Pontelandolfo- Studi in ricordo di Carmine Diglio

Progetto di editoria sociale “Archeologia pubblica, Paesaggi e Culture, e Innovazione sociale.
Alcuni casi di studio in Campania e Molise.
Studi in onore di Giuseppina Bisogno e in ricordo di Carmine Diglio”

RICORDI
Rivivere con la mente tutti i ricordi che hanno legato, con fruttuose amicizie, il sodalizio dell’Associazione Archeoclub d’Italia – Sezione di Morcone e Pontelandolfo, non è semplice.
Gli incontri, le riunioni, le gite, le escursioni con il Dott. Lorenzo Piombo, Magda Mastellone, Stefano Marino, Anna Aucone e tanti altri, di volta in volta regalavano momenti unici e forse irripetibili.
Quando nel 1999 ci venne data l’opportunità di collaborare con l’Università di Perugia, nella persona del Prof. Maurizio Matteini Chiari, per vivere l’esperienza dello scavo archeologico, si realizzò un modo concreto per conoscere la storia del nostro territorio e gli elementi per decifrarla.
I volontari che vollero seguire il programma di collaborazione, man mano che passavano gli anni, compresero che quegli incontri estivi, di 10/15 giorni, non solo facevano crescere la loro conoscenza, ma ancor più saldavano amicizie e creavano osmosi di culture e mentalità diverse: “Come dite voi in dialetto? Questa frase?”.
A gruppi distinti, nei turni si ritrovavano Jacopo Del Negro, Michele Perugini, Marcello Ruggiero (il “matematico”), a vivere, con qualche difficoltà, quella esperienza.
Come Pompeo D’Addona, Luigi Tranchini, Diego e Carmine Diglio, Luigi Errico, che con qualche iniziale impaccio seguivano le indicazioni della Dr.ssa Letizia Cipiciani sui comportamenti corretti da seguire sullo scavo: “Fate attenzione, non passate sui muri appena rinvenuti”.
Come non ricordare le frasi scherzose di Maurizio che esortava ed elogiava i ragazzi per i risultati ottenuti: “Ecco ancora una volta, nottetempo, Antimo ha nascosto i reperti per farli trovare a voi!” (in realtà, non si sapeva dove il nostro gruppo avrebbe operato).
Vivere quelle giornate a stretto contatto con gli Studenti universitari di Perugia si prolungava nei momenti di pausa pranzo all’aperto, per vivere poi la cena negli alloggi e ricambiare gli sforzi dei cucinieri di turno con prodotti della nostra Terra e del nostro dialetto.
I viaggi di andata e ritorno da Pontelandolfo a Sepino con Carmine e Diego Diglio, a volte molto stanchi del lavoro, erano rallegrati dai racconti delle scoperte fatte, delle amicizie trovate, con la voglia, a volte, di mangiare un piatto più completo (una frittata di maccheroni) per integrare il panino avuto nella pausa pranzo sullo scavo (da cui si rientrava dopo il lavaggio dei “cocci” e l’inventario). L’allegria e la soddisfazione che sprigionavano entrambi per il lavoro svolto e la felicità di Carmine di aver stretto amicizia con i ragazzi che apprezzavano la sua disponibilità (spesso si offriva per andare a svuotare la carriola per alleggerire e velocizzare il lavoro dello scavo).
Quello che di Carmine era da apprezzare, è che non aveva mai momenti di ribellione o di apatia nei confronti degli amici, anche quando gli chiedevano di fare i lavori più umili, come quello di portare l’acqua da bere, sgomberare o attrezzare le zone di scavo rinunciando allo scavo vero e proprio e privandosi delle soddisfazioni che altri avevano per gli oggetti rinvenuti.
Solo chi ha fatto questo tipo di esperienza può capire l’intima difficoltà di mettere in secondo piano le proprie aspirazioni rispetto all’andamento dei lavori di scavo e all’organizzazione, lasciando ad altri il gusto e la gioia dei rinvenimenti.
La disponibilità di Carmine per queste nostre attività era totale, anche se la giornata lavorativa per lui non si concludeva a fine scavo, perché tornato a casa aveva ulteriori lavori da fare.
Ai momenti vissuti sullo scavo si aggiungevano gli incontri serali con tutta la comitiva a cui spesso, a chiusura dello scavo annuale, partecipavano le famiglie dei ragazzi che contribuivano con la presentazione di ghiotte vivande di gastronomia locale.
Molti i soggetti coinvolti che offrivano la loro esperienza, come Gennaro Del Negro che provvedeva alla manutenzione delle docce per i ragazzi, Adele Stringile e suo marito Angelo Diglio (i genitori di Carmine Diglio) che prepararono i quadrati per i disegni di scavo e aiutarono per l’allestimento della Mostra “La Dea il Santo, una Terra”, nel 2004, a Sepino.
Quella esperienza di archeologia partecipativa venne ripetuta per realizzare i saggi di scavo di Coste Chiavarine e Castello dell’Avellana negli anni 2004 e 2005, con l’archeologo Andrea De Tommasi.
Ancora, si videro insieme amici e appassionati come Antonio Orsini (l’Assessore), Giuseppe Orsini (per gli amici “Siila” – anche lui ci ha lasciato!), Patrizia Oliveto, Lucio Albini, Fiorella Guerrera (l’Architetto), Rossana Falato, Elena Baldini, Emanuele Fierro, Jacopo Del Negro, Marcello Ruggiero, e tanti altri amici, professionisti e anche imprenditori che ci hanno sostenuti e che hanno vissuto con noi quei momenti.
Come non mancarono approfondimenti e dibattiti nei due Convegni realizzati per illustrare i risultati degli scavi di Coste Chiavarine e Castello dell’Avellana, e gli incontri periodici con esperti e studiosi tra cui il Prof. Italo Iasiello, l’Archeologo Simone Ruggeri, la Dott.ssa Giuseppina Bisogno, e altri, sempre con il supporto logistico e gastronomico della Famiglia dell’agriturismo “La Ruzzola” di Nunzia e Amedeo Rubbo.
Anche in queste occasioni per tutti è stato importante trasmettere l’amicizia che può legare soggetti diversi per raggiungere traguardi che sono registrati nell’anima di ognuno, con una punta di nostalgia del proprio vissuto.

