Piccole soddisfazioni poter leggere il proprio nome (insieme a quello dell’amico Valentino Romano), nel testo e nelle note di un volume pubblicato recentemente dall’università di Cambridge. L’autore conforta la nostra tesi di rivolta sociale nella guerra contadina del brigantaggio.
CIVIL WAR AND AGRARIAN UNREST, (Enrico dal Lago – Cambridge University ediz.) pp. 261-2
Più recentemente, l’idea di una grande ribellione di decine di migliaia di contadini andati in montagna e supportati da una grande parte della popolazione (meridionale) è stata al centro di studi di storici per lo più non accademici come Giordano Bruno Guerri – che ha anche scritto una monografia sulle donne briganti e sull’importanza del loro ruolo nell’insurrezione dei contadini del Sud Italia – e di alcuni altri, tra cui Dario Marino, Enzo Di Brango e Valentino Romano. A dire il vero, al momento, la maggior parte degli storici accademici respingerebbe l’idea che il Grande Brigantaggio fosse prima di tutto una ribellione contadina e sarebbe invece d’accordo con Salvatore Lupo che, mentre c’erano forti elementi di conflitto sociale tra proprietari terrieri e contadini, il conflitto sociale non può essere disgiunto dal conflitto politico, e quindi dalla lotta legittimista contro il governo italiano. Tuttavia, anche se per Lupo e altri studiosi le motivazioni politiche alla fine hanno messo in ombra i fattori sociali, credo che mentre è probabile che sia gli elementi costitutivi di una grande ribellione contadina che il legittimismo borbonico convergessero nel Grande Brigantaggio, nel 1862-3 la causa legittimista ha indubbiamente svolto un ruolo subordinato alla componente sociale nelle attività dei briganti (su questa ipotesi si veda: Enzo Di Brango e Valentino Romano, Brigantaggio e rivolta di classe, Nova Delphi, 2017, pp. 109-110)