NECROPOLI DI CAPESTRANO, LA NECROPOLI DEL GUERRIERO
Daniele Mancini
Si contano sulle dita di una mano le notizie che pubblico su scavi e scoperte dalla mia terra d’Abruzzo: sono veramente poche le informazioni che provengono dai vari concessionari di scavo e, solo nel periodo più recente, c’è stata una interessante apertura delle due Soprintendenze abruzzesi a rendere note le novità archeologiche, come nel caso della Necropoli di Capestrano.
Solitamente sono costretto a navigare su siti specializzati e su pagine di giornali stranieri per poter rendere note le notizie più interessanti provenienti dal mondo archeologico, notizie fornite direttamente dai vari team che si impegnano alacremente nel sostenere della campagne di scavo spesso complicate.
Oggi, finalmente, in controtendenza alle normali pratiche, il team multi disciplinare dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, guidato dalla Prof. Oliva Menozzi (è stata anche la mia correlatrice nella mia discussione di laurea magistrale, ndr), coadiuvato dall’Università di Oxford, ha reso immediatamente pubblici i risultati preliminari delle operazioni di scavo, recentemente concluse, annunciando il proseguo degli studi sulle attività svolte e sui recenti rinvenimenti.
Dal 2002, la cattedra di Archeologia della D’Annunzio opera nel territorio di Capestrano, spaziando dalla collina antistante l’abitato di Capestrano, dove sono state individuate diverse strutture pubbliche che attestano il riutilizzo degli antichi edifici italici fino Tardo antico inoltrato, l’antico municipium di Aufinun, alla necropoli dove, nel 1934, è stato casualmente rinvenuto il noto Guerriero di Capestrano, oggi in bella mostra al Museo Nazionale di Villa Frigerj a Chieti, simbolo della storia abruzzese.
Nella vasta Necropoli di Capestrano sono attestate tombe di diversi periodi e quelle più antiche risalgono al VII a. C. La necropoli è attraversata da una via naturale che solcava le valli fluviali e gli altopiani a sud del Gran Sasso, allacciando diverse consolori che collegavano Tirreno e Adriatico e che venne sistemata dall’imperatore Claudio nel 47 d.C., divenendo nota come Claudia Nova.
Le tombe portate alla luce, già da qualche anno, attestate già dalla fine del VII secolo a.C., mostrano come le necropoli italiche fossero utilizzate, come attestato luogo di sepoltura, fino all’epoca romana. Alcune tombe presentano anche interessanti corredi funerari e, in attesa delle analisi specifiche sui resti ossei, sono i manufatti rinvenuti nella sepoltura a proporre agli studiosi la quasi precisa datazione dell’inumazione.
La Menozzi conferma che tutte le tombe presentano la stessa tipologia di corredi: un’olla voluminosa con, all’interno, una coppa attingitoio tronco-conica, a forma di kantharos. Le tombe maschili, in particolare, mostrano delle singolari tipologie di lance: in particolare, in una delle sepolture è stata rinvenuto un un saunion, una punta appartenente a una lunga lancia con parte finale in ferro che risulta utilizzata dai guerrieri vestini non prima della metà del V secolo a.C. ed è l’antesignana del pilum romano. Inoltre, una sepoltura femminile, attestata grazie alla presenza, nel corredo, di una fibula in ferro e una collana di pasta vitrea colorata, si innesta in quella di uno dei guerrieri, probabilmente il coniuge, ed è vicina ad altri uomini.
Gli studi dei resti ossei proseguiranno, ora, nei laboratori dell’università: si cercheranno, con la analisi genetiche, i vari gradi di parentele tra gli individui inumati, l’esistenza di un genoma locale che leghi la popolazione vestina con altre di lingua osco-umbra stanziate della penisola, se gli inumati hanno subito patologie particolari, ma anche, conclude la Menozzi, lo studio dei dei semi , dei residui di vino rinvenuti nelle olle attraverso la gascromatografia (lo studio dei componenti di una miscela tra la sua fase stazionaria e quella mobile gassosa) e lo studio del patrimonio agricolo alimentare dei Vestini.
L’archeologia si evolve e allargherà ulteriormente i nostri confini delle conoscenze…
Daniele Mancini