1861
18. – 13 Gennaio.
Al servizio di presidio in Napoli erano stati destinati in quei giorni quattro battaglioni mobili della Guardia Nazionale di Torino, di Milano, di Bologna e della Toscana. I quattro battaglioni dovevano salpare il 7 gennaio da Genova, ma il pessimo stato del mare ritardò d’alcuni giorni la partenza: non tanto, pero, che i militi non incontrassero una forte burrasca, la quale incrudì gli inevitabili effetti che il mare infligge d’ordinario a chi non è rotto al navigare. Il Teja ci tratteggia i comici episodi di quelle « prime imprese » dei quattro battaglioni. – L’invio di quei militi mobilizzati era richiesto da molte circostanze: esso giovava, infatti, a cementare viemmeglio la recente unità delle province italiane, e, per di più, provvedendo ai servizi della guarnigione in Napoli, lasciava tutte disponibili per compiti guerreschi le truppe regolari, a cui non difettava materia d’imprese nell’assedio di Gaeta e nella diuturna guerriglia contro Borbonici e briganti.
19. – 10 Febbraio.
Siamo in carnevale, nella stagione delle maschere. Francesco II, da tre mesi stretto d’assedio in Gaeta, sta per capitolare (la resa avvenne il 13 febbraio) ; Cavour continua impavido l’opera dell’unificazione d’Italia, malgrado le proteste delle Potenze, le quali, tranne l’Inghilterra, hanno levato la voce contro l’annessione delle province meridionali; Francesco Giuseppe accenna, in apparenza, a voler largire all’insorgente Ungheria le riforme ch’essa reclama, memore del 1848, e che otterrà poi sancite soltanto nel Compromesso del 1867. Napoleone ha aperto, il 4 febbraio, il Senato e il Corpo legislativo, ricamando sul suo tema favorito « l’impero è la pace, » mentre non ristà dagli armamenti consigliati dalle questioni che in Italia, in Danimarca, in Prussia, in Ungheria, in Turchia, rendono incerta la quiete d’Europa. Questa la cornice politica che circonda il gaudente, fra il riso, le cene e le belle mascherine.
20-21. – 10 Marzo.
Il 27 gennaio hanno avuto luogo le elezioni nelle terre liberate. Il 18 febbraio si è riunito in Torino il primo Parlamento italiano. Siamo alla VIII Legislatura, poichè si continua la serie del Parlamento subalpino. I deputati sono 443. Teja ci presenta, sui banchi di Destra e sui banchi di Sinistra, un gruppo di tipi caratteristici. Dei tipi di Sinistra tre sono facilmente riconoscibili: al banco più in alto Ricciardi: al banco seguente Mellana, col gomito poggiato su un foglio di carta; sotto a Mellana è Depretis. Fra i tipi della Destra ecco qualche ecclesiastico e, in basso, a sinistra, con l’aria gioviale, il marchese Gustavo Cavour, fratello primogenito del grande statista.
22. – 24 Marzo,
Appena aperte le Camere fioccarono le interpellanze, alcune delle quali involgevano questioni gravissime, come l’argomento di Roma, le condizioni dell’Italia meridionale, lo stato dell’esercito. Ma ecco all’improvviso annunciarsi che il conte di Cavour ha presentato le dimissioni al Re. Non già, tuttavia, per evitare di rispondere alle interpellanze, come scherzosamente afferma il Teja: bensì perchè il Gabinetto potesse ricomporsi in modo da rispecchiare meglio la composizione dell’Italia nuova, facendo luogo a qualche uomo politico delle province meridionali, le quali nel Ministero non avevano alcun rappresentante. Entrarono infatti i napoletani De Sanctis e Niutta e il siciliano Natoli, in un col toscano Bastogi.
23. – 31 Marzo.
23- – Il bollo di Pasquino
Sua Maestà Pasquino doveva di necessità avere il suo sigillo, per munirne i decreti e le gride ch’esso emanava di tempo in tempo. Ed ecco qui appunto un tal bollo, adoperato questa volta in calce ad un’ordinanza, nella quale Pasquino prescrive che Liborio Romano muti il suo nome in quello di Liborio Greco per il continuo variare di fede politica, di cui, dopo assai altre, aveva dato novelle prove in quel torno, sia nell’accettare, sia nel tenere, sia nell’abbandonare il portafoglio degli interni, al quale era stato chiamato da Costantino Nigra, segretario generale e primo ministro del principe di Carignano, allora luogotenente del Re nelle province meridionali.
24. – 26 Maggio.
Fu nel 1860 che il Rattazzi, il quale dopo vani anni dal famoso connubio con Cavour s’era staccato da questo, costituì quello che fu chiamato il terzo partito, intermedio fra i moderati e il partito d’azione, tra la fiducia illimitata dei più e l’opposizione sistematica dei pochi. Nella VIII legislatura, cui si riferisce questa caricatura di Teja, il Rattazzi, presidente della Camera, continuava ad atteggiarsi a rivale di Cavour, sorretto dai suoi fidi, non molto numerosi a dir vero, comecchè non iscarsi quali li dipinge Teja. Primissimi fra costoro il Pepoli e il Depretis, i quali ne ebbero mercede l’anno seguente, venendo chiamati dal Rattazzi a far parte del Gabinetto ch’egli formò quando assunse la successione del Ricasoli.
