo scortato dai “picciotti”, questo è un dato storico. C’è stata anche la sua bravura nel far vedere che si trattava di un esercito grandissimo che conquistava la città. Garibaldi non era certo uno stupido.
Anche dopo la seconda guerra mondiale c’è stato un soccorso. Non è un segreto che in Sicilia la mafia aiutò. Mi riferisco alla cosiddetta “liberazione”, che indubbiamente lo era. Però che la mafia sia sempre presente al momento giusto, col personaggio giusto, è un dato di fatto.
La storia raccontata dai media
Oltre all’esempio dello sceneggiato televisivo del 1980 “L’eredità della priora” di Anton Giulio Majano, basato sull’omonimo romanzo di Carlo Alianello, che vide la riscrittura della storia, come si è orientata la produzione cinematografica nel raccontare le vicende dell’unificazione d’Italia, rispetto all’orientamento omissivo dei libri storici?
La cinematografia, dopo “L’eredità della priora”, non ha fatto più nulla e quando l’ha fatto, ha travisato la storia. Per esempio hanno fatto uno sceneggiato che io ho guardato, dal punto di vista storico, con orrore. Hanno parlato di Crocco, l’hanno fatto diventare una macchietta. Quando sono costretti a parlarne, ridicolizzano le imprese. Non è che io sia un’ammiratrice del brigante Crocco, ma sicuramente non era una macchietta, aveva una sua grandezza ed è stato uno che ha fermato i Bersaglieri e i Carabinieri. Non lo puoi far diventare un personaggio che danza sulla spiaggia. Ricordo un altro film del 1952, “I briganti di tacca del lupo” di Pietro Germi, con Amedeo Nazzari che riprendeva una costruzione storica molto precisa, ma è andato raramente in onda se non in quel periodo.
C’è la speranza che la storia sia riscritta seguendo la realtà storiografica?
Ad esempio, io ho scritto il mio romanzo “Memento domine” perché il sud abbia una sua storia alle spalle, perché un popolo senza storia è un popolo che non esiste. Nel momento in cui si voglia tradurre in film un libro bisogna essere fedeli alla ricostruzione perché è puntualissima, altrimenti è meglio non farlo. Se si deve far qualcosa, deve essere utile alle generazioni e far capire la grandezza del sud.
Il ruolo femminile nella società
Quale cambiamento ha apportato l’annessione del Regno delle Due Sicilie alla figura ed al ruolo femminile nella società?
Io teorizzo, non nel romanzo, ma nel saggio, che la donna, quando è diventata brigantessa, quando c’è stata una rivolta feroce delle donne sulle montagne al posto degli uomini, per loro è stato un grande momento di rivendicazione del proprio ruolo, perché un colpo di fucile è identico nel suo effetto se causato da una donna o da un uomo. Questo è stato il grande momento delle donne che hanno tenuto in scacco le postazioni in maniera veramente feroce laddove avevano già ammazzato quasi tutti gli uomini. E poi dopo, però, si sono consegnate per non fare ammazzare i propri figli. Del resto la società, il Regno d’Italia, non tenevano conto nemmeno delle donne di casa Savoia, figuriamoci il resto. Hanno accontentato giusto Matilde Serao un po’ e Grazia Deledda anche per far tacere la Sardegna che era sempre un po’ ribelle.
Passato e presente
Dall’Unità d’Italia ad oggi, confronto e prospettive.
Noi continuiamo a pagare ancora quel momento, quando non siamo stati più una grande capitale e un grande regno. Purtroppo anche i governi che si sono succeduti, la caduta dei Savoia non hanno cambiato nulla e il grande danno che è stato fatto non è stato tanto il genocidio, perché quelli ci sono sempre stati, ma è stata la negazione del genocidio, di dire “noi siamo venuti a liberarvi”, semmai a depredarci, che è un altro discorso. Persino le traversine dei treni sono stati divelte e portate al nord. Da allora in poi hanno inculcato nella gente del sud un pensiero del tipo “Se vuoi qualcosa, devi chiederlo se non con il berretto in mano”. Il sud, però, si è vendicato a modo suo in due maniere, una che tutti i Carabinieri sono stati del sud, rivelandosi i più feroci nelle repressioni; e secondo, è nato questo modo di dire: ”Lo Stato è corrotto perchè mi ha trattato in questa maniera e io sono più corrotto dello Stato”. Ecco la corruzione spiegata, una specie di vendetta inconscia.
Se i giovani potessero avere una coscienza collettiva si potrebbero creare dei buoni politici, una volontà nazionale di partecipare con dignità alle trattative, perché il sud partecipa ancora con le ali basse.
Cosa può spingere un giovane ad acquistare il suo libro “Quell’amara Unità d’Italia”?
Leggere per conoscere e capire ciò che erano i loro progenitori, ciò che era il sud. Infatti i giovani e le scolaresche che leggono sia il mio romanzo “Memento domine”, sia il saggio “Quell’amara Unità d’Italia”, poi mi contattano per conoscermi. Ci sono dei pregiudizi e con orgoglio non bisogna aver timore di rispondere con educazione e civiltà.
Ruvo di Puglia – lunedì 29 febbraio 2016