Viespoli, mons. Iadanza e Mortaruolo si confrontano a Cives sul tema del ‘potere’
Mortaruolo, Viespoli, Rossi e mons. IadanzaMortaruolo, Viespoli, Rossi e mons. Iadanza
Si è tenuto giovedì 25 febbraio l’ottavo incontro della IX edizione di “Cives – Laboratorio di formazione al bene comune”. Ospiti della serata dedicata alla parola “potere”, mons. Iadanza, Viespoli e Mortaruolo.
Promosso dall’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Diocesi di Benevento in collaborazione con il Centro di Cultura “R. Calabria” e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, la parola-tema oggetto della discussione nell’ottavo incontro della IX edizione di Cives è stata “potere”. A parlarne sono stati mons. Mario Iadanza direttore diocesano dell’ufficio Cultura e Beni Culturali, Erasmo Mortaruolo consigliere regionale della Campania e Pasquale Viespoli già sindaco e sottosegretario di Stato.
“Il potere serve – ha affermato nella sua introduzione Ettore Rossi direttore dell’Ufficio per la Pastorale Sociale ed il Lavoro della diocesi di Benevento – ma noi spesso vediamo le degenerazioni che hanno fatto acquisire ad esso un’accezione negativa. In un’ottica cristiana il potere deve essere inteso come servizio e come un dono al servizio degli altri”.
Su questo concetto si è soffermato molto Mons. Iadanza. “Il concetto di potere è caratterizzato da una polisemia – dichiara in apertura il direttore dell’Ufficio Beni Culturali – oggi infatti dobbiamo parlare di potere economico, politico e comunicativo”. Iadanza ha sottolineato anche come oggi sia fondamentale che un’autorità debba essere realmente autorevole ed inoltre, un esempio e un modello per i cittadini: “Chi ha autorità deve essere di più”.
“Nella storia, tre sono stati i fattori che hanno radicalmente condizionato il concetto di potere – continua nel suo intervento Mario Iadanza – la formazione delle città, la politica e la nascita del cristianesimo. Quest’ultimo fattore, ha ridato dignità alla parola potere delineando anche comportamenti da seguire per chi esercita una funzione pubblica”. Il fine principale del potere, ha precisato Iadanza, “è l’esercizio della giustizia e la salvaguardia della pace”.
Il sen. Pasquale Viespoli ha invece cominciato la sua analisi con una precisazione. “Analizzando la parola potere, c’è il rischio di finire in un labirinto”. Soffermandosi sull’aspetto relazionale e su quello strumentale, che deriva dall’esercizio del potere, Viespoli in pratica ritiene che il primo aspetto sia essenzialmente quello più importante. “Molti politici – ha continuato – si illudono nodi avere il potere ed io non mi sono mai considerato nella condizione di intermediazione del consenso. Siamo sprofondati in una crisi della democrazia rappresentativa e ci stiamo incamminando verso una democrazia senza popolo – afferma il senatore – e nel nostro Sannio si è rotto il rapporto tra politica e popolo”. Secondo Viespoli è necessario dunque “riportare al centro dell’attenzione politica il cittadino e la sovranità popolare, ritornando alla corresponsabilità. Inoltre – conclude – in politica bisognerebbe avere la consapevolezza della transitorietà rappresentando idee, senza occupare ruoli. Oggi si agisce per cooptazione, non per esperienza di ruoli e di persone”.
A concludere il trittico di interventi l’on. Erasmo Martaruolo. “Il potere è la possibilità di cambiare le cose – afferma il consigliere regionale – e noi viviamo in un’epoca dove la comunicazione ha rivoluzionato il concetto di potere”. Mortaruolo tenta poi di rispondere ad una domanda: come ridare importanza alle istituzioni? “La politica non è status-quo o risoluzione monocratica dei problemi ma – sostiene – è convincimento basato sull’idea che si può e si deve scrivere una pagina della storia insieme ai cittadini. Il potere deve essere coniugato necessariamente con le parole speranza e futuro e le cose non possono cambiare se si posano solo sulle persone che esercitano una funzione pubblica. Abbiamo il dovere – ha poi concluso – di ridare speranza”.
Redazione