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ANTIMO ALBINI

CARMINE DIGLIO, UN RICORDO D’ESTATE

carmine diglio

Fu verso la fine di settembre del 2018 che ci sentimmo ancora una volta con l’Amico Antimo Albini, dopo più di qualche tempo in quell’occasione. Si trattava di programmare una delle nostre periodiche promenades in giro per il territorio di Pontelandolfo e quella volta saremmo andati a camminare, ritualmente, lungo i bordi cintati dei saggi stratigrafici che, dalla primavera precedente e per tutta quella estate appena trascorsa, la Soprintendenza per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Caserta e Benevento stava conducendo anche nella località di “Sorgenza”, dunque nel cuore del noto sito archeologico di età romana ubicato nelle vicinanze del bel centro abitato medievale (si veda il contributo di Simone FORESTA in questo volume).
Era una di quelle piacevoli occasioni che mi riconducono a ritrovare sempre gli Amici pontelandolfesi conosciuti fin dall’estate del 2004, quando, sotto la guida della Dottoressa Giuseppina Bisogno, avviammo le prime indagini stratigrafiche nel sito archeologico da loro stessi individuato in località “Coste Chiavarine”. E fu proprio in quell’estate, oggi quasi remota, che direi praticamente dal nulla si attivò un lungo percorso che, pur se spesso interrotto da mesi o anche da interi anni di un certo “letargo operativo” dato dalle contingenze di tutti noi, è stato costantemente rivolto alla definizione di un progetto aperto, agile e opportunamente ampio di Archeologia Pubblica, per Pontelandolfo e la sua Comunità civica, e il suo territorio.
Credo di ricordare bene che fu in quell’occasione, dopo essere mancato per circa quattro anni da quei paraggi amicali e familiari, che parlando, strada facendo, con Antimo Albini e con Jacopo Del Negro di tutti gli altri Amici di sempre, appresi della prematura scomparsa, già alcuni anni prima, di Carmine Diglio. 0 forse, fu lì che entrambi loro mi rammentarono una notizia così triste, già condivisa in una qualche occasione precedente a quella sortita pontelandolfese.
Carmine Diglio, lo ha ricordato con giusta emozione Antimo in occasione del Convegno commemorativo che organizzammo a Pontelandolfo nel settembre dell’anno successivo, è risultato “assente” dal 17 maggio 2011 . Assente alla sua Famiglia Diglio-Stringile; assente ai suoi Amici e Maestri di Pontelandolfo, Antimo stesso tra i primi.
Carmine – ha ricordato ancora Antimo alla platea di allora, nella quale c’era anche una bella rappresentanza dell’Istituto Comprensivo “S@amnium” di Pontelandolfo, in cui Carmine studiò da piccolo – è stato «Socio, sin dalla fondazione nel febbraio del 1998, della Sezione di Pontelandolfo e Morcone dell’Associazione Archeoclub d’Italia, e si è sempre distinto nelle attività proposte dall’Associazione nei vari anni, tra gite, itinerari turistici e archeologici, approfondimenti sulla storia locale, scavi archeologici e ricognizioni nel territorio. Carmine è stato appassionato e grande lavoratore, sia ll’interno che fuori il proprio ambito familiare».
Ecco: appassionato e grande lavoratore, così personalmente avevo conosciuto Carmine (e riconosciuto caratterialmente, tra i molti partecipanti a quegli scavi delle estati del 2004 e del 2005), nel pieno dei suoi 17 anni di Giovane volenteroso e, si vedeva assai bene, di Persona avvezza alla fatica fisica e alla resistenza alla stanchezza – che in tutti, inesorabilmente, calava dopo i lauti pranzi eri plein air, preparati dalla nostra Nunzia Rubbo in quelle due belle estati.
Nel caso di specie, Carmine era molto tollerante rispetto anche alla routinarietà, a volte logorante, di certe attività di scavo archeologico, come il distribuire gli strumenti di lavoro al mattino e il riporli la sera, insieme ad Antimo e ad Antonio Orsini, o il caricare, condurre e scaricare le carriole, e poi il setacciare il terreno di scavo, il sistemare costantemente la terra e il pietrame di risulta, e, ancora, l’andare su e giù per il pendio piuttosto acclive di Coste Chiavarine a prendere l’acqua per tutti fino alla fontana della “Ser(i)enzola”, e portarla a spalla sino al cantiere di scavo.

