Ricordando Ugo Gregoretti
di Massimo Turtulici
Regista, drammaturgo, autore e produttore televisivo, giornalista, documentarista e persino attore. Un artista eclettico, una fucina di idee spesso innovative, anticonformista e scopritore di talenti. Questo era Ugo Gregoretti. Un uomo appassionato, dalla cultura vasta, dotato di ironia, intelligenza e di una eleganza davvero rari, almeno per questa epoca, lontana anni luce dal mondo in cui esordì, che ha lasciato il 5 luglio scorso spegnendosi nella sua casa romana. Ottantotto anni trascorsi sempre da protagonista, in realtà un po’ smarcato, con quel suo tono bonario e conciliante, finché la sua intelligenza raffinata, lo sguardo mai domo, e l’ironia inesauribile non gli davano la possibilità di essere, come è stato, il caustico osservatore della società italiana.
Spesso dal piccolo caleidoscopio della sua vita quotidiana che ancora negli ultimi anni era il suo personalissimo osservatorio. Al punto da voler trarre un film dal libro autobiografico La storia sono io (con finale aperto), nel quale l’autore ripercorre la sua vita, gli spostamenti suoi e della sua famiglia cercando di farla franca ad una guerra che avrà il respiro lungo di difficoltà e miseria in una Italia di cui Gregoretti è stato attento e stimato cantastorie ma sincero, molto lontano dal disincantato ritratto di sé che fa in questo libro “Il ritratto di un perfetto cialtrone. La mappa esatta della mia cialtroneria congenita e inguaribile. Un monito per tanti miei colleghi chi si auto-monumentalizzano, io invece ho fatto un anti-monumento…non si parla mai delle mie attività professionali ma solo della storia di un uomo qualunque, che come diceva Goldoni è nato sotto l’influsso di una stella comica”.
Basterebbe questa auto definizione per inquadrare l’artista, l’uomo di cultura, ma soprattutto l’uomo cresciuto in una famiglia borghese tra Roma e Napoli, che lentamente abbraccia una fede politica che quasi inconsapevolmente lo porterà ad iscriversi al PC nel 1970 e ad un impegno politico e sociale che lo renderà sempre gradito ai lettori e agli spettatori dei suoi spettacoli, sin dal suo primo documentario, la sua prima regia con un corto su La Sicilia del Gattopardo, che gli fece vincere il Prix Italia nel 1960. Faceva parte con Umberto Eco, Furio Colombo e Angelo Guglielmi di un manipolo di “corsari” che avevano animato dai tardi anni cinquanta la Rai in cui, grazie ad una raccomandazione ricordata dallo stesso Gregoretti, entrò a lavorare giovane.
Ma è nel 1961 con il suo primo programma Controfagotto, otto puntate tra l’inchiesta e la satira sociale di un Italia marginale, che diventerà molto popolare e al tempo stesso innovativo. Difficile non elencare le varie attività che lo hanno visto impegnato dalla fine degli anni 50 sino ai nostri giorni. Impossibile però non citare il suo primo film I nuovi angeli del 1962, un viaggio tra gli adolescenti che crescevano in pieno boom economico. L’anno successivo dirigerà Il pollo ruspante episodio di “Ro.Go.Pa.G.” firmato con Rossellini, Godard e Pasolini e Omicron un film dove la satira si fa fantascienza premiato come miglior film al Festival del film umoristico di Bordighera.
Nel 1964 Amare è un po’ morire (ep. de Le belle famiglie) con Totò di cui vinsee la ritrosia a prenderne parte parlando della signora Gregoretti come della duchessa, incuriosendo Totò notoriamente attento all’araldica al punto da verificare e trovare ovviamente conferma delle effettive origini nobili della signora Fausta. Memorabile il suo televisivo Circolo Pickwick di C. Dickens del 1968, di cui firmò regia e sceneggiatura. Vanno ricordati tra i documentari politici che girerà dal 1968 sino alla fine degli anni settanta, Apollon, una fabbrica occupata, ma anche Contratto del 1970 che Daniele Vicari ha ricordato come un caposaldo del cinema politico. Attività che riprenderà nel 1991 con l’inchiesta Sottotraccia, ancora una volta attenta a un’Italia minore e silenziosa.
Intensa anche l’attività teatrale. Fu direttore artistico del Teatro Stabile di Torino (1985-1989) e diresse la Rassegna Benevento Città Spettacolo (1980-1989). Altra sua passione era quella per l’opera a cui dedicò molte energie e in qualità di regista lirico va ricordato, almeno, per un’edizione de L’italiana in Algeri di Rossini nel 1976. Come attore recitò in Amore mio aiutami di Sordi, ne La terrazza di Scola, in Un povero ricco di Festa Campanile e in diverse altre pellicole e produzioni televisive. Si potrebbe continuare citando successi e riconoscimenti, ma quel che invece rimane è l’ironia, la pacatezza del raccontare, che non era mancanza di forza o convinzione, quanto un procedere in levare, concentrando l’attenzione dello spettatore o lettore sul fatto, sulla ricerca, sul volto o sulle parole dell’intervistato, dell’operaio o di sé stesso appunto quale uomo comune.
Mi torna in mente un testo di prose brevi, Il teatrino di casa mia del 1980 che raccoglie storie della quotidianità familiare raccontate con humor e gentilezza. Parola in disuso che andrebbe riscoperta come l’intera parabola artistica di Ugo Gregoretti che il 6 luglio scorso, in occasione della cerimonia funebre tenutasi presso la Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo, il sacerdote ha salutato con queste parole “Non è l’essere famosi che conta, ma quello che si lascia alla fine: delle scie di luce che possono illuminarci e farci da sentiero anche nelle notti più buie”.
Massimo Turtulici
By Redazione
https://www.passaportonansen.it/2019/09/30/ricordando-ugo-gregoretti-turtulici/
On Set 30, 2019