Agosto 1860: traditori borbonici e ‘ndrangheta consegnano la Calabria ai garibaldini
Così come la mafia aveva aiutato Garibaldi e i suoi ‘picciotti’ a ‘conquistare la Sicilia insieme con gli ufficiali traditori del Regno delle Due Sicilie, in Calabria la ‘ndrangheta e i soliti ufficiali borbonici venduti spianano la strada ai garibaldini. L’assassinio del Generale Duosiciliano Dusmet, reo di essere incorruttibile
I generali e gli ammiragli Borbonici «traditori» e «venduti» continuano ad impedire ai loro soldati di combattere, agevolando l’avanzata dell’Armata Anglo-piemontese-garibaldina. I non pochi tentativi di Garibaldi di varcare lo Stretto e di invadere la Calabria, effettuati nelle prime settimane del mese di agosto vanno a vuoto o vengono respinti dalle cannonate Duosiciliane. Finalmente, però, arriva la volta buona…
E Garibaldi, il 19 agosto del 1860, sbarcherà con un seguito di cinquemila uomini a Melito Portosalvo, sulla costa calabrese. Era partito da Giardini (oggi Giardini Naxos), utilizzando i piroscafi Franklin e Torino. L’Eroe Nizzardo aveva viaggiato sul Franklin che batteva bandiera americana (guarda caso!).
Difficoltà nella traversata e nello sbarco da parte dell’Armata di Mare e dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie? Nemmeno per sogno!… Tutto bene, insomma, per Garibaldi.
L’AMMRAGLIO TRADITORE – Non solo: lo sbarco era avvenuto sotto lo sguardo compiacente dell’Ammiraglio Duosiciliano Salazar, il quale aveva fatto finta prima, e continuava a fingere dopo, che non stesse succedendo niente di particolarmente grave e tale da determinare un suo intervento. Tutto secondo il gioco delle parti, ancora una volta!…
Per la verità l’Ammiraglio traditore aveva fatto sparare qualche colpo di cannone contro il piroscafo Torino, ma… soltanto dopo che questo si era arenato nei bassi fondali e dopo che i Garibaldini erano già sbarcati tranquillamente. Il perfido Salazar fece addirittura di più. Si allontanò con le sue navi, abbandonando, da doppiogiochista quale appunto era, la zona. Fece tutto lentamente. E, ovviamente, si diresse verso Napoli… Pare che abbia addirittura circumnavigato la Sicilia!…
Il comportamento dell’Ammiraglio Salazar dimostrò, se ve ne fosse stato bisogno, quanto fosse ben riuscita l’opera di corruzione effettuata a Napoli dall’Ammiraglio Persano in applicazione delle direttive del Conte di Cavour. Ed in attuazione, sin nei dettagli, del programma di azione voluto dagli Inglesi (repetita iuvant).
«Una prova, una delle tante…»
Documento n. 17. Garibaldi contava sulla connivenza della Marina Duosiciliana…(1)
«Sarebbe stato estremamente difficile, se non impossibile, attraversare lo Stretto di Messina con ben 25.000 uomini armati ed equipaggiati se Garibaldi non avesse potuto contare sulla connivenza della Marina da Guerra Duosiciliana, in particolare sugli ufficiali, che si macchiarono del crimine di alto tradimento di fronte al nemico. Una prova, una delle tante, in questo documento, datato 12 agosto, indirizzato a Garibaldi da un ufficiale dell’Armata di Mare Duosiciliana, come si denominava allora la Flotta da guerra del Regno:
«Onorevole signor Generale…
Questa notte non vi consiglio di operare ove dite, giacché tutta la sorveglianza sarà in tal sito, anzi andrò colà a portar delle munizioni ed un uffizio del general Salazar del quale vi accludo copia. Invece per terra portate le truppe a Campanaro Lungo: colà fate l’imbarco e facendovi al largo sbarcate sopra S. Agata, sempre però radendo la costa, salendo da mezzodì a settentrione. Di là potrete subito guadagnare le alture di Melito, da dove per calare a Reggio è affare di momenti. Tale sito è guardato solo dal Fieramosca il quale nella notte si tiene fermo in mezzo al Faro, cercando di non vedere. Profittate del tempo che non v’è luna e non mi negate un po’ del vostro bene a me troppo caro».*
* Carlo Agrati, Da Palermo al Volturno, op. cit., pagg. 358, 359.
Se i Generali Borbonici, traditori o cialtroni, impediscono ai propri soldati di combattere… è logico che vincano i Garibaldini. In Calabria come altrove…
In Calabria, in quel caldo mese di agosto, l’apparato militare schierato in funzione anti-sbarco ed anti-avanzata dell’Esercito Garibaldino, invasore predisposto dallo Stato Maggiore Duosiciliano era più che adeguato, almeno teoricamente. Il Comando Duosiciliano poteva disporre infatti di
17.000 soldati, motivati, bene armati, bene addestrati. E ben distribuiti numericamente e strategicamente sul territorio.
