Sacchetti per la frutta: perché ora si potranno portare da casa
Secondo un parere del Consiglio di Stato il consumatore non può essere obbligato ad acquistare le buste biodegradabili dei supermercati
Giuseppe Cordasco – 5 aprile 2018
Ennesima, e forse decisiva, puntata nella controversa vicenda che riguarda l’obbligo di utilizzo di sacchetti biodegradabili nell’acquisto di frutta e verdura presso i supermercati.
Infatti, dopo la nuova normativa scattata a gennaio, che aveva sollevato non poche polemiche a causa proprio delle shopper compostabili messe a disposizione a pagamento nei diversi punti vendita, ora arriva un parere del Consiglio di Stato che rimette tutto in discussione.
Secondo i giudici amministrativi infatti, l’obbligo non è accettabile, e ciascun consumatore sarà autorizzato a portarsi da casa le buste che utilizza per l’acquisto di frutta e verdura, a condizione che queste siano però idonee “a preservare la merce”.
Le proteste dei consumatori
All’entrata in vigore della nuova disciplina sui sacchetti per frutta e verdura a pagamento, si erano sollevate non poche critiche da parte delle associazioni dei consumatori, con in particolare il Codacons che aveva, addirittura, presentato esposti in molte procure.
Secondo gli oppositori delle nuove norme infatti, l’obiettivo, pur condivisibile, di ridurre l’impatto della plastica sull’ambiente, si scontra con il fatto che a dover pagare i sacchetti è il consumatore, ossia chi fa la spesa e non il supermercato che vende la merce.
A questo proposito è stato stimato che con un prezzo a sacchetto che oscilla, a seconda dei punti vendita, tra 1 e 3 centesimi, il costo annuale per famiglia sia da valutare tra i 4 e i 12 euro. Una sorta di imposta nascosta, come molti l’hanno definita, che ora, stando alla presa di posizione del Consiglio di Stato, si potrà evitare.
Il parere dei giudici
Secondo quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, nel caso in cui il consumatore non intenda acquistare le buste commercializzate dal supermercato, è corretto che “possa utilizzare sacchetti in plastica autonomamente reperiti solo se comunque idonei a preservare l’integrità” della merce.
Questa considerazione discende semplicemente dal fatto che, in sostanza, i sacchetti per frutta e verdura sono stati equiparati dalla legge a prodotti che possono essere comprati e venduti, dunque una merce come tante altre, che dunque il consumatore ha il diritto di acquistare anche in un luogo diverso dal supermercato in cui compra poi la frutta o la verdura.
In ogni caso però, conclude il Consiglio di Stato, i responsabili del singolo punto vendita saranno tenuti “alla verifica dell’idoneità e della conformità a legge dei sacchetti utilizzati dal consumatore”.
L’auspicio degli ambientalisti
La presa di posizione autorevolissima del Consiglio di Stato potrebbe ora spalancare le porte a quello che è stato l’auspicio di diverse associazioni ambientaliste fin dall’entrata in vigore della nuova legge sui sacchetti di plastica.
Greenpeace e Legambiente in particolare, chiedono infatti che ora arrivi una circolare del ministero della Salute che chiarisca che, per l’acquisto di frutta e verdura, si possono adoperare anche le retine riutilizzabili.
D’altronde sarebbe semplicemente un passo per adeguare la legislazione dell’Italia a quelle che sono le norme già vigenti in Paesi come Svizzera, Austria, e Germania dove le retine riutilizzabili sono diffuse ormai da anni.