Corradini, il tagliapietra che diede vita al marmo

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Corradini, il tagliapietra che diede vita al marmo
Fu uno dei più originali scultori italiani dell’età barocca. Il suo virtuosismo raggiunse l’apice nelle statue “velate”
-Vittorio Sgarbi – Dom, 20/09/2015

 

 

Tra le prove più alte e più ricche del barocco italiano vi è certamente la Cappella Sansevero a Napoli, voluta dal Principe Raimondo di Sangro. Responsabile principale e ispiratore del progetto è lo scultore Antonio Corradini che aveva dato prova, nel corso degli anni, di un particolarissimo virtuosismo legato alla definizione dell’anatomia e delle forme dei corpi sotto veli aderenti e bagnati.

Si tratta di quelle «Velate» il cui prototipo risale a qualche tempo prima del 1717, quando Antonio Balestra scrive all’amico Francesco Maria Gaburri: «ancora qui in Venezia abbiamo di presente un giovane scultore che si chiama Antonio Corradini, che si porta assai bene e ha fatto una statua d’una Fede col capo e faccia velata, che è una cosa che ha fatto stupire tutta la città».

Da questa, forse da identificare con la Velata ora al Louvre, Corradini si misura con il virtuosistico tema, fino a raggiungere una compiuta espressione nella maestosa Vestale Tuccia realizzata verso il 1740, senza committente, e rimasta invenduta, ora a Palazzo Barberini. A essa si ispira la Pudicizia della Cappella Sansevero, paradigma per la più celebre delle invenzioni del Corradini che è il Cristo velato per il quale un contratto del 25 novembre 1752, nell’archivio notarile di Napoli, ricorda il bozzetto commissionato da Raimondo di Sangro al «fu sig. maestro Antonio Corradini». Sulla sua idea l’anno dopo, infatti, Giuseppe Sanmartino esegue il suo Cristo velato , con sostanziali varianti. Ma la strada era stata aperta dal Corradini, protagonista indiscusso, che aveva preparato 36 modelli in creta, per la ricca decorazione della Cappella.

Nessun dubbio che egli sia stato uno dei più originali scultori italiani dell’età barocca, con un’originalità d’invenzioni senza precedenti. Si era formato a Venezia nella bottega di Antonio Tarsia, sugli esempi di Pietro Baratta e Giuseppe Torretti, e con i precedenti moderni di Giusto Le Court e Filippo Parodi. Iscritto all’arte dei tagliapietra nel 1711, nel 1713 aveva già bottega propria. Nello stesso anno è a Zara per la statua di Santa Anastasia nella chiesa di San Donato e, nel 1716, a San Pietroburgo dove realizza 18 busti e due statue per il giardino d’estate di Pietro il Grande, il monumento al Maresciallo Schulenburg e un’altra donna «Velata». Nel 1718 è a Rovigo per un altare nel Duomo, nel 1719 a Gurk in Carinzia, e tra il 1719 e il 1723 a Dresda. Frattanto (1722) scolpisce due statue velate a San Pietroburgo. A Venezia nel 1723 la sua esperienza e la sua autorevolezza erano tali da fargli ottenere, a tutela della creatività dell’artista, la separazione tra l’arte dei tagliapietra e quella degli scultori, con un collegio a parte istituito nel 1724. Sono gli anni in cui, oltre al monumento Manin nel Duomo di Udine e all’altare del Sacramento nel Duomo di Este, Corradini si occupa del restauro della Scala dei Giganti e delle sculture di Palazzo Ducale a Venezia.

