I cent’anni di avventure dell’imbranato milionario
Il signor Bonaventura, l’omino in marsina rossa, fu creato da Sergio Tofano nel 1917. Ora festeggia con uno spettacolo teatrale
Francesco Mattana – Mer, 21/12/2016
Un secolo di vita e non dimostrarlo. Il Signor Bonaventura – frutto della fantasia di Sergio Tofano, artista la cui grandezza si dispiegò tra disegno, recitazione, regia e molto altro – comparve nel 1917 in quella fucina di idee colorate che è stato il Corriere dei Piccoli.
Milano è la città dello storico settimanale e a Milano appunto, fino al 30 dicembre al Teatro dell’Arte (negli spazi della Triennale), l’omino dalla marsina rossa e dai pantaloni bianchi e larghi sarà protagonista dello spettacolo Una losca congiura ovvero Barbariccia contro Bonaventura, di cui Tofano a suo tempo fu autore, allestitore, interprete principale. Ora viene riproposto dalla Compagnia Alkaest, abile nel restituire la levità giocosa di un copione per nulla datato.
«Qui comincia la sciagura del Signor Bonaventura» è l’incipit proverbiale delle sue storie. Anche nella pièce diretta dalla Loriga il dinoccolato burattino parte col piede sbagliato: è un cantastorie male in arnese, e prima di riuscire a godersi l’agognato milione deve superare ostacoli di qualunque genere, muovendosi tra poveri baracconi di fiera e fastosi palazzi regali.
Due sono le novità principali introdotte in questa nuova versione del capolavoro: la presenza di contenuti multimediali che interagiscono durante la rappresentazione con gli attori in carne e ossa, da un lato; dall’altro, il Signor Bonaventura trasformato per l’occasione in Signorina – scelta registica del tutto naturale poiché il personaggio, nella sua tenerezza che al momento opportuno sa mostrare gli artigli, ha molto in comune con l’altra metà del cielo.
Il mondo candido di Bonaventura dove i buoni hanno la meglio e i cattivi come Barbariccia sono criminali da strapazzo è un luogo speciale nel quale tutti parlano in rima baciata, con una lingua divertente ancorché forbita, che può definirsi poesia a tutti gli effetti (difatti i poeti «patentati» Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto riconobbero di aver appreso, da ragazzini, i rudimenti del mestiere leggendo sul Corrierino quei versi scanzonati).
Spettacoli come Una losca congiura tramandano alle nuove generazioni la lezione del maestro Tofano in arte Sto, il quale pur proponendo un lessico immaginifico riusciva a non essere mai barocco, rimuovendo i fronzoli linguistici. Ai giovani allievi dell’Accademia d’arte drammatica, dove tenne dei corsi a partire dagli anni Cinquanta, suggeriva di rendere quanto più spoglia la loro interpretazione.
È un concetto, quest’ultimo, che lui ebbe chiaro fin da subito, non appena decise di imboccare contro il volere paterno la via del teatro. Non fu facile perseguire la strada del tono recitativo sommesso all’inizio del Novecento – in un’Italia dove prevaleva ancora l’enfasi declamatoria figlia del melodramma – ma egli riuscì comunque a imporsi, trasferendo l’attitudine alla sintesi anche nei fumetti di Bonaventura, estremamente stilizzati e godibili nella loro stilizzazione. Poi nel ’27 cominciò a portare in scena la sua fortunata creatura, e in questo suo lavoro di sottrazione («più di gomma che di matita», come ebbe a dire) nel delinearne i tratti, entusiasmò i bambini così tanto che, stando a una cronaca dell’epoca, mostrarono alla prima romana «felicità tale da garantire che esso farà epoca come un cataclisma». A cento anni di distanza, e in presenza di stimoli visivi ipertrofici, Bonaventura non può più causare cataclismi emotivi eppure le sue vibrazioni ironiche continuano, come allora, a smuovere i cuori di tutte le età.