L’amicizia secondo Cicerone: una parola importante da usare con cura
Oggi quando si parla di amicizia -tra i primissimi pensieri- ci figuriamo le nostre “amicizie” su Facebook. La parola amicizia in verità esprime un concetto profondo, sminuito dalla banalità dell’uso quotidiano che ne facciamo, il latino amicus ha la stessa radice di amare, letteralmente l’amico è colui che si ama, non sorprende quindi che il tema dell’amicizia è uno dei più diletti alla filosofia morale.
Si inserisce all’interno delle riflessioni fatte sul tema, un’opera snella (per numero di pagine) ma ricca di spunti di riflessione, scritta nella forma dialogica cara alla filosofia greca: il Laelius de amicitia dell’oratore romano Marco Tullio Cicerone. Il dialogo si svolge tra Lelio, Fannio e Mucio Scevola, in occasione della morte di Scipione Emiliano, il più caro amico di Lelio; a parlare nella maggior parte del dialogo è quest’ultimo, interrotto poche volte dai suoi interlocutori. Secondo Cicerone siamo nati affinché ci fosse fra tutti una sorte di legame e l’amicizia non è nient’altro che una grande armonia di tutte le cose umane e divine, insieme con la benevolenza e l’affetto.
Ciò che cementa questo legame è la ricerca della virtù nell’altro, senza virtù non c’è amicizia; la scelta di un amico ricade su di una persona piuttosto che su di un’altra, per delle qualità che la contraddistinguono, infatti nulla è più amabile della virtù. L’amicizia è un dono della natura per accrescere la virtù, se la virtù da sola non può raggiungere quelle che sono le più alte vette, unita e associata ad un’altra virtù può raggiungerle. Ne consegue che l’amicizia non può essere compagna di vizi, se ciò che origina l’amicizia è la virtù “non è una giustificazione se si sbaglia a causa di un amico. Dal momento che la fama di virtù è stata mediatrice d’amicizia, è difficile che l’amicizia rimanga, se ci si è allontanati dalla virtù”. Non si commettono errori in nome dell’amicizia, con l’amico che sbaglia non si può essere accondiscendenti, altrimenti vengono a mancare le sue fondamenta.
Nell’amicizia quindi la sincerità è un pilastro fondamentale, non c’è più da sperare salvezza per chi abbia le orecchie tanto chiuse alla verità da non poter sentire il vero da un amico, per questo è “di un animo nobile, perfino odiare apertamente piuttosto che celare il proprio pensiero dietro un falso aspetto”. Non basta passare del tempo assieme per essere amici, frequentare gli stessi luoghi, avere gli stessi interessi, fingersi “amico” per interesse, oppure reputarsi tali per il solo fatto di “dirlo”. Se l’interesse, cementasse le amicizie, questi cambiando le distruggerebbe, con queste parole l’avvocato romano vuol dire che chi riduce l’amicizia ad un rapporto di tornaconto personale, s’inganna nel credere di avere amici e si accorge che nel giro di un periodo –più o meno lungo- scemato l’interesse, scompare anche l’amicizia simulata. Si devono scegliere, dunque, uomini saldi, costanti e stabili; ma di questo genere di individui vi è grande penuria.
Nell’era dei social network il concetto di amicizia è ancor di più diluito in una sorta di Todos Caballeros in cui si chiamano amici persone che nemmeno si conoscono e si condividono con queste ogni sorta di intimità. Se domani iniziasse a piovere oro dal cielo, tutti inizierebbero a raccoglierlo in secchi, per accumularne in quantità. Se questa pioggia di oro si prolungasse per mesi, la gran quantità ci spingerebbe a liberarcene, poiché non sapremmo più cosa farcene di tutto quell’oro che ormai non ha più valore. La quantità è nemica della preziosità. Similmente, quando si finisce per chiamare amico ogni persona con cui si trascorre del tempo assieme per un qualsiasi motivo, si finisce per sminuire il concetto di amicizia. E restando sempre in tema social, la gran voglia che hanno le persone di condividere con il mondo la propria vita – postando dieci autoscatti al giorno – toglie il senso alla foto, al ricordo, si finisce per banalizzare ogni cosa.
Su questo punto ci ritorna in mente un altro filosofo classico, Lucio Anneo Seneca, che nel De vita beata scrive “Perché non cercare un bene da potersi intimamente sentire, piuttosto che uno da mettere in vetrina? Tutte queste cose che ci stanno intorno, che ci avvincono e che ci mostriamo a dito gli uni agli altri con ammirato stupore, brillano esternamente, ma dentro non sono che miserie.”
Con questo non si vuol dire che nell’era dei social network non esiste più l’amicizia, ma solo che vi è un abuso di questa parola. Bisognerebbe di nuovo riempire di significato la parola amicizia perché essa eccettuata la sapienza è “il più grande dono degli dei”. Nonostante tutto è piacevole rileggere Cicerone, che descrivendo un tipo di amicizia sincera, disinteressata, amicizia come ricerca della virtù, quella così rara alla prova del tempo si chiede “Cosa c’è di più dolce che avere qualcuno con cui si osi parlare di tutto come con se stessi? Quale grande vantaggio ci sarebbe nella buona sorte, se non avessi chi ne godesse come te stesso? Sarebbe veramente difficile sopportare le avversità senza qualcuno che le sopportasse persino con maggior pena di te.”
(di Umberto Iacoviello)
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