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Su questo, Antimo Albini ha ragione nel suo contributo intitolato “Ricordi”, quando rammenta come Carmine non avesse alcuna soggezione né del lavoro fisico continuo, né delle attività apparentemente più tediose o “di servizio”, che notoriamente necessitano nell’ambito di un cantiere archeologico.
Alcune cose mi colpivano particolarmente in Carmine, nel vederlo dal mio lato sempre un poco di sfuggita, spesso con la sola coda dell’occhio di chi deve restare concentrato, al contempo, sullo scavo e su chi vi opera all’interno e all’intorno.
Anzitutto, si sarebbe potuto dire che Carmine avesse una sorta di consuetudo loci, buona e positiva intendo, ritornando giusto per un attimo a quella locuzione antica con la quale si indicava un modo di “possesso” di un dato spazio sociale e geografico. Una familiarità piena con l’ambiente, non solo in quanto parte del territorio pontelandolfese e, dunque, in quanto ambito del suo Paese natio; bensì, anche e forse più una naturalezza evidente espressa nel vivere, continuativamente per molte ore al giorno, in giorni consecutivi, quell’ambiente aperto e naturale – laddove, molte per¬sone, benché nate e cresciute in zone aperte e di campagna o montagna, non sempre dimostrano di avere dimestichezza e naturalezza nel muoversi in certi contesti e spazi naturali, anzi tutt’altro.
Poi, Carmine aveva negli occhi quella curiosità sempre accesa e reattiva, pronta a osservare, domandarsi, scorgere, semmai come suol dirsi “rubare con la vista”, durante i vari momenti della giornata di lavoro (ché tale era l’impegno personale, pur se vissuto, nominalmente, da giovane Volontario per l’Archeologia) che svolgeva nel cantiere di scavo di Coste Chiavarine. Il che per lui credo si traducesse, di fatto, in una comparazione costante con quanto aveva potuto apprendere già da tempo sotto la guida di Antimo stesso e la direzione esperta del Prof. Maurizio Matteini Chiari, nelle lunghe giornate di molte estati trascorse sullo scavo universitario di “San Pietro dei Cantoni”, a Sepino: perché lì si faceva in un modo, e qui a Coste Chiavarine si operava in una modalità differente in questo o l’altro aspetto pratico? E poi, tra le tante difficoltà operative che il sito di Coste Chiavarine ci poneva, dove si sarebbe potuti arrivare dopo la notevole fatica di quell’estate del 2004? A “cosa” poteva condurre tutto quel lavoro di tante persone che ogni giorno, per tante ore impegnavano il loro
tempo e sudore, alcuni le loro giornate di ferie lì, tra quelle pietre calcaree e quelle dure zolle di argilla? Era, davvero, tutto racchiuso nella scoperta eclatante, che tutti si aspettavano di poter/dover fare, la ragione di tutto quel darsi da fare? Di quelle risorse di tutti, spese per indagare una piccola “fattoria” di epoca romana?
Mi sono domandato più di qualche volta se Carmine, e anche gli altri Ragazzi dell’Archeoclub di Pontelandolfo e Morcone – Jacopo, Marcello, Diego, Luigi,… – che erano lì con noi a investigare i labili resti residuali del sito archeologico, si ponessero qualche quesito del genere; e quali risposte, silenziose e intime, si potessero dare. 0, semmai, si “crucciassero” con domande anche più profonde di queste, sull’Archeologia in generale, ad esempio. E spesso con Antimo ci siamo soffermati anche su questi dubbi e pensieri, per tentare di cogliere cosa davvero passasse ai “Ragazzi dello scavo di Coste Chiavarine” di tutta quella esperienza sul campo, sotto al sole pontelandolfese dell’estate del 2004, e poi ancora di quella successiva.
Carmine Diglio, quindi, resta per me “colto” in quei fotogrammi mentali, in quel ricordo d’estate, con il suo sorriso sornione di chi molta parte delle cose sull’Archeologia l’aveva già colta, mentre si preparava a coglierne ben altre sulla Vita.
Un esempio che evoca i tanti Giovani che hanno scelto nei loro anni dei divertimenti e delle fondamentali esperienze “fuori casa”, si spendere molte giornate immergendosi nell’Archeologia: chi sul campo archeologico, come Carmine e i Ragazzi che furono con noi a Coste Chiavarine; chi nello studio precoce di fonti di conoscenza disciplinare; chi nella valorizzazione attuata, semmai, da giovane “Cicerone” dei propri luoghi del cuore o di elezione; chi, ancora, addirittura avventurandosi anno dopo anno in percorsi di formazione e di studio post-scolastico che gli hanno consentito di farne un lavoro o una professione, magari non sempre stabile e profìcua.
Ecco, dunque, il senso che è dietro a quel fin troppo timido “Grazie”, che si è provato a rivolgere a Carmine Diglio, e ai suoi Genitori e alla loro Famiglia, consegnandogli nel settembre 2019, simbolicamente, una piccola grafica di ricordo e di attestazione di quanto lui, il Caro Carmine, ha saputo donare alla sua Comunità civica e agli Amici e Maestri di Pontelandolfo

