Caravaggio e Cristo Velato, la sfida impari
di P. Treccagnoli
«Basta ca nce sta ‘o sole, ca nce rimasto ‘o mare» recita la famosa canzone. E no, il sole è necessario ma non sufficiente, e a Napoli non c’è rimasto solo il mare. Anzi. Il clamoroso, benefico e, speriamo, infinito successo turistico sta dimostrando quanto sia una città d’arte, al di là dello street food, dei vicoli oleografici e dei panorami mozzafiato. Ieri, a Santo Stefano, coda da sold out del weekend natalizio, la Cappella di Sansevero ha fatto registrare l’ennesimo botto di visitatori. Ha sfiorato quota tremila, fermandosi a un passo: 2982. Fila interminabile nelle stradine attorno a San Domenico Maggiore, flusso intenso, ma continuo e veloce. Un successo che si assomma a primati che proseguono negli anni. Il «Cristo Velato» di Giuseppe Sanmartino, voluto dal misterioso principe Raimondo di Sangro, è un attrattore prodigioso. Chiunque scenda a Napoli non vuole perderselo. Di recente, il Comune ha anche messo mano al decoro urbano dell’area che ne ha guadagnato in fruibilità. Un’accorta politica di marketing con contatti proficui con i tour operator, ma anche un tam tam incredibile sui social e in Rete, hanno fatto il resto. Vedi Napoli e poi il «Cristo velato». Anzi, pure prima.
Eppure la città se ne cade di capolavori, nelle chiese (poco distante c’è un Donatello semisconosciuto e gratuito: il bassorilievo dell’Assunzione della Vergine a Sant’Angelo a Nilo), nei palazzi e, ovviamente, nei musei. Napoli, però, custodisce qualcosa di più, un pezzo unico, un capolavoro senza tempo: «Le Sette Opere di Misericordia» di Caravaggio, al Pio Monte della Misericordia, in via dei Tribunali, accanto al Duomo, in pratica. Bene, il rapporto tra il Cristo di Sanmartino e la tela di Caravaggio, nella storia dell’arte, è improponibile.
Spieghiamo meglio. La scultura custodita nella Cappella Sansevero è un’opera straordinaria, unica, inimitabile, un diamante che brilla di luce propria, perfetto e seducente, commovente come può essere un capolavoro nato dalla pietas e da una tecnica incredibile. Bellezza pura, ma sterile. Il «Cristo Velato» è bello in sé, straordinariamente bello. Ma è rimasto unico per la sua inimitabilità, non ha prodotto che se stesso. E scusate se è poco. Le «Sette opere» di Michelangelo Merisi, invece, oltre a essere un capolavoro unico, inimitabile, perfetto, seducente, commovente, un diamante che brilla di luce propria, è soprattutto un’opera che ha cambiato la storia dell’arte. Esiste un prima e un dopo Caravaggio e la tela custodita al Pio Monte, è senza alcun dubbio e mettendo da parte il campanilistico orgoglio cittadino, il Caravaggio più bello del mondo. La sua grandezza, nei secoli, ha superato se stessa, diventando canone, punto di non ritorno. Imperdibile. Tanto che a starci di fronte si sente crescere dentro lo stupore di Nietzsche quando calò a Napoli: avrei potuto morire e non aver visto tutto questo.
Eppure? Eppure il Caravaggio del Pio Monte non fa, nemmeno lontanamente, i numeri della scultura di Sanmartino. Fino a qualche anno fa era possibile ammirarlo solo di mattina, chiusura alle 14. Adesso c’è anche un’apertura pomeridiana. Al di là delle residue rigidità dell’istituzione che nel primo Seicento commissionò l’opera delle «Opere» al genio lombardo e che da allora gelosamente lo custodisce, il Caravaggio della Misericordia e delle Meraviglie è privo della pubblicità che merita. Chi arriva a Napoli non è indirizzato verso la sala circolare dove è esposto. Ci va chi sa, chi ha avuto la dritta giusta e ne esce arricchito negli occhi e nello spirito. Vede Caravaggio e poi, tutt’attorno, si ritrova la Napoli dei fondaci, non adeguatamente curata, non all’altezza della bellezza che ha appena riempito il proprio cuore. E basterebbe poco per attirare turisti (ma persino napoletani) in quell’angolo speciale della città: un percorso non penalizzante, un maggiore decoro urbano.
Tra l’altro, proprio di fronte all’ingresso del Pio Monte, nella piazzetta Riario Sforza svetta la più antica guglia napoletana, quella di San Gennaro, progettata da Cosimo Fanzago. Un’altra Napoli è possibile. Lo stiamo vedendo, lo stiamo vivendo, ma non basta. Non possiamo accontentarsi e rassegnarci all’idea che il vero sindaco di Napoli sia il sole.