La sua fama e il suo merito sono testimoniati dal Barone di Montesquieu che, nel suo Viaggio in Italia , nel 1728, scrive: «Attualmente c’è uno scultore, a Venezia, chiamato Corradino, Veneziano, che ha fatto un Adone, che appare una delle cose più belle che si possano vedere: direste che il marmo sia carne; una delle sue braccia cade senza cura, come se niente la sostenesse». L’ Adone è recentemente riapparso in una grande sede istituzionale, il Metropolitan Museum di New York, in circostanze non ancora ben chiarite. La scoperta si deve a uno studioso, Tomaso Montanari, sempre molto critico sull’amministrazione dei beni culturali e ostinato sostenitore della pertinenza delle opere al «contesto» in cui sono state concepite. Tanto più strano che, davanti a un capolavoro di questa evidenza, di cui egli ha osservato le affinità con le sculture del Duomo di Este e con alcuni gruppi per l’Elettore di Sassonia, l’ Apollo e Marsia ora al Louvre, Zefiro e Flora ora al Victoria and Albert Museum, non abbia ritenuto di proporne l’acquisto allo Stato italiano, anche in considerazione dei suoi stretti rapporti con l’ex ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, per la riforma del Codice di tutela. Rimarrà sempre misterioso perché egli non si sia prodigato per questo prioritario obiettivo, e abbia anzi cercato di coprire questa omissione, di gravità morale e culturale, prima che penale, non esibendo regolari certificazioni di esportazione del ministero (che evidentemente non ci sono), ma una buffa e irrilevante carta di una presunta «agenzia internazionale», Art Loss Register, richiesta (a pagamento) dallo stesso mercante che ha venduto la magnifica scultura al Metropolitan. Il «documento» è semplicemente una tentata legittimazione postuma dell’acquisto; ma in realtà rivela un’infedele e approssimativa ricostruzione della provenienza dell’opera, attribuendone la proprietà, nel 1950, a un collezionista, Ottavio Fabbri, che a quella data aveva 4 anni. Maldestro tentativo assai rivelatore, per confondere le acque rispetto al momento reale dell’esportazione.

Ancora, ricerche più recenti indicano nella notevole collezione di Zaccaria Sagredo, con molti dipinti di Guercino, Bernardo Strozzi, Pietro da Cortona, Salvator Rosa, Piazzetta, Tiepolo, vari marmi di Giusto Le Court, di Antonio Gai, una «Velata» e due statue coricate, Adone e Venere del Corradini. Il Sagredo muore nel 1729 e le sculture sono ricordate in un inventario del 1755 e in un secondo del 1763, sempre con la stima assai alta di 450 ducati, a indicarne la considerazione. Sappiamo che Montesquieu fu tra i rari viaggiatori stranieri che visitarono Palazzo Sagredo, accompagnato dall’amico Antonio Conti. Montesquieu scrive: «Conti mi ha accompagnato presso il signor Sagredo, a Santa Sofia, che ha una casa molto bella, ornata di dipinti e sculture»; e immediatamente dopo fa riferimento all’ Adone del Corradini. Se si considera che sullo scalone di Palazzo Sagredo vi sono ancora la Primavera e l’ Autunno di Francesco Bertos, appare anche più forte l’opportunità che un’opera memorabile come l’ Adone , una volta ritrovata, venga assicurata al patrimonio artistico italiano. Andrea Bacchi osserva: «L’importanza delle due statue, “Adon e Venere”, e l’impegno che vi dovette essere profuso da parte dello scultore è attestato anche dalla loro stima di quasi quattro volte superiore rispetto a quella della Velata che pure, sin da subito, era forse considerata la sua opera più emblematica».

Dopo la grande fortuna veneziana, Corradini si trasferisce in Austria, dove nel 1733 è assunto come scultore di corte. Lavora a Vienna per la decorazione della Josephbrunnen e a Györ, in Ungheria, per la Bundesladendenkmal. A Praga compie il monumento funebre a Giovanni Nepomuceno nel Duomo di San Vito. La sua stagione viennese, con la gestione del teatro insieme a Galli Bibbiena, dura fino al tempo della morte dell’imperatore Carlo VI (1740) e di Fischer von Erlach (1742). Corradini, in crisi, rientra a Venezia per poi trasferirsi a Roma dove incontra e frequenta Giovanni Battista Piranesi, nonostante i richiami dell’imperatrice Maria Teresa che lo vuole a Vienna e lo riconferma scultore di corte. A Roma propone 8 modelli di statue colossali per rendere più resistenti i contrafforti del tamburo della cupola di San Pietro, che richiede un restauro. Un’altra testimonianza della considerazione in cui il grande scultore è tenuto. A partire dal 1749 è a Napoli per la Cappella Sansevero, creazione ammiratissima, e con questa straordinaria esperienza chiude la sua vita.