Altro che giuria popolare M5S. La Cassazione inguaia i siti
Nubi sempre più nere si affollano sulla libertà di espressione nel nostro Paese
Daniela Missaglia
Nubi sempre più nere si affollano sulla libertà di espressione nel nostro Paese. Il 2016 si chiude infatti con una discutibilissima sentenza della Corte di Cassazione che, contravvenendo ogni principio di logica e diritto, persino quelli stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, introduce una responsabilità in concorso del gestore di siti internet nei quali un forumer non anonimo iscriva commenti ritenuti diffamatori.
Questo è quello che la Suprema Corte ci sta dicendo: se sul sito di questo giornale o in qualsiasi altro sito aperto ai commenti, un lettore (pur identificato con nome e cognome e regolare registrazione) dovesse esprimere feroci censure ad una notizia di cronaca politica, dipingendo come un farabutto questo o quell’onorevole, la responsabilità penale non sarebbe solo quella personale del commentatore fumino, ma anche del gestore o amministratore del sito che si buscherebbe un bel concorso in diffamazione. È bastato che un lettore chiamasse «farabutto emerito» e «pregiudicato doc» il presidente della Figc ad oscurare il sito su cui il post incriminato era stato vergato elettronicamente, con avvio dell’azione penale verso i gestori (e 60mila euro di condanna risarcitoria)
Fermo il rispetto a Giancarlo Tavecchio ed al suo sacrosanto diritto di difendere la propria onorabilità nei confronti di chi lo diffami, con questa logica perversa (non a caso esclusa dal Tribunale di prime cure) stiamo condannando alla chiusura forum, chat pubbliche, piattaforme e siti che ammettono il coinvolgimento degli utenti attraverso i commenti. Pensare che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva bacchettato, nel febbraio 2016, gli Stati dell’Unione che condannavano i gestori dei siti per effetto di commenti di utenti anonimi o non identificabili: questo perché, spiegavano i magistrati di Strasburgo, così si finiva per ledere la libertà d’espressione che è un diritto fondamentale dell’umanità. Chi, dopo la sentenza in commento del supremo organo giurisdizionale nostrano, avrà il coraggio di gestire un sito e ammettere i commenti dei lettori? Si fa un gran parlare di post-verità, di Beppe Grillo e giurie popolari per smascherare i media, dell’ira del divin Mentana contro il leader pentastellato e poi questa sentenza scivola in un trafiletto delle pagine interne.
A questa stregua Laura Boldrini o Matteo Renzi potrebbero, da soli, far chiudere l’80% dei siti italiani ma bisognerebbe costruire un super-carcere apposito per ospitare tutti gli amministratori.
Per non parlare di quanto è stato scritto negli anni su Silvio Berlusconi e qualsiasi altro personaggio della politica, sport, finanza, tv o carta stampata che, per la sua visibilità e notorietà, automaticamente ha risentito di critiche, anche ben oltre il lecito. Siamo ad un bivio: la Cassazione dipinge lo scenario futuristico di un mondo di repressione verbale, la Corte europea fornisce invece una visione più garantista e rassicurante, identificando come personale la responsabilità penale, a tutela di un diritto fondamentale, il diritto alla libertà d’espressione.
Questa volta mi sento di propendere per la visione europea, una volta tanto più avveduta dei manicheismi patri.