Ecco tutti i controlli sul conto corrente cointestato
2 Settembre 2021
La “rivoluzionaria” sentenza della Corte di Cassazione sul caso di un imprenditore titolare di tre conti correnti, uno dei quali cointestato
Federico Garau
Gli accertamenti fiscali effettuati dall’Agenzia delle entrate sul conto corrente riferibile ad imprenditori procedono sempre partendo dal presupposto che ogni singolo versamento e/o prelievo di denaro sia strettamente collegato all’attività lavorativa esercitata dagli stessi.
L’unico modo per allontanare tale sospetto, per il Fisco, è che sia proprio il diretto interessato a dimostrare l’errore alla base della presunzione, nel caso in cui si tratti magari di tipologie di reddito esente, come risarcimenti danni, o già sottoposte a ritenuta di imposta, come nel caso delle vincite al gioco. Una cosa è certa e assodata: è il contribuente ad avere il dovere di fornire le prove documentali della non imponibilità di suddette operazioni. Se manca questo passaggio fondamentale, pertanto, ogni movimento viene considerato come fatturato non dichiarato e sarà recuperato a tassazione.
A differenza degli imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi sono tenuti a giustificare solo i versamenti effettuati sul conto corrente e non i prelievi. Analizzando queste operazioni (versamento e prelievo per imprenditori e versamenti per professionisti e lavoratori autonomi), in caso di non giustificazione delle stesse, l’Agenzia delle entrate può procedere alla tassazione di tali somme. Altro elemento di cui tener conto in questi casi sono le soglie di esenzione stabilite per legge: per le imprese non risultano imponibili prelievi o importi riscossi fino a mille euro al giorno (con una soglia mensile di 5mila euro).
Nel conto corrente cointestato, invece, la comproprietà delle somme si presume fino a prova contraria: vige infatti una “presunzione di comunione” che può essere superata da presunzioni di segno opposto, sempre che esse siano “gravi, precise e concordanti”.
In caso di accertamento fiscale, quindi, si può cercare di dimostrare che gran parte delle somme sotto esame siano state destinate a specifiche esigenze familiari: anche in questo frangentge l’onere documentale spetta al contribuente.
Nel caso in cui alimentare il conto corrente contribuisca uno solo dei due cointestatari, il secondo può essere intervenuto esclusivamente per prelevare del denaro, ed è a tal proposito che si arriva ad un’importante novità introdotta dalla Cassazione.
La suprema Corte si è pronunciata sul caso di un mediatore finanziario titolare di tre conti correnti, uno solo dei quali cointestato con la consorte e considerato, almeno in parte, come deposito “di uso familiare”.
L’imprenditore, come da prassi, si è dovuto occupare di produrre elementi per documentare la non imponibilità di tutti i movimenti di denaro dal conto cointestato, dichiarando altresì che alcuni prelievi effettuati dagli altri due depositi erano stati fatti per alimentare quello che utilizzava in comunione con la moglie e rispondere quindi alle esigenze del proprio nucleo familiare. Operazioni analizzate, pertanto, come finalizzate al benessere della propria famiglia. Ecco perché la Cassazione ha ritenuto valide suddette motivazioni, chiedendo ai giudici ulteriori accertamenti in merito alla vicenda.
La sentenza
“Dalla motivazione della sentenza qui impugnata non emerge che sia stato condotto alcun accertamento in ordine alle giustificazioni del contribuente relativamente alla natura cointestata e ‘familiare’ del contro di valuta, con la conseguente verifica della riconducibilità dei versamenti accertati al solo ricorrente o a terzi”, hanno infatti spiegato gli Ermellini pronunciandosi sulla vicenda. Sarà ora specifico compito della Commissione tributaria quello di valutere la sussistenza di “spese per le esigenze, ordinarie o straordinarie, di sostentamento” della famiglia dell’imprenditore su cui era stato effettuato l’accertamento fiscale.