Gesù Cristo in carne ed ossa. «L’Ultima Cena» di Leonardo diventa un quadro vivente grazie a tre premi Oscar.
L’anteprima del Corriere della Sera
Da uno dei capolavori mondiali- L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci – prende vita «The Last Supper: The Living Tableau», un tableau vivant di nove minuti creato e filmato in dettaglio dal regista / creatore Armondo Linus Acosta con i collaboratori italiani vincitori del premio Oscar Vittorio Storaro (cinematografia) e Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (scenografia e decorazione scenica).
di Valerio Cappelli
Il dipinto si compone davanti a noi, in un rallentamento estremo. Gesù Cristo lo vediamo in carne e ossa, è solo, al centro della tavola, allarga le braccia ed ecco che si sprigionano sentimenti confusi che investono gli Apostoli, i dubbi, l’angoscia, lo stupore. E la solitudine di Cristo, certo del suo destino. «L’Ultima Cena» diventa un breve filmato di 9 minuti che ricostruisce «fisicamente», in maniera tridimensionale, con un tempo cinematografico e nei minimi dettagli, il dipinto leonardesco che si offre a una certa distanza e altezza grazie a una gru di sette metri, «a cannocchiale».
IlCorriere della Sera mostra il cortometraggio in esclusiva sul proprio sito, insieme con Tv 2000 (l’emittente del Vaticano). Un capolavoro illuminato da Vittorio Storaro e impreziosito dalla scenografia di Dante Ferretti e dal décor di sua moglie Francesca o Schiavo: in totale nove premi Oscar, tre a testa: «E’ stato un viaggio breve ma intensissimo che ci ha dato forti emozioni». La macchina da presa compone il dipinto, «potreste mettere la foto dell’originale, il filmato nell’ultima sequenza è identico», dice Storaro. E Ferretti: «Abbiamo ricostruito dal vero un principio figurativo. Legno, intonaco, tutto come se fosse un film». Doveva essere proiettato il giorno di Pasqua, come dono alla Città Eterna e a Papa Francesco, sulle facciate e all’interno di alcune Basiliche romane, compresa San Pietro. Ma il coronavirus ha fatto cancellare l’evento. E la produzione italo-belga-USA (c’è il patrocinio del Vicariato), dice che il corto vuole diventare ora «un messaggio di preghiera e di speranza per tutti in questo momento». Hanno voluto esaltare «l’italianità dell’arte attraverso i nostri talenti, a cominciare dallo Stabat Mater di Rossini».
Il filmato è l’introduzione di un film sugli Apostoli che stava ultimando il regista Armondo Linus Acosta, nato in Pennsylvania nel 1938, figlio di musicisti jazz. Ha fondato a Gent, in Belgio, quella che Storaro chiama un’Accademia spirituale, dove riunisce tra meditazione e recitazione gente di varie professioni, ed è lì che hanno girato «The Last Supper: The Living Tableau». Gli attori sono giovani sconosciuti, il regista si è ritagliato il ruolo di Taddeo che, insieme agli altri Apostoli, si muove al rallentatore. «Sono in attesa di Gesù, la macchina da presa arretra lentamente ed entra Gesù dalla destra, l’unica figura in movimento, si va a sedere e dà la benedizione». Gli attori-Apostoli, racconta Ferretti, «erano stati bloccati nel gesso, come se indossassero degli scafandri, e riproducono la loro posa nel dipinto, potevano muovere soltanto la testa e gli occhi, il gesso era ricoperto dei loro vestiti». «Ho usato stoffe rustiche, lini grezzi e poi tinti, cotoni primitivi, colori non violenti; il grande lavoro per me sono stati i teli appesi al muro e stampati in 3D», dice Francesca Lo Schiavo.
Bisognava dare un senso prospettico alla ricostruzione architettonica del dipinto a muro. Ecco gli arazzi sulle pareti, il soffitto a cassettoni, le nature morte, gli oggetti, il cibo. Storaro ha l’ossessione di Leonardo, il suo lavoro nel cinema parte da lui: «Alle elementari sul quaderno c’era un’immagine della sua Annunciazione, io ero attratto dall’Angelo con una mano protesa verso la Madonna, quasi timorosa. Nel 1975 lavoravo a Novecento di Bertolucci e andai a Milano per ammirare Il Cenacolo. Rimasi folgorato dall’armonia e dal senso di perfezione. Scoprii che le misure erano di due volte l’orizzontale per una volta il verticale. Lo stesso avviene nell’Annunciazione».
La condizione che ha posto, nel «loro» Cenacolo, è di mantenere gli stessi rapporti numerici dell’opera originale: «Una regola che osservo da molti anni in tutti i miei film, da Coppola a Woody Allen. Ho cambiato il formato cinematografico seguendo la perfezione dell’immagine leonardesca. In tv, nei film, non c’è mai la stessa composizione del grande schermo, ma il cinema è un’espressione di immagini: se la cambi, cambia la forza dell’immagine. E’ assurdo che il pubblico veda al cinema una composizione e in televisione un’altra. Leonardo aveva capito tutto 500 anni prima. Purtroppo l’illuminazione del dipinto, così com’è ora a Santa Maria delle Grazie, è sbagliata, parte dal basso. Invece Leonardo usa una luce nordica, suffusa che dà un senso di equilibrio tra luminosità e oscurità, una luce naturale che viene da sinistra, c’è una grande finestra che illumina la parete e lui dà la sensazione che le figure siano parte di quel lontano paesaggio lombardo. Si parte da un raggio di sole che entra dalla finestra e a mano a mano la luce cambia, si modifica, dall’alba all’imbrunire».
Storaro dice che il soffitto, le pareti, il pavimento, tutte le linee prospettiche «vanno a finire nella mente di Gesù, e vanno oltre il dipinto: nell’universo. Nell’esaltazione della potenza divina, è proprio l’essere umano al centro di tutto».
8 aprile 2020 | 20:41
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