IL 6 AGOSTO, RICORRE L’ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO DI PIETRARSA. PER CHI NON CONOSCESSE LA STORIA DI QUESTO GLORIOSO OPIFICIO MECCANICO RIPROPONGO QUESTO POST. OGGI (al dire di Dario Franceschini, ministro per i Beni e le Attività culturali) È IL PIU’ RILEVANTE SITO DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE D’EUROPA.
ALLA RICERCA DELLA MEMORIA NEGATA
di Raimondo Augello
Pochi lo sanno, ma a pochi minuti di treno da Napoli, a Pietrarsa, nel territorio del Comune di Portici, sorge il più importante museo di archeologia industriale d’Italia. Pochi lo sanno, ma le officine di Pietrarsa sono state la prima fabbrica italiana di locomotive: la nascita di questo polo di eccellenza precede di 44 anni quella della Breda e di 57 quella della Fiat. Pochi lo sanno, ma Pietrarsa fu per alcuni decenni il più importante polo di industria meccanica dell’Italia preunitaria: è qui, per esempio, che vengono prodotte le locomotive Bayard e Vesuvio che il 3 ottobre del 1839 accompagnano il primo convoglio ferroviario d’Italia, quello che percorse i 7406 metri della tratta ferroviaria Napoli Portici. Voluto fortemente dal re Ferdinando II, impegnato nell’ammodernamento e nell’industrializzazione del Regno delle due Sicilie, il Reale Opificio meccanico di Pietrarsa divenne ben presto motivo di vanto e oggetto di ammirazione a livello internazionale: il 10 dicembre del 1845 lo zar Nicola I, richiamato dalla fama di Pietrarsa, visita lo stabilimento e non appena rientrato in Russia ordina a suoi ingegneri di prendere a modello l’opificio napoletano rilevandone la pianta e la sistemazione delle macchine affinché fossero fedelmente riprodotte nel complesso industriale di Kronstadt, allora in costruzione in Russia; il 23 settembre del 1849 toccherà a papa Pio IX, ospite di Ferdinando, visitare lo stabilimento. L’attività e il numero di operai impiegati cresce senza sosta negli anni: nel 1853 sono quasi 700; nel giugno 1860 Pietrarsa giunse ad occupare 1125 persone (850 operai stabili a cui si aggiungevano 200 operai occasionali e 75 artiglieri per il controllo dell’ordine) rimanendo (ma ancora per poco) la maggiore fabbrica metalmeccanica italiana.
Ancora per poco, sì. Perché pochi sanno che con l’unificazione nazionale questo polo di eccellenza, fatto oggetto di un piano di smantellamento studiato a tavolino a beneficio della nascente industria settentrionale (Ansaldo, Breda e Fiat, innanzitutto). entra in una crisi irreversibile.
Il pretesto il governo sabaudo lo trovò affidando una relazione a un tale ingegnere Grandis. che obbedendo alle direttive non esitò a dipingere negativamente l’attività e la redditività dell’opificio consigliandone addirittura la vendita o la demolizione. Il 10 gennaio 1863 lo stabilimento di Pietrarsa con quanto conteneva veniva concesso in affitto, per 30 anni, alla somma di 45.000 lire dell’epoca, dal Ministro delle Finanze del governo Minghetti alla ditta costituita da Iacopo Bozza; ciò portò alla riduzione dei posti di lavoro, a scioperi e gravi disordini repressi nel sangue; pochi lo sanno, ma il 6 agosto 1863 il governo non esitò ad ordinare ai bersaglieri di caricare gli operai inermi, provocando 7 morti e 20 feriti gravi. Pochi lo sanno, perché la rimozione coatta della memoria di cui questa vicenda e altri avvenimenti come questo sono stati fatti oggetto, agiscono irrimediabilmente sulla coscienza dell’homo italicus… Visitare Pietrarsa è stato per me come andare alla ricerca della verità e della memoria storica negata… della memoria di quegli operai dimenticati dalla Storia con la S maiuscola, ma a cui gli Stormy Six, gruppo milanese rock progressive degli anni ’70 ha dedicato un brano (“Sciopero!”) che invito a cercare su You Tube… della memoria di un Sud a cui non è stato risparmiato nulla perché gli venissero tarpate le ali sul nascere…