Il rapper della Questione meridionale Tueff

 

Il rapper della Questione meridionale Tueff, nato nel quartiere di Caruso, gira un video nella casa del tenore.

Nasce a San Carlo all’Arena, a pochi metri dalla casa dell’artista. Rappa anche Eduardo e lancia una proposta: «Fare un museo della dimora nativa del cantante»
Discende da un ufficiale borbonico e canta il regno delle due Sicilie
di Natascia Festa

La questione meridionale freestyle. La canta anzi la rappa Tueff, all’anagrafe Federico Flugi, born in Sangiuvanniello ovvero via Santi Giovanni e Paolo, quartiere San Carlo all’Arena, Napoli, Italia. Anzi «Itaglia» come la definisce questo ragazzo esile come uno stelo che fiorisce in due occhi azzurri. Lo fa in un brano del suo primo cd da solista, My Raplosophy, che a ottobre uscirà anche in vinile in trecento copie limited edition.

Perché Itaglia?
«Fratelli d’Itaglia, il pezzo si intitola così, racconta di un paese tagliato in due. Il Meridione è una nazione in sé che, solo in questo caso, racconto in italiano perché ‘metto in stand by il mio dialetto per arrivare a chi si crede perfetto’».

Prima dell’album, il singolo era stato prodotto dall’ex Articolo 31, Dj Jad, e nel videoclip appaiono anche Pino Aprile e la squadra di rugby Briganti. Sabato scorso, poi, è uscito il video di Soliti scuse, dedicato a Enrico Caruso, nato al civico 7 di Sangiuvaniell, ricordato da un busto che viene continuamente vandalizzato.

È così?
«Durante le riprese ho dovuto ripulirlo personalmente, aveva chewingum al posto degli occhi. Con Maurizio Capone dei Bungtbangt che canta il ritornello, siamo riusciti ad entrare nella casa natale del tenore. Ci vive una vecchina di quasi cento anni. Dal balcone del tenore parte il mio rap che rivendica l’appartenenza a una cultura che tutto il mondo ci invidia e che non riusciamo a tutelare. Non è retorica, non parlo di cose astratte. Prendiamo questa casa ad esempio…».

Prendiamola.
«Perché non si offre alla signora anziana un’alternativa confortevole e della casa di Caruso non si fa un museo? Si potrebbero contattare gli eredi, acquisire il suo fondo, i dischi, ricostruirne la memoria nel luogo dove è nato e che amava. Per questo siamo andati là, per lanciare un’idea che non è mai decollata perché le istituzioni ripetono, appunto, soliti scuse. Del progetto fanno parte tonico70 per la musica, 78frame per la produzione e la regia del video, curata da Frank Castiglione. Ci tengo a ricordarlo».

Il rap vive un momento di vitalità. Si può dire che a Napoli si sia disegnata una nuova topografia musicale, al ritmo sincopato del freestyle?
«Sì, ogni quartiere ha la sua voce. Solo per citarne qualcuna i Sangue Mostro al centro storico, Oyoshe a Fuorigrotta, gli ‘A67 e Co’Sang a Secondigliano-Scampia e molti altri».

Caruso, ma anche Eduardo. «Avvoca’, ‘e ssapite chilli vascie. I bassi. A San Giuvanniello…».
«Certo. In Soliti scuse ci sono anche Filumena Marturano e Angela Luce: la mia radice è là, ma guardo al futuro».

E nel passato radici borboniche.
«Sì. Ho scoperto che il padre naturale del poeta Apollinaire era l’ufficiale borbonico Francesco Flugi. Flugi non è un cognome diffuso, così ho fatto una ricerca e ho appurato che si tratta dello stesso ceppo familiare. Ma lo dico senza presunzione, è Borbone diventato barbone della canzone».

Appartenenza e identità sono il tuo manifesto. Allora perché il freestyle che non è una «tradizione» del Mezzogiorno e nemmeno italiana?
«In realtà il freestyle risponde alla realtà contemporanea come il canto a distesa, quello a fronne ‘e limone, rispondeva alla civiltà contadina. È spezzato come siamo spezzati noi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
11 agosto 2015 | 12:34
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