25. – 30 Giugno.
Teja in cinque pagine di caricature passa in rivista il secondo trimestre del 1861. Qui se ne riproduce la seconda. Vi si nota il conte Giuseppe Ricciardi, deputato napoletano, accanito ed instancabile nel muovere interpellanze al Ministero e nel segnalare abusi, soprusi e corruzioni, spesso imaginarie od esagerate: ottimo d’indole e sincero patriotta, la sua eccentricità e la virulenza non eran fatte tuttavia per l’ambiente parlamentare. – Altri deputati, del pari che il Ricciardi, dardeggiavano d’interpellanze il Ministero, infligendogli il martirio di San Sebastiano. – Le tergiversazioni della Francia a togliere le sue truppe da Roma danno qui, e in molti altri luoghi, argomento alla matita di Teja. – La Polonia era stata teatro di varie manifestazioni di rivolta al giogo russo; « l’atto di emancipazione » del 19 febbraio non aveva calmato gli spiriti: erano quelle, larve soltanto di riforme, e nulla più: onde si rinnovavano in Varsavia i tumulti ed incrudivano le repressioni. – L’accenno al Minghetti ed ai merli ci riporta ad un episodio della cronaca torinese e parlamentare di quell’anno. Ad accogliere i 443 deputati del primo parlamento italiano non essendo ormai più sufficiente la storica aula che aveva ospitato la Camera Subalpina, fu costrutta a ridosso del Palazzo Carignano, verso levante (ove mancava allora il lato che oggi, imponente facciata, chiude il palazzo e prospetta piazza Carlo Alberto) una sala provvisoria di legno, che fu poi atterrata nel 1866 quando, col trasferimento della capitale, divenne inutile. All’esterno di quest’aula provvisoria il ministro Minghetti aveva fatto dare l’aspetto d’una fortezza merlata, d’un colore ben simile a quello della cioccolata, che stonava incredibilmente con l’architettura barocca del grandioso edificio del Guarino. Di qui il riso versato largamente in quei dì sul Minghetti per la sua « caccia ai merli » e per l’infelice colore battezzato, appunto, color Minghetti.
26. – 22 Settembre.
Fedele al suo programma, Pasquino non risparmia nelle sue satire alcuna categoria sociale: come altra volta i medici, così gli avvocati passano sotto le forche caudine del frizzo di Teja.
27- – 1 ° Dicembre.
Nel caleidoscopio parlamentare di Teja vediamo oggi l’on. Massari, di cui molti conoscono la Vita di Re Vittorio Emanuele II, in un con altri lavori di storia e biografia politica. Il disegno ci tramanda l’aspetto della tuba ond’era famoso il deputato di Bari, logora e schiacciata tuba che mai nol lasciava. La scritta coglie uno dei lati deboli del Massari, uso a fare suo vanto d’essere amico di tutti, anche dei suoi avversari politici, ma, prima che d’altri, degli uomini venuti in rinomanza e di quelli saliti al potere.
28. – 1° Dicembre.
Le condizioni anormali e tormentose dell’Italia meridionale continuavano a richiamare l’attenzione pubblica. Al riaprirsi del parlamento, il 20 novembre, ecco lo Zuppetta e il Ferrari chiedere spiegazioni in proposito al ministero. La discussione ne venne connessa a quella dell’altre interpellanze sulla questione di Roma, e fu così rinviata al 2 dicembre, giorno di lunedì, perchè si avesse il tempo di dare alle stampe molti documenti. Nei due giorni appresso, venuto in discussione il disegno di legge che estendeva a tutte le province d’Italia il decimo di guerra, l’incorreggibile Ricciardi tentò di trarne partito per trascorrere a parlare del brigantaggio e d’altre piaghe che infestavano il Mezzogiorno. Senonchè il Presidente della Camera, Rattazzi, ne lo impedì, osservandogli che l’argomento era stato rinviato ad altra seduta.
29 -30 – 31.- 8 Dicembre.
Ci sfila sotto gli occhi un’altra di quelle gustose riviste del Teja. Essa si riferisce tutta alla lunga discussione che allora si svolse alla Camera, su Roma e sulle province meridionali. Le parole messe in bocca a Giuseppe Ferrari vennero (la lui pronunciate in contrapposto ai severi mezzi repressivi che il Governo era costretto ad adoperare nel Napoletano. — Il Musolino, breve in realtà di statura, tenne un discorso oltremodo diffuso: cominciò premettendo che sarebbe stato lungo, peregrinò nei campi della storia e della diplomazia, e avendo incominciato il 2 dicembre, finì soltanto nella tornata successiva, occupandone altre due ore !