Quattro erano le brigate mobilitate, rispettivamente agli ordini degli illustri generali: Giuseppe Ghio, Nicola Melendez, Fileno Briganti e Giuseppe Caldarelli. In campo anche il Generale Ruiz che proteggeva la punta estrema della Calabria in prossimità della città di Villa San Giovanni.
Il maresciallo Giovanbattista Vial provvedeva, invece, al coordinamento di tutte queste forze armate. Il suo Comando aveva sede a Monteleone (oggi Vibo Valentia).
LA FINTA BATTAGLIA DI REGGIO CALABRIA – In campo nemico a Nino Bixio, da parte di Garibaldi, venne affidato l’incarico di assalire e di conquistare la città-fortificata di Reggio Calabria. Dopo un’apparente e non consistente resistenza, il Comando Militare Borbonico della città calabrese, more solito, si sarebbe affrettato ad arrendersi, tradendo e deludendo le aspettative dei propri soldati e quelle dei cittadini.
Era il 21 agosto 1860.
In questo clima era intanto avvenuto, indisturbato, lo sbarco di altri due contingenti dell’Armata Anglo-piemontese-garibaldina, fra Scilla e Bagnara. I due piccoli eserciti erano guidati rispettivamente dal Generale Cosenz e dal Generale Medici. I quali ebbero vita facile e gloria a buon mercato.
Il Ruiz, che avrebbe potuto e dovuto dare un forte sostegno ai soldati delle prime linee (che, in realtà, non chiedevano altro che di poter combattere per contrastare l’avanzata dei sedicenti liberatori), aveva stranamente preferito tenere quasi immobile la propria brigata, probabilmente in attesa di farla ritirare. Una vergognosa caduta di stile e di comportamento, questa, da parte di un ufficiale superiore che in Sicilia si era comportato con coraggio e con onore. Ma che non è escluso che soffrisse di disturbi nervosi, intanto sopravvenuti.
Da Monteleone il Comandante supremo, Generale Giovan Battista Vial, non faceva altro che mandare ordini e contrordini, senza preoccuparsi eccessivamente di controllare se questi, nella pratica, fossero stati – di volta in volta – eseguiti. Non sappiamo se per malafede o per incapacità.
Il Generale Ruiz, sempre più in pallone, ad un certo punto fece l’ultima sciocchezza (per non dire altro): ripiegò verso Bagnara, evitando qualsiasi scontro armato con il nemico e sottraendo forze alla resistenza Duosiciliana. Lo ritroveremo tuttavia a Gaeta, pentito.
Altrettanto incapace, se non infingardo, si rivelò il Generale Melendez. Questi, il 23 agosto del 1860, dopo aver fatto di tutto per tenersi lontano dai prevedibili e previsti scontri armati e dopo essersi sganciato da ogni impegno, pare che abbia concordato con emissari dell’Esercito Garibaldino una specie di permesso di ritirarsi (e di tagliare la corda). Non passerà, tuttavia, con il nemico. E, addirittura, raggiungerà a settembre il grosso dell’Esercito Duosiciliano a Gaeta, mostrando pentimento per ciò che aveva fatto.
Insomma l’aria di disfattismo (alla cui creazione non era estraneo il Ministro della Guerra, e cioè il generalissimo Pianelli) colpiva anche i generali fondamentalmente onesti. Come vedremo meglio fra non molto, il Ministro Pianelli passerà poi nell’Esercito Piemontese, compiendo uno dei tradimenti più eclatanti della storia del Regno delle Due Sicilie.
Avremmo numerose altre vicende dolorose da raccontare al riguardo. E qualche altra inquietante riflessione da fare sulla tanto celebrata guerra per la liberazione del Sud e sulla tanto decantata epopea risorgimentale per l’Unità d’Italia. Cercheremo di farlo, per dovere di informazione, e per correttezza. Seppure per sommi capi.
IL TRADIMENTO DEL GENERALE BRIGANTI – Un fattaccio, ad esempio, che resta molto più significativo di altri, è quello che vede protagonista il Generale Briganti. Ne parliamo brevemente. Ancor prima dello sbarco di Garibaldi in Calabria, il Generale capo Vial aveva ordinato (era il 18 agosto del 1860) al Generale Fileno Briganti di accorrere immediatamente con le proprie truppe a Reggio per fronteggiare la prevedibile aggressione dei Garibaldini alla città ed alla fortezza.
