I Bronzi sono di Riace. E del resto del mondo
21 Agosto 2022
Chi si ostina a non farne gli ambasciatori della Calabria, danneggia loro e la regione
Vittorio Sgarbi
Sono trascinato in una polemica insensata sui Bronzi di Riace, da taluni di un fantomatico «Comitato per la tutela e la valorizzazione» di cui è protervo membro un medico reumatologo, Eduardo Lamberti Castronovo, che pretendono la inamovibilità perenne delle due sculture come se qualcuno ne minacciasse la pertinenza al Museo Nazionale di Reggio Calabria. Gli argomenti sono espressi con termini esaltati e pretestuose contrapposizioni. Tutto parte dalla pregevole iniziativa della Fonderia Del Chiaro che ha proposto, con tecnica sofisticata, la replica dei due Bronzi, che mi segnalò un artista di lunga esperienza come Carlo Guarienti. Ho ritenuto di esporli, allusivamente, nella mostra «Il falso nell’arte» al Mart di Rovereto, e ho accettato la proposta di Roberto Del Chiaro di immergerli nelle acque di Marina di Pietrasanta, con una seguitissima performance di evidente significato concettuale: restituire al mare ciò che il mare ci ha donato, consentendo la visione dei bronzi a pelo d’acqua alla fine del lungo pontile della località marinara.
Nessuna provocazione, e nulla che fosse criticabile. L’occasione era il cinquantesimo anno dalla scoperta, nelle acque di Riace, dei due capolavori che io vidi tra i primi, in quell’agosto del 1972, in visita al museo di Reggio per studiare le due tavole di Antonello da Messina. Fu l’offerta di un custode che mi rivelo’ il segreto di quella scoperta, ancora dai confini misteriosi. Non ebbi dubbi di essere di fronte a un ritrovamento eccezionale e, ancora nella incertezza delle prime valutazioni, che si trattasse di due testimonianze dell’arte greca (non quindi, come qualcuno pensò, romane) del V secolo a.C., e probabilmente, come ritengo tuttora, poco dopo il tempo del Maestro di Olimpia, che avevo visto dal vero un anno prima: verso il 475 a.C.
Poi vennero i restauri, seguiti dall’amico Francesco Nicosia, a Firenze; la prima esposizione, già clamorosa, al museo archeologico della città toscana; poi la chiamata di Pertini al Quirinale, con un trionfo di visitatori e il trasferimento nel mito e nella leggenda; e infine il fatale ritorno a Reggio dove, con l’atavico terrore di essere beffati, sono stati resi immobili da qualunque ipotesi di prestito. Rifiutati all’Expo di Milano per decisione del fantomatico comitato, e nonostante il parere di illustri restauratori, perché giudicati fragili, dopo duemila anni sott’acqua. Vorrei vedere in quali condizioni troveremmo quelli che li considerano delicati!
Vietato spostarli, con il parere febbricitante di una commissione di storici addomesticati, di soprintendenti ipnotizzati, di reumatologi (ma di nessun restauratore). Il parere si è fatto dogma, e serve anche a sventare l’ipotesi, certamente grandiosa, di una esposizione (temporanea) al Louvre, al British Museum o al Metropolitan di New York, con un effetto glorioso per tutta la regione. Non esiste nessuna opera, anche preziosissima, in nessun museo, di cui non si possa valutare la disponibilità al prestito con misurabili vantaggi. Così hanno girato il mondo, e sono tornati a casa senza danni, l’Efebo di Mozia e il Satiro danzante di Mazara del Vallo, e i preziosissimi Grifoni di Ascoli Satriano. E, di recente, il fragilissimo Compianto, con otto sculture in terracotta, di Guido Mazzoni di Ferrara, esposto a Forlì. O la Crocifissione di Niccolò Baroncelli, con altri bronzi delicatissimi del Rinascimento alla mostra di Donatello a Firenze. O i capolavori, pressoché coevi a quelli di Riace, esposti nella mostra «Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico», contemporaneamente all’Expo di Milano.
Attraverso eccezionali esempi di statue bronzee, la mostra raccontava gli sviluppi artistici dell’età ellenistica (IV-I secolo a.C.), periodo in cui, in tutto il bacino del Mediterraneo e oltre, si affermarono nuove forme espressive che, insieme a un grande sviluppo delle tecniche, rappresentano la prima forma di globalizzazione dei linguaggi artistici nel mondo allora conosciuto. Prova ne siano i Bronzi di Riace. L’utilizzo del bronzo, grazie alle sue qualità specifiche, permise di raggiungere livelli inediti di dinamismo nelle statue a figura intera e di naturalismo nei ritratti, in cui l’espressione psicologica divenne un marchio stilistico. La mostra vedeva riuniti alcuni tra i maggiori capolavori del mondo antico, provenienti dai più importanti musei archeologici italiani e internazionali. Statue monumentali di divinità, atleti e condottieri erano esposte in un percorso che evidenziava le tecniche di produzione, fusione e finitura del bronzo, e le storie delle scoperte di questi capolavori, la maggior parte dei quali ritrovati in mare.
