Carlo Perugini recensito nel 1999

La sette_2sE non chiamateli più BRIGANTI

 

Agosto 1861. L’esercito piemontese, in nome del Regno d’Italia, massacra due paesini del Sud per rappresaglia contro i «cafoni». Ma cosa nascondeva davvero la lotta ai rivoltosi? Oggi un libro e un film ripercorrono quei giorni oscuri. Quando anche la Chiesa…

Corsi e ricorsi storici», aveva ragione Vico. A 138 an­ni dall’Unità d’Italia, a «ri­correre» è quella storia nella storia del Risorgimento che nei libri di scuola viene sbrigativamente liqui­data con la formula di «lotta al bri­gantaggio». «È una brutta storia che va riscritta. Il brigantaggio fu solo il pretesto per distruggere la proprietà ecclesiastica e confiscare i beni della Chiesa, a danno delle famiglie contadine e a vantaggio del borghese agricolo, secondo l’e­spressione di Antonio Gramsci. Nel Sud non cerano di certo 80-90 mi­la briganti, eppure l’esercito pie­montese dichiarò guerra al Meri­dione». Pasquale Squitieri questa «brutta storia» l’ha portata sullo schermo con il film da poco uscito nelle sale Li chiamarono… briganti in cui si racconta l’eroismo dell’ex bracciante agricolo Carmine Donatello Crocco, reduce dal disciolto esercito di Garibaldi, e del suo compagno di stra­da, Nicola Suma, giovane «fuorilegge». «I contadini, come dimostra la storia di Donatel­lo Crocco, non erano contro l’Unità d’Italia, perciò non potevano essere a favore della colonizzazione pie­montese. I massacri dei contadini al Sud sono la vergogna dello Stato unitario: il risultato fu il depaupe­ramento e l’emigrazione di sei mi­lioni di meridionali. Oggi la Boni­no parlerebbe di deportazione».

La sette_3sDal cinema all’editoria. Qualche settimana fa su Sette Enzo d’Errico recensiva il libro di Gigi Di Fiore, 1861 Pontelandolfo e Casalduini. Un massacro dimenticato. Su quel­le stragi è apparso un altro libro, Agosto 1861, memorie di quei gior­ni, scritto questa volta non da un giornalista, ma da un ingegnere di Pontelandolfo, Carlo Perugini, e pubblicato da La Scarana di Benevento. Qualche anno fa un libro del genere sa­rebbe stato archiviato tra i testi di «storia minore» o locale. Agosto 1861 racconta una parte non secondaria della prima «guerra civile» italiana e come si giunse al massacro dei «cafoni» da parte dell’eser­cito piemonte­se, ma, soprattutto, attraverso la cronistoria dei fatti fa intuire come il Regno d’Ita­lia non nacque dall’unione degli italiani ma dalla loro divisione. La «storia minore» è il lato oscuro del­la «storia maggiore».

Il libro di Perugini non è né un saggio storico, come in parte è quello di Di Fiore, né un romanzo storico, qual è il libro di Annibale Paloscia, Storia saffica di Lucistella, di un giornalista inglese, di un uffi­ciale evirato e di una tarantola (altro testo che racconta i tragici fatti del 1861 a Pontelandolfo); è, invece, la rielaborazione fedele del diario di Antonio Pistacchio, il perito agro­nomo pontelandolfese che visse quel torrido agosto di 138 anni fa e ne raccontò gli eventi in un mano­scritto utilizzato a fini di giustizia.

È’ noto: la storia non si fa con i «se». Ma il diario di Pistacchio, rac­contando giorno per giorno i fatti, mette in luce quanto fosse possibi­le evitare il massacro finale. «Cialdini», dice Squitieri, «era un mili­tare alla von Clausewitz, lui fucila­va.  Il fatto è che risposero con l’e­sercito a un problema di polizia».

manoscrittoLa vicenda durò due settimane. Il 1° agosto il ricatto dei briganti che chiedevano «ducati ottomila e due some d’armi» altrimenti il pae­se sarebbe stato messo a sacco.

Il 14 agosto ci fu il sacco, fatto però dall’esercito italiano. Tra l’inizio e la fine dei fatti di Pontelandolfo ci sono tipiche storie della «disunità d’Italia»: il sindaco e il parroco, contadini e proprietari, nuovi pa­droni e vecchi abusi. Del paese ri­mase in piedi solo la splendida ma muta torre medievale. Poi nel 1890 il ritrovamento nell’archivio della pretura di Pontelandolfo del docu­mento di Antonio Pistacchio: «Don Rocco», dice l’ingegnere Perugini che coltiva il vizio della curiosità storica, «decise di dare diffusione a un così importante documento fa­cendone una copia manoscritta conforme all’originale. A quel tem­po, Don Rocco lavorava come usciere di pretura a Pontelandolfo prima di trasferirsi a Ficulle (Ter­ni), dove morì suicida il 1° giugno 1902.

Il manoscritto venne poi cu­stodito da don Gaetano Perugini e dai suoi eredi ma presto se ne per­sero le tracce. Nel 1970 la copia manoscritta del diario ricopiata da don Rocco Caterini venne rinvenu­ta a Pontelandolfo dove tuttora vie­ne gelosamente custodita. Io ne ho ricavato una copia in Cd rom».

Dal diario emerge la distanza tra la popolazione e lo Stato, rappre­sentato dai militari. È in questa «distanza», tipica del nostro Risorgimento, che la Chiesa, dapprima, si potè inserire per preparare e in­citare alla rivolta. Ma in un secon­do tempo «sarà proprio la Chiesa», dice Squitieri, «per ragioni politi­che non solo italiane, a invitare i parroci a far prendere i briganti».

La rappresaglia dei piemontesi fu la risposta al massacro di Casalduni dove briganti e contadini uc­cisero 45 soldati: «I soldati italiani entrarono in paese come una furia. Erano comandati dal colonnello Negri, che doveva eseguire l’ordine del generale Cialdini: “che di Pon­telandolfo e Casalduni non riman­ga pietra su pietra”».

I soldati uccisero, stuprarono, incendiarono. Anche così è iniziata la storia dell’Italia unita. «Oggi questa storia va riscrit­ta», dice ancora Squi­tieri, «perché il Sud possa recuperare la sua memoria e la sua cultu­ra, ma soprattutto per essere più italiani, non per esserlo meno. Gli errori vanno capiti. Pos­sibile che si potesse fare l’Italia contro la Chiesa? Il primo a capirlo è sta­to Gramsci, il primo ve­ro revisionista. Poi, co­me ha scritto giusta­mente Angelo Pane­bianco, nel dopoguerra sono venuti i due inter­nazionalismi del Pci e dei cattolici. E l’Italia è stata dimenticata».

Giancristiano Desiderio

HOMESETTE

Tratto da : “SETTE –Settimanale del Corriere della Sera- 8 luglio 1999 n° 27 “


 

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Presentazione dell’opera
Liberamente tratto dal diario di Antonio Pistacchio, perito agronomo, nato a Pontelandolfo che visse in prima persona e narrò i giorni roventi dell’ Agosto 1861 in cui l’esercito Piemontese, per ordine del generale Cialdini distrusse Pontelandolfo e Casalduni come rappresaglia contro il fenomeno del brigantaggio meridionale. Il diario originale redattio come documento di giustizia. Fu trascritto dall’ usciere di Pretura don Rocco Caterini e in questa edizione e’ stato attualizzato usando una forma narrativa più scorrevole senza alterarne la freschezza e l’originalità