27 aprile 1937 moriva Gramsci

27 aprile 1937 moriva Gramsci. Interroghiamolo oggi, se non abbiamo paura delle sue risposte
di Giorgio Cremaschi

27 aprile 1937, Antonio Gramsci muore dopo 11 anni di durissima prigionia sotto il fascismo, che lo ha uccisio senza cancellare nulla della sua opera.

Gramsci ci parla oggi più che mai.

Interroghiamolo, ci risponderà sulla degenerazione della democrazia, sul renzismo, sulle spinte reazionarie che nascono da anni di contro-rivoluzione sociale.

Interroghiamolo, ci risponderà con la sua passione, il suo genio, il suo rigore.

Interroghiamolo, se non abbiamo paura delle sue risposte.


 

Il 27 aprile ’37 muore Antonio Gramsci. Ecco il suo primo e unico discorso alla Camera

All’alba del 27 aprile 1937 Antonio Gramsci moriva a Roma, in una clinica dov’era stato ricoverato per le gravissime condizioni di salute dovute ai tragici patimenti nelle carceri fasciste. Aveva appena quarantasette anni. Benché protetto dall’immunità parlamentare, era stato arrestato dodici anni prima, nel novembre del ’26, e condannato dal tribunale speciale – al termine dei processone contro i fondatori del Pcd’I – a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di galera. Meno di un anno prima dell’arresto, Gramsci aveva pronunciato alla Camera il suo primo ma anche unico discorso: contro la legge che, con il pretesto di colpire la massoneria (che invece “passerà in massa al partito fascista e ne costituirà una tendenza”, preconizza il futuro autore dei Quaderni scritti nelle carceri), mirava a mettere a tacere ben altre società segrete, e segreta era già in pratica l’attività dei comunisti.
Il discorso – ripubblicarne i passaggi più rilevanti crediamo sia un modo significativo per ricordare il grande politico e grande intellettuale – è importante per vari aspetti. Intanto perché illumina la portata della isolata decisione dei comunisti di interrompere la protesta aventiniana promossa dalle opposizioni in seguito all’assassinio (10 giugno ’24) del leader socialista Giacomo Matteotti: basta con l’Aventino, sostenne Gramsci: serviamoci del Parlamento per dare nuovo slancio alla lotta contro Mussolini. Importante anche perché il ritorno nell’aula di Montecitorio dei deputati comunisti e le energiche iniziative del loro piccolo gruppo (erano appena diciannove) contro l’arroganza degli avversari tornati all’attacco dopo il clamore suscitato dal criminale agguato all’esponente socialista, danno nuova ancorché precaria linfa al movimento antifascista. Importante infine perché, con questo discorso, Antonio Gramsci si rivela figura di primissimo piano a molti che sino ad allora non lo conoscevano o ne avevano saputo nulla: si diffonde così l’interesse per l’uomo che rappresenta il centro intellettuale e propulsivo del partito.
Così che egli viene a identificarsi con qualcosa di molto di più profondo che non il casuale protagonista di una iniziativa politico-parlamentare quando interviene a Montecitorio. C’è la riprova di questo in una lettera scritta alla lontana moglie Julka pochi giorni dopo il discorso: “I fascisti (lo vedremo subito, dopo questa lunga digressione, ndr) mi hanno fatto un trattamento di favore, e quindi, dal punto di vista rivoluzionario, ho incominciato con un insuccesso”. Perché insuccesso? “Poiché ho la voce bassa, si sono riuniti intorno a me per ascoltarmi e [mi hanno] lasciato dire quel che volevo, ma interrompendomi continuamente solo per deviare il filo del discorso. Non seppi trattenermi dal rispondere e ciò fece il loro gioco perché mi stancai e non riuscii più a seguire l’impostazione che avevo pensato di dare al mio intervento”. Niente vero. Intanto Gramsci era riuscito a rivendicare (anche in trasparente polemica con altri settori della sinistra) che i comunisti erano già allora “tra i pochi che abbiano preso sul serio il fascismo…” Gramsci: “… Anche quando sembrava che fosse solo una farsa sanguinosa, anche quando intorno al fascismo si ripetevano solo i luoghi comuni sulla ‘psicosi di guerra’ (…). Noi pensiamo che questa fase della ‘conquista fascista’ sia una delle più importanti dello Stato unitario. Il fascismo dunque come erede delle forme più retrive cui lo stato liberale non tardò a indirizzare la propria eredità del Risorgimento. La rivoluzione fascista è solo la sostituzione di un personale ad un altro…” Mussolini reagisce: “… Di una classe ad un’altra! Com’è avvenuto in Russia, come avviene normalmente in tutte le rivoluzioni!” Gramsci lo rimbecca: “E’ rivoluzione solo quella che si basa su una nuova classe. E il fascismo non si basa su nessuna classe che non sia già al potere.”
Le interruzioni si moltiplicano quando Gramsci affronta il nodo del Mezzogiorno – per lui così importante – e delle enormi risorse che attraverso una imposizione feroce “lo Stato estorce alle regioni meridionali per dare una base al capitalismo dell’Italia settentrionale”. Altro che capitalismo sviluppato, sembra dire il leninista Gramsci riferendosi al meridionalismo nordico del “Corriere” di Luigi Albertini (fatto fuori da direttore, di lì a sei mesi, per ordine di Mussolini) come pure a quel che maturava nel Sud: sul “Mondo” di due settimane prima era uscito il Manifesto crociano degli intellettuali antifascisti. Mussolini: “Il Partito comunista ha meno iscritti del partito fascista!” E Gramsci pronto: “Ma rappresenta la classe operaia!” Farinacci: “La tradisce, non la rappresenta!” (Il gerarca sarà fucilato dai partigiani il 28 aprile ’45) Gramsci: “Il vostro è un consenso ottenuto col bastone.”
Col pretesto di difendere il diritto di parole di Gramsci, il presidente della Camera, Antonio Casertano, lo bacchetta: “Non interrompano! Lei però, onorevole Gramsci, non ha ancora parlato della legge che si discute!”. Ma le interruzioni comunque continuano. Rossoni: “La legge non è contro le organizzazioni!” (Questo gerarca sarà condannato a morte dal tribunale speciale repubblichino, poi, caduto il fascismo, all’ergastolo da una corte d’assise, ma riuscirà a scappare in Canada con l’aiuto delle gerarchie vaticane e vestito da prete. Non scontò galera.) Gramsci: “Onorevole Rossoni, ella stesso è un comma della legge contro le organizzazioni! I cittadini devono sapere a che cosa lavorate.” Presidente: “Onorevole Gramsci, questo concetto lo ha ripetuto tra o quattro volte…” Gramsci: “Bisogna ripeterlo, invece. Bisogna che lo sentiate sino alla nausea [interruzioni, rumori che impediscono allo stenografo di registrare le prime parole della frase successiva]… vincerà il fascismo [rumori, commenti, grida]”. Il resoconto stenografico finisce qui. A Gramsci è impedito di concludere. Il novembre dell’anno dopo Gramsci, appena rientrato a casa da Montecitorio viene arrestato e rinchiuso in carcere. Ne uscirà solo per morire.
Da:http://www.pontediferro.org/articolo.php?ID=3080