Il Briganti, che com’è già noto era tutt’altro che un fedele soldato dell’Esercito delle Due Sicilie, finse di obbedire, ma di fatto si mise a perdere del tempo prezioso. Soltanto il giorno 20 marcerà (molto lentamente) alla volta del capoluogo calabrese, distante appena sei miglia.
Troppo tardi! E non è un ritardo casuale, come dimostrerà peraltro il fatto che lo stesso Briganti aveva lasciato a Villa San Giovanni le artiglierie. E come dimostrerà il fatto, altrettanto grave, che il Briganti non vorrà mai assalire o affrontare seriamente i Garibaldini.
Ciò, con grande soddisfazione degli osservatori Inglesi e Piemontesi. È chiaro che, con quelle condizioni, i Garibaldini, così come era già avvenuto spesso in Sicilia, non potevano fare altro che avanzare e… vincere.
Ricordiamo che tutto questo sfascio era stato probabilmente organizzato dall’infido Ministro della Guerra Pianelli, che aveva messo i generali sbagliati al posto sbagliato. Mentre Garibaldi attribuirà a se stesso il merito maggiore del successo. Del Generale Briganti avremo modo di riparlare.
IL GENERALE DUSMET DEVE MORIRE! – Reggio Calabria, 20 agosto 1860. Il Colonnello Dusmet deve morire, colpevole di voler fare il proprio dovere di soldato e di Duosiciliano. La sera del 20 agosto, nel bel mezzo della confusione creatasi a Reggio Calabria per l’arrivo dell’Armata Anglo-piemontese-garibaldina, un’ampia zona fortificata di Reggio era stata consegnata proditoriamente ai Garibaldini dal traditore Gallotti e dalle Guardie Nazionali che erano quasi tutte liberal-massoniche e quindi vicine ai collaboratori locali del primo Ministro Spinelli e degli altri ministri voltagabbana, come il Pianelli, il Romano e gli altri politici doppiogiochisti che ancora guidavano il Governo Costituzionale di Napoli.
Intanto era avvenuto che le Guardie Nazionali avevano preso segretamente accordi, non certamente disinteressati, con gli emissari di Garibaldi. E, pertanto, piuttosto che fare il proprio dovere, boicottarono (anche loro!) l’Esercito Duosiciliano e spalleggiarono gli invasori della Calabria.
In questa inqualificabile azione, i liberal-massoni avevano potuto contare sull’appoggio condizionato ma prezioso, della ’ndrangheta dell’epoca. Non tutto, però, era stato perduto e nei reparti dell’Esercito Duosiciliano presenti a Reggio non erano affatto pochi i soldati e gli ufficiali decisi a battersi per la Patria Duosiciliana, per la propria dignità e per la propria libertà, con coraggio e con il senso dell’onore.
Fra i non pochi ufficiali dell’Esercito Duosiciliano decisi a resistere, brillava la figura del Colonnello Antonio Dusmet, che per tutta la giornata aveva fronteggiato le emergenze create dai continui attacchi dei Garibaldini e delle squadre di collaboratori locali.
Quella sera del 20 agosto il bravo Dusmet si era accampato nella piazza del Duomo ed era certamente stanco per le fatiche affrontate, ma era anche soddisfatto per i risultati ottenuti. La zona della fortezza, a lui affidata, era rimasta infatti integra e nelle condizioni di resistere ad ogni eventuale ulteriore attacco del nemico. Il Colonnello Dusmet, però, nel cuore della notte, viene proditoriamente assassinato da alcune guardie nazionali che egli stesso aveva preso con sé ritenendole oneste e leali. Il delitto era avvenuto sotto gli occhi del giovane figlio del valoroso ed onesto ufficiale.
Il turpe incarico ai sicari di far fuori uno dei più valorosi ufficiali Duosiciliani era stato quasi certamente impartito da qualche Generale doppio-giochista, per paura che il Dusmet, l’indomani, potesse dare inizio ad una lotta di resistenza ad oltranza, se non ad un vero e proprio contrattacco.
Come si verificherà, infatti, più di una volta, ai soldati Duosiciliani bastava un solo esempio di ufficiale leale e coraggioso che li guidasse alla lotta per indurli a combattere valorosamente contro l’Armata Garibaldina e/o contro l’Armata Sabaudo-piemontese. O contro entrambe. E questo lo sapevano bene sia i traditori che il nemico.
La parola d’ordine era quindi quella di eliminare il pericolo che una piccola scintilla desse vita ad un grande incendio. E soprattutto diventava necessario eliminare coloro che volessero compiere fino in fondo il loro dove- re di soldati e di Meridionali (ci si passi un termine ante litteram).
di Giuseppe Scianò
Posted by altaterradilavoro on Set 25, 2020