Le umiliazioni infinite di noi italiani d’Istria

Le umiliazioni infinite di noi italiani d’Istria

Da 70 anni siamo dimenticati e vessati perfino se dobbiamo rifare il codice fiscale
Tito Delton – Mer, 08/02/2017

Gentile direttore, chi vi scrive è un esule istriano, nato a Dignano d’Istria (Pola) nel 1941, la cui famiglia… meglio… che, con la mamma e la sorella (mio papà, purtroppo…), è scappato dall’Istria ed è giunto a Torino nel novembre del 1945 per non muoversi più.

Per sommi capi mi sono presentato, ma perché, vi direte, vi sto scrivendo?

Perché sono esausto, quasi stremato, comunque tanto arrabbiato dentro nel dover sempre «raccogliere», dal 1947 ininterrottamente fino al 2017, notizie, fatti, offese che hanno investito noi giuliani, gli «italiani dimenticati», esuli cui non è mai venuta meno la voglia di controbattere a vigliaccate sovente effettuate con volontà effettiva o, comunque, dettate da una ignoranza che sa di cattiveria anche maggiore. Mi spiego meglio.

Mi spiego ancora meglio e vado nel particolare.

Credo possano bastare alcuni episodi che sono accaduti nelle quattro annate indicate più sotto, per far comprendere la mia, nostra amarezza, nonostante ci siano altri casi che stridono enormemente, ma questi sono esemplari per come accaduti.

2014-2016 Nel mese di aprile del 2014 leggo un titolo a grandi caratteri, sul giornale La Stampa: «Mai case popolari ai fascisti Gli esuli istriani senza pace». Il tutto si riferisce al fatto che da quasi sessant’anni gli esuli istriani alloggiati nelle case popolari di Lucento a Torino non possono ancora acquistare, a prezzi di favore come una apposita legge del 1955 prevede, gli alloggi in cui abitano e che chi si oppone sono diverse associazioni politiche, tra cui l’Anpi (i partigiani italiani), gli stessi che nella ricorrenza del 10 febbraio 2016, nostro Giorno del Ricordo, si sono adombrati perché era stata organizzata una piccola cerimonia al Camposanto Monumentale di Torino davanti al significativo monumento che ricorda i nostri Morti (lo riferisce sempre il quotidiano La Stampa). Assurdo: c’è ancora qualcuno che continua a vedere rosso, al solo nominare gli istriani: ma, insisto nel chiedermi, cosa abbiamo fatto di tanto grave?

2015-2016 Il sottoscritto, come succede, credo, a tutti i pensionati, nel mese di gennaio riceve il Cud dell’Inps con, quell’anno, un ulteriore foglio allegato. Sul foglio, in calce, è scritto che «Il suo codice fiscale non è validato», quindi viene indicato l’ufficio dell’Inps ove rivolgersi. Vado in Corso Turati, a Torino, faccio quasi un’ora di coda e subito dopo mi viene detto che per quelle cose devo uscire, girare a destra e salire al nono piano. Qui incontro un impiegato, molto cortese, che mi chiarisce il problema. Il sistema informatico dell’Inps non recepisce che io sia nato a Dignano d’Istria, in Italia, nel 1941 e pertanto se voglio continuare a prendere la pensione (meno di 800 euro!) devo inserire un altro dato. Mi viene suggerito, da quel signore che, evidentemente, è un burocrate alla massima potenza, di inserire Slovenia o Croazia ed io quasi svengo dall’affronto. Gli faccio notare e gli sottopongo il testo di una legge apposita (che mi porto sempre in tasca o in una agenda) che il nostro governo ha predisposto, la legge 54 del 15 Febbraio 1989, in cui è specificato molto bene che «Tutte le amministrazioni dello Stato, del parastato, degli enti locali e qualsiasi altro ufficio o ente, nel rilasciare attestazioni, dichiarazioni, documenti in genere, a cittadini italiani nati in comuni già sotto la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati, ai sensi del trattato di pace con le potenze alleate ed associate, quando deve essere indicato il luogo di nascita dell’interessato, hanno l’obbligo di riportare unicamente il nome italiano del comune, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene».

Al mio rifiuto e per ovviare all’errore mi propone, Slovacchia… Moldavia… Ungheria, persino Turchia! Ovvio che rifiuto e l’impiegato, forse disperato in quel momento, mi propone una «cosetta» che sa di alieno, di sovrannaturale: devo accettare, sempre per poter continuare a riscuotere la pensione, di essere nato a «EE». Ma vi rendete conto? Ricordate le targhe automobilistiche degli stranieri che venivano in Italia e degli italiani che andavano all’estero i quali, anni addietro, dovevano appiccicare quella targa che significava Escursionista Estero? Pazzesco, ma ho dovuto cedere e se non bastasse vi informo che verso la fine del 2016, al ricevimento di una pratica Inps è scritto, ancora, che sono nato in «EE». Demoralizzante.

2017 Una signora istriana, nata a Pola nel 1938, poche settimane addietro si reca in un ufficio della Regione Piemonte, in Piazza Castello, in quanto deve rifare le pratiche per riavere un tesserino di libera circolazione che le era stato rubato con la borsetta mesi fa. Ad un certo punto l’impiegato (che già l’aveva fatta girare da un ufficio all’altro, senza comprendere cosa volesse!) le chiede le generalità e quando si tratta di indicare sul documento la nazione dove la signora è nata, lei risponde Italia: nel 1938 l’Istria faceva parte (come da circa due millenni: vedere Roma e Venezia!) della nostra nazione. «No – le risponde l’impiegato – Italia non viene accettata». Gli fa notare che c’è una legge apposita, gliela mostra tirando fuori dalla borsetta dei fogli in A4, lui duro dice che può solo scrivere «Stato estero».

Ma come, stato estero, se era Italia, se c’è una legge specifica! Niente da fare. Deve accettare.

Poco prima di uscire, però, la signora si volta e quasi piangendo, gli dice: «Ma lei sa che sono morti quasi 600mila nostri connazionali, di tutte le regioni della penisola, per riportare Trieste, l’Istria, Fiume e la Dalmazia nei nostri confini?». Quello muto e quasi le ride in faccia.

Quanto narrato è solo la punta dell’iceberg che riguarda le storture che noi «italiani dimenticati» dobbiamo subire.