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Il venti novembre di settantāanni fa moriva a Napoli il Papa laico della cultura italiana, don Benedetto Croce.
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Croce, maestro di vita e di morte
Il venti novembre di settantāanni fa moriva a Napoli il Papa laico della cultura italiana, don Benedetto Croce. La definizione ĆØ di Antonio Gramsci, che fu il successore al soglio pontificio, seppure postumo, grazie allāegemonia culturale della sinistra dal dopoguerra in poi. Era lāepoca del ānon possiamo non dirci crocianiā, per parafrasare il filosofo. Lāimpronta che Croce lasciĆ² sulla cultura italiana nel crocevia tra storia, pensiero e letteratura, fu enorme, anche se non ebbe grandi eredi e continuatori; a differenza del suo amico-nemico Giovanni Gentile, che nonostante laĀ damnatio memoriae, lasciĆ² sparsi benchĆ© riluttanti eredi.
Come definire Croce, oltre il suo pontificato intellettuale? Le definizioni scolastiche ā neo-hegeliano, neo-idealista, storicista ā non colgono la versatilitĆ del pensatore napoletano e la varietĆ dei suoi campi dāinteresse. Anche le classificazioni āpoliticheā di Croce, āliberaleā e āconservatoreā sono rispondenti al suo modo di pensare, ma restringono il suo pensiero e la sua incidenza in un ambito che non rende tutta la sua variegata influenza. La sua ĆØ una filosofia della storia e insieme una filosofia della cultura; di lui si puĆ² dire che fu un umanista.
Fu certamente piĆ¹ pensatore europeo che italiano, e piĆ¹ scrittore meridionale che nazionale. Fu moderato ma patrocinĆ² in Italia la diffusione di non pochi pensatori radicali e illiberali: penso a Georges Sorel, a molti autori reazionari, a Julius Evola a cui aprƬ le porte dellāeditore Laterza. Fu anticomunista e anti-materialista, ma il suo giovanile italo-marxismo intrise anche lo storicismo seguente. Fu pensatore borghese, nel solco del risorgimento liberale, ma fu avversario della Massoneria che era il partito risorgimentale e poi interventista per eccellenza. Fu pensatore rigoroso e posato ma non fu mai accademico, non ebbe cattedre, se non i suoi pulpiti editoriali e letterari e il suo salotto di casa, a Palazzo Filomarino.
Davanti allāinterventismo, Croce fu freddo e critico; perorĆ² la causa dellāintervento non contro ma a fianco degli imperi centrali, e dunque contro le democrazie liberali; della sua stessa opinione furono lāambasciatore Riccardo Bollati, il giornalista Mario Missiroli e lāintellettuale Cesare De Lollis, che perĆ² poi partƬ per il fronte. Anche rispetto al fascismo, Croce ne fu inizialmente sostenitore, lo ritenne un necessario antidoto al bolscevismo e allāodio anti-italiano. Vide nel fascismo il partito dāordine che avrebbe ripristinato la disciplina e la vita nazionale. E mantenne il suo sostegno al fascismoĀ anche dopo il delitto Matteotti, pur non accettando di tornare al ministero della pubblica istruzione. Salvo poi patrocinare lāantifascismo liberale, una posizione critica che mantenne per tutto la restante vita e interruppe di rado; come quando aderƬ alla campagna dellāoro alla patria dopo le sanzioni allāItalia per la guerra in Etiopia.
Dai fascisti fu attaccato e una volta pure minacciato in casa; ma il regime non lo perseguitĆ² e la sua attivitĆ di scrittore e la sua rivista La Critica continuarono indisturbati per decenni. Croce mantenne intatta la sua autorevolezza anche nella burrasca della seconda guerra mondiale e accrebbe il suo ruolo di Padre della patria allāindomani della caduta del regime fascista.
Fu eccellente scrittore di filosofia e di storia, di letteratura e perfino di aneddotica; meno solido e originale come filosofo teoretico. Per il suo anniversario, suo nipote Piero Craveri ha dato alle stampe un suo florilegio, curato da Giuseppe Galasso sei anni fa; i brani furono letti da Toni Servillo al Teatro Bellini a Napoli. Il Soliloquio ĆØ stato pubblicato da Adelphi che va ristampando lāopera crociana, un tempo edita da Laterza. Belle le sue pagine autobiografiche sullāinfanzia e sulla vecchiaia, il diario degli eventi che lo toccarono da vicino e la convinzione di essere sul piano culturale una sorta di Atlante a cui toccava āsorreggere a forza di spalle un edificio in rovinaā convinto che āquando non ci sarĆ² piĆ¹, nessuno sottentrerĆ al mio posto, e la rovina della cultura italiana sarĆ pienaā. Un compito titanico e solitario, a suo dire.
Fra tutte le pagine resta la piĆ¹ bella e toccante quella famosa che scrisse nel febbraio del ā51 e pubblicĆ² sul Giornale di Napoli: un soliloquio in cui emerge tutta la saggezza e lāumanitĆ di Croce agli estremi della vita. Citando Salvatore Di Giacomo, Croce rispondeva a chi gli chiedeva ācome state?ā con un secco āNon lo vedi? Sto morendoā detto in dialetto napoletano. Poi sāinoltrava in una sorta di meditatio mortis: āMalinconica e triste che possa sembrare la morte, sono troppo filosofo per non vedere chiaramente che il terribile sarebbe se lāuomo non potesse morire mai, chiuso nella carcere che ĆØ la vita, a ripetere sempre la stessa vitaā. Croce coglieva laicamente la tragedia della vita in cui ĆØ inaccettabile la morte ma ĆØ insopportabile lāidea di vivere per sempre, se sāintende la vita eterna come un prolungamento infinito dellāesistenza terrena. E da filosofo riteneva, come i classici, la vita intera come preparazione alla morte. Col compito etico e stoico di āattendere con zelo e devozione a tutti i doveri che ci spettanoā. La morte, aggiungeva, sopravverrĆ āa metterci a riposoā, ma dovrĆ trovarci impegnati, fino alla fine, e non āin ozio stupidoā. Poi un accenno a Dio, con cui -diceva- siamo e dobbiamo essere in contatto tutta la vita, e non solo quando siamo alla fine, per un calcolo dāegoismo. Ognuno ha la sua sensibilitĆ davanti alla morte ma quel congedo di Croce ĆØ maestoso nella sua umiltĆ , schietto e verace, privo di illusioni e retorica. Seppe degnamente andare incontro alla morte da filosofo. Restituiamo a Croce, come a Gentile e a Gramsci, il rispetto che merita la loro lucida coerenza fino alla fine.
La VeritĆ ā 21 novembre 2022