È tornato il redditometro

È tornato il redditometro: chi rischia la batosta
12 Giugno 2021
Il redditometro stabilirà la capacità di spesa delle famiglie rispetto a quanto dichiarato per combattere l’evasione fiscale: ecco cosa cambia e quali sono i criteri
Alessandro Ferro

Il Fisco vuole ripartire dal redditometro, lì dove nel 2018 si era fermata la macchina per l’attuazione del nuovo strumento di accertamento dei redditi dei cittadini con l’allora governo formato da Lega e 5Stelle.

Un ritorno al passato

In quell’occasione, grillini e leghisti riscrissero le regole dello strumento introdotto per misurare la capacità di spesa delle famiglie in relazione ai redditi dichiarati ma senza arrivare alla promessa abolizione dello strumento perché i nuovi criteri degli accertamenti sarebbero diventati operativi solo dopo aver sentito “l’Istat e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti la metodica ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa ed alla propensione al risparmio dei contribuenti”. Adesso, dopo tre anni, il redditometro tornerà operativo per gli accertamenti a partire dal periodo d’imposta 2016: l’obiettivo sarà quello di scovare in modo nitido la vera capacità contributiva dei cittadini e far scattare eventuali controlli in presenza di uno scostamento superiore del 20% tra redditi dichiarati e ricostruiti.

Cosa cerca l’occhio del Fisco

Di fatto, il Fisco punta a sfruttare meglio le potenzialità inespresse della Superanagrafe dei conti correnti (qui un nostro pezzo) potendo contare su cinque dati chiave: il saldo a inizio anno ed alla fine, la somma dei movimenti in entrata e in uscita e la giacenza media. Come riporta IlSole24Ore, questo dovrebbe consentire di individuare meglio i redditi da “nero” anche se non si sono tradotti in consumi, per i quali il Fisco prenderà in considerazione i dati già espressi dall’Anagrafe tributaria. Nella ricostruzione, gli uffici dell’amministrazione finanziaria prenderanno in esame varie tipologie di spese: generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi; altri beni e servizi. Oltre ai consumi, il cerchio si chiuderà valutando anche i dati su investimenti (immobiliari e mobiliari), risparmio e spese per trasferimenti.

Spesa minima e famiglie

Da adesso in avanti saranno individuate categorie di consumi considerate essenziali dove si utilizzerà la spesa minima per conseguire uno standard di vita accettabile (la famosa “soglia di povertà assoluta”): è il caso delle voci di spesa relative ad alimentari e bevande, abbigliamento e calzature, trasporti, istruzione e prodotti per la cura della persona. Verranno prese in considerazione 55 tipologie di famiglie-tipo: 11 nuclei (dal single con meno di 35 anni alle coppie con tre o più figli), ognuno dei quali sarà declinato su cinque macro aree geografiche.

I contribuenti potranno difendersi da eventuali controlli spiegando in contraddittorio da dove emerge la maggiore capacità contributiva perché andrà contestualizzato l’impatto delle spese effettuate per investimenti (l’esempio tipico è quello di una casa). Il Fisco, infatti, considera principalmente che le risorse siano maturate nell’anno d’acquisto, mentre è il contribuente a dover provare che la dotazione si è formata , ad esempio, con risparmi maturati negli anni precedenti.