Mes, cos’è e come funziona la linea di credito “pandemica” per le spese sanitarie
Creata per “sostenere il finanziamento interno dei costi diretti e indiretti legati allʼassistenza sanitaria, alla cura e alla prevenzione connesse alla crisi Covid-19”
Il Mes continua ad animare il dibattito politico. In questi giorni quando se ne parla si fa però riferimento al Pandemic crisis support, la linea di credito creata per “sostenere il finanziamento interno dei costi diretti e indiretti legati all’assistenza sanitaria, alla cura e alla prevenzione connesse alla crisi Covid-19”., e non Fondo salva Stati a cui siamo abituati (Troika, ecc…). Vediamo di cosa si tratta e quali sono similitudini e differenze.
Il Mes in verità esiste da anni: il Meccanismo europeo di stabilità – ESM in inglese, European stability mechanism – è stato istituito il 2 febbraio 2012 per sostituire il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF, che aveva assistito Irlanda, Portogallo e Grecia) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (EFSM) nell’assistenza finanziaria agli Stati. Tutti gli Stati membri della zona euro sono nel Mes che è un organismo intergovernativo con sede a Lussemburgo.
Il principale strumento di assistenza utilizzato sinora è la concessione di prestiti, con cui un Paese entra in un programma di aiuti a fronte di una serie di riforme da attuare (ad esempio il caso della Grecia). Il sostegno alla stabilità prevede dunque condizionalità rigide, a beneficio degli Stati in difficoltà per salvaguardare la zona euro nel suo complesso e gli Stati stessi.
Il Pandemic Crisis Support – Nel 2020, per far fronte all’emergenza coronavirus, è stato istituito il Pandemic Crisis Support (Sostegno alla Crisi pandemica) del Mes, una linea di credito di tipo Enhanced Conditions (cioè con condizionalità rafforzata che però di fatto è stata praticamente azzerata). Disponibile per tutti gli Stati membri dell’area euro durante il periodo di crisi, con termini standardizzati concordati in anticipo dagli organi direttivi del Mes. Non c’è nessuna condizionalità: l’unico requisito per accedere alla linea di credito è che gli Stati che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare tale linea di credito per sostenere il finanziamento interno dei costi diretti e indiretti relativi all’assistenza sanitaria, alla cura e alla prevenzione connesse alla crisi Covid-19.
Le spese stimate possono riguardare sia il 2020 che il 2021 e potranno raggiungere un ammontare pari al massimo al 2% del Pil. All’Italia, calcolatrice alla mano, spetterebbero circa 36 miliardi di euro. Se tutti i Paesi membri lo richiedessero si arriverebbe a un totale di circa 240 miliardi di euro. Tenendo presente che un Paese può scegliere se accedere o meno al sostegno e, qualora proceda, può anche non prelevare i fondi. La linea di credito sarà disponibile fino alla fine del 2022, ma il periodo potrebbe essere modificato in caso di necessità, tenendo in considerazione l’evoluzione della crisi.
Il Mes pandemico può essere chiesto per un periodo di dodici mesi, che può essere prorogato due volte per sei mesi ciascuna: i prestiti avrebbero una durata media massima di 10 anni in cui bisognerà restituire oltre al costo del finanziamento Mes, un margine di 10 punti base (0,1%) all’anno, una commissione di servizio una tantum di 25 punti base (0,25%) e un servizio annuale di commissione di 0,5 punti base (0,005%).
Perché c’è chi è contrario – Si tratta di condizioni particolarmente vantaggiose ma chi sostiene non sia necessario fare richiesta del Mes insiste sul fatto che i tassi attuali sono ugualmente bassi. Secondo gli accordi, gli Stati membri che beneficiano dell’assistenza finanziaria precauzionale del Mes sono soggetti a sorveglianza rafforzata, compito svolto dalla Commissione europea, che si concentrerà sul monitoraggio e sugli obblighi di comunicazione sull’uso effettivo dei fondi per coprire i costi sanitari diretti e indiretti. Inoltre l’assenza di condizioni non è prevista nel trattato istitutivo del Mes, che non è stato modificato all’origine, ma solo nelle disposizioni – scritte in un regolamento pubblicato lo scorso giugno – emanate dall’attuale Commissione. Quindi se cambiasse il vento a Bruxelles – dicono gli scettici – sarebbe facile modificarle.