Angelo Brofferio, che parlò il 3 dicembre, terminò chiedendo « uomini di destra o di sinistra, purchè facciano appello alla concordia, e armino e riconoscano la necessità delle alleanze senza farci servili. Allora dirò che l’Italia si fa veramente »: parole che il Teja interpreta quasi il focoso oratore intendesse designare sè stesso a reggere il potere: il che non è, a dir vero, conforme al carattere del Brofferio, che non ambì cariche mai nè sollecitò parte attiva al Governo della pubblica cosa. – Parlò il Ricciardi il 4 dicembre ; e, rilevando le condizioni infelicissime delle terre meridionali, venne, ad un certo punto, ad accennarne il riparo in quella che era per lui un’idea fissa: « Il mio rimedio, esclamò, farà crollare l’edificio in cui siamo chiusi: consiste esso in due semplici parole da inserire nella Gazzetta Ufficialle: La sessione Parlamentare, del 1862 sarà aperta in Napoti ». Tutti risero, e mostrarono che le volte non erano cadute; e il Ricciardi, imperterrito, svolse la sua proposta.
Eletta e originale intelligenza giuridica, carattere spartano, spirito accesamente democratico, Luigi Zuppetta spaziava troppo spesso in isfere remote dalla pratica quotidiana della vita: onde il suo dire prendeva colore di paradossale, e il sorriso provocato da talune sue uscite teneva indietro l’ammirazione che ben era dovuta al suo ingegno ed alla sua anima semplice e severa. Nella tornata del 5 dicembre il suo discorso fu così strano, infarcito di citazioni da Solone, da Plutarco, da Tacito, che il Pasquino chiamò quella dello Zuppetta un’eloquenza al cloroformio, e il Teja ragguagliò lo stile del deputato di San Severo allo stile del famoso Adramiteno, checchè ne avesse detto il Plebiscito di Napoli. Urbano Rattazzi il 4 dicembre aveva provvisoriarnente ceduto al Tecchio l’ufficio di dirigere i lavoridell’assemblea, e, sceso dallo scanno di presidente della Camera, era andato al suo banco di deputato, pronunciandovi un lungo discorso in cui esaminava l’opera di Cavour e di Ricasoli, al Gabinetto attuale non si dichiarava avversario, gli largiva benevoli consigli, dimostravasi nel complesso, qual egli era di frequente, piuttosto abile che persuasivo, non volendo combattere il Ministero, schivando esaltarlo: d’onde la veste e i modi curialeschi che gli affibbia il Teja.
32. – 15 Dicembre.
Giuseppe Avezzana, di Chieri, dopo aver combattuto le ultime guerre napoleoniche del 1813 e del 1815, prese parte alla insurrezione spagnuola del 1821, cadde prigioniero dei Francesi, fu deportato alla Nuova Orléans, e di qui recossi nel Messico, alla città di Tampico, diventandovi cospicuo industriale e palesandovi notevoli doti militari nel fronteggiare e respingere l’invasione spagnuola e nel difendere da ripetuti attentati la libertà di quella Repubblica: onde gli fu dato il grado di generale. Rimpatriato nel 1848, quando Carlo Alberto largì l’amnistia, comprendendovi i moti del 1821 cui egli aveva partecipato, l’Avezzana si trovò a Genova durante la rivolta sedata poi dal Lamarmora, e ne fu tra i capi (1849); quindi fu ministro della guerra nella Repubblica Romana; e, caduta questa, tornò a New York, finchè la campagna dei Mille non lo chiamò, nel 1860, al fianco di Garibaldi. Nell’VIII Legislatura entrò alla Camera a rappresentarvi il Collegio di “Montesarchio, e vi sedette a Sinistra, dicendo che ivi, all’opposizione, era il posto designato di lui, vissuto tanti anni fra i selvaggi d’America, e quindi restìo ai vincoli dell’ordine e della disciplina ond’era tenuta la maggioranza governativa.
Il « colpo mal riuscito », cui allude il Teja, è quello tentato contro il Gabinetto Ricasoli, nella seduta del 9 dicembre, da Mellana e Brofferio, i quali presentarono un dispaccio in cui il Lamarmora, mandato a Napoli a combattervi il brigantaggio, protestava al Ministero che, ove non si mutasse sistema, egli avrebbe imitato l’esempio del Cialdini, cioè si sarebbe dimesso. Ricasoli smentì la notizia, e, subito che si seppe la cosa, la smentì pure, da Napoli, il Lamarmora, con un dispaccio letto alla Camera il 12 dicembre: onde il colpo andò a vuoto.
Fu il 15 dicembre che si terminò quella che il Teja chiama « torre di Babele », cioè la lunga, intricata, spesso burrascosa discussione sulle questioni di Roma e di Venezia. Lo scrutinio finale diede vittoria al Ministero, con 232 voti contro 79, approvandosi un ordine del giorno Conforti- Boncompagni, in cui si confermava il voto del 27 marzo sui diritti e le aspirazioni italiche a Roma, e si prendeva atto delle promesse del Governo circa le province meridionali.
33. – 29 Dicembre.
Nella galleria del Panteon contemporaneo Teja oggi ci presenta Francesco Crispi, accennando ai diversi elementi ond’era composto il suo carattere e la sua figura politica di quei giorni.