Tutto questo non era e non è consentito ai Bronzi di Riace. Gli argomenti sono questi (a parte la grammatica): «Ancora, tristezza ma non paura, incutono le minacce (di Sgarbi) secondo le quali, quando lui sarà Ministro della Cultura (speriamo mai), predisporrà Leggi che abbattendo i veti del mondo scientifico (che allora esistono!) farà girovagare i Bronzi per ogni dove, nel mondo. Credo che dovrà passare sul cadavere di molti reggini! Se l’amor della patria è delitto… Non è provincialismo quello del Comitato e della maggior parte dei reggini, ma solo un desiderio estremo di tenere e difendere ciò che la storia ci ha assegnato, per favorire una legittima ripresa di una Terra generosa, ma sfortunata e depredata. Perché sfortunata ce lo spiega Leonida Repaci, nella sua lirica quando fu il giorno della Calabria e depredata perché la sua classe politica è di tale spessore infimo, che non riesce neppure a difenderla. Ricorderà il caro Solone ferrarese che sui libri di geografia, alle elementari, avrà appreso che il capoluogo della Calabria era proprio Reggio, ma oggi non lo è più! Ecco, vogliamo ripetere con i bronzi quello che abbiano subìto col capoluogo?».
Non si capisce cosa c’entra, ma si intende bene la logica di tali argomenti, ribaditi, in rinnovati deliri, da altri che evocano, equivocando tra sede museale (da nessuno messa in discussione) e prestiti, le condivisibili parole di Sandro Pertini, che a Roma espose le due sculture, e il cui esempio andrebbe seguito: «Quando Sandro Pertini, il migliore e più amato Presidente della Repubblica Italiana, venne a sapere delle manovre dei fiorentini per tenersi i Bronzi, intervenne col suo stile schietto e il suo linguaggio asciutto. Difese l’appartenenza dei Bronzi al Museo di Reggio con una dichiarazione che affossò la cupidigia dei fiorentini: i Bronzi di Riace devono tornare nella loro casa: il Museo di Reggio. Durante il viaggio di ritorno desidero ospitarli al Quirinale. E poi andrò a Reggio ad inaugurare la Sala che stanno allestendo per esporli. Mantenne la parola, come ha fatto sempre nella sua vita. Venne a Reggio nel 1982 per l’inaugurazione della Sala chiedendo espressamente all’attrice Melina Mercouri, Ministro della Cultura del Governo greco, di affiancarlo per rispetto alla poliedrica cultura ellenica di cui i capolavori erano un’altissima espressione. Fu un giorno memorabile, denso di commozione e di orgoglio. Io c’ero e lo vissi con particolare intensità assieme a tanti reggini. Pertini era un personaggio genuino, capace di essere in sintonia con i sentimenti del popolo. Ricordo un aneddoto di quel giorno. Eravamo al primo piano ed io mi ero venuto a trovare a poco più di un metro da lui. Chiese al suo capo-scorta: perché stiamo tornando indietro? Vedo che c’è un’altra sala. Il capo-scorta: Presidente, motivi di sicurezza. E lui col suo solito piglio: Ma quale sicurezza. Sono venuto apposta da Roma per questo bellissimo Museo e voglio vederlo tutto. E voglio che lo veda interamente anche la nostra ospite. E virò deciso verso quella sala non prevista nell’itinerario, provocando ingorghi ma anche una scia di simpatia. Di lui sì che è piacevole parlare». E dunque, siccome è un museo bello, il Louvre non concede prestiti?
Qui non c’è nessuna manovra contro la stabile sede del Museo di Reggio. E, ancora, che c’entra l’inamovibilità dei bronzi, proprietà del Museo, con il loro prestito, magari al Louvre, in cambio della Gioconda? Pertini direbbe di no? Poveri bronzi, prigionieri di chi non ama né loro, né la sua terra! E che vuole tutto immobile. Armati e minacciosi vi attendono, davanti al museo vuoto, il 21 di novembre. Povera Calabria, in mano di chi la offende per malinteso amore. I bronzi sono ancora vittime del delitto d’onore.
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