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(Fig. 1).

Ma sempre silenziosamente, senza fare troppe domande; però osservando curioso.
Attendiamo, allora, che gli auspici formulati già al Convegno del 2019 perché si giunga all’istituzione di un Premio annuale in suo nome e memoria, possano finalmente esaudirsi, così da trovare un luogo e un tempo periodici in cui si possano attestare, a loro volta, l’intelligenza e la fatica di molti altri Giovani tutt’oggi impegnati in percorsi e iniziative di Archeologia Pubblica, a Pontelandolfo, in Campania, in Italia, in Europa e, perché no, anche in quel mondo fatto di tanti Paesi esteri in cui molte generazioni di Pontelandolfesi si sono trasferiti; e dai quali spesso ritornano al loro Paese natio.

ANDREA DE TOMMASI
già collaboratore sul campo della Dottoressa Giuseppina Bisogno e collega di Carmine Diglio adt.andrea.detommasi@gmail.com

1 Si vedano le slides di introduzione al Convegno, con la sezione di ricordo di Carmine Diglio che fu presentata da Antimo Albini, accessibili al link web: https://www.academia.edu/40513716/ (ultimo accesso: 31/01/2022).

Presidente della Sezione di Pontelandolfo (BN) Archeoclub d’Italia antimo.albini@gmail.com