”Il 13 Febbraio 1861 Giorno della memoria delle vittime meridionali del Risorgimento”
L’associazione Libero Sud ricorda quelli che definisce i martiri dell’unità di Italia.
L’associazione culturale ‘Libero Sud’ cerca costantemente di dare memoria ai fatti storici che ci appartengono, ma che sono stati nascosti e sottaciuti.
Il 13 Febbraio è stato istituito il giorno della memoria per onorare il ricordo di quanti volontariamente e involontariamente persero la vita a seguito dell’annessione del Regno delle due Sicilie di Borbone al feudo dei Savoia in una guerra mai dichiarata per l’unificazione d’Italia (in molti ci credettero) o solo per l’espansione del Piemonte al fine di pagare i debiti contratti, a livello internazionale, per la fallimentare azione imprenditoriale e bellica di Camillo Benso, conte di Cavour (Deputato al Parlamento Subalpino fin dal 30 giugno 1848, primo presidente del Consiglio dei ministri del nuovo Stato fino al 1861, morto ricoprendo tale carica).
In quella data di 162 anni fa cadeva la fortezza di Gaeta, dopo 3 mesi di massacri e bombardamenti (che il Generale Enrico Cialdini perpetrò ininterrottamente, nonostante il ‘cessate alle armi’ da parte dell’esercito borbonico e della Nunziatella in particolare, alla vigilia della resa firmata da re Francesco II), che rasero al suolo la città e misero fine alla prosperità del popolo meridionale.
Ma il popolo meridionale, orfano del suo Re, non si arrese e non accettò la nuova famiglia reale dando vita a quella che oggi possiamo tranquillamente denominare La Guerra Civile contro gli invasori piemontesi.
La storia è scritta dai vincitori, nel senso che le informazioni che impariamo e studiamo sui libri di storia fin da bambini sono spesso distorte o completamente false in base a chi effettivamente è stato a scriverle e la pagina inerente l’unità di Italia ne è un esempio lampante.
Infatti, quello che i libri definirono ”repressione di situazione di disordine e malaffare locale” per qualificare la situazione del governo Cavour non era ciò che realmente accadde.
I Savoia riuscirono faticosamente a piegare la resistenza dei nostri partigiani (arroccati negli appennini meridionali e in Lucania per spostarsi all’occorrenza in tutto l’ex regno) con un massiccio dispiegamento di risorse economiche, di mezzi e di circa 120mila soldati fatti scendere appositamente dal nord dal neo-governo presieduto da Cavour, agli ordini del generale Enrico Cialdini (con Nino Bixio, luogotenente garibaldino, responsabile delle stragi di Bronte, di Biancavilla e di altri paesi della fascia etnea e col celebre generale Raffaele Cadorna, inviato a Palermo in occasione della rivolta del 1866) che le cronache estere dell’epoca classificavano come tra i peggiori criminali di guerra che la storia ricordi.
E per 10 anni il Meridione divenne un inferno: cannoni contro città indifese, fuoco appiccato alle case e ai campi, baionette conficcate nelle carni dei giovani, dei preti e dei contadini, donne incinte violentate e sgozzate, bambini trucidati e vecchi falciati al suolo.
Ruberie, chiese invase e saccheggiate, i loro tesori rubati, quadri e statue trafugate, monumenti abbattuti, libri bruciati, scuole chiuse per decreto. La fucilazione di massa divenne pratica quotidiana. In dieci anni, dal 1861 al 1871 circa, 900mila cittadini furono uccisi su una popolazione complessiva di 9.117.050. Mai nessuna statistica fu data dai governi piemontesi. Nessuno doveva sapere che si stava perpetrando ai danni di un popolo, pacifico e che mai aveva mosso guerra contro altre popolazioni, il più grande genocidio e la pulizia etnica della Storia del nostro paese.
Se sembrano parole forti, basti pensare che nel censimento del 1861 i padri della nostra demografia, Cesare Correnti e Pietro Maestri, scoprirono che con l’arrivo delle truppe sabaude, in una manciata di mesi, la popolazione dell’ex Regno delle due Sicilie era diminuita di circa 120mila unità.
Giovanni Manna, ministro dell’Agricoltura, industria e commercio (1862-64), nella sua relazione presentata a Vittorio Emanuele II, ultimo re di Sardegna e primo re d’Italia (che però conosceva solo il francese e la lingua italiana dovette studiarla, con risultati discutibili), scrisse: ”Nelle nuove province che abbiamo conquistato, per il grande atto del nostro rinnovamento, la guerra…” per giustificare i 458mila abitanti in meno di quanti dovevano essercene.
Alcuni giornali stranieri pubblicarono delle cifre terrificanti: dal settembre del 1860 all’agosto del 1861 vi furono 8.968 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti, 22 frati, 60 ragazzi e 50 donne uccisi, 13.529 arrestati, 918 case incendiate e 6 paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati. All’estero doveva apparire tutto tranquillo e mai giornalista fu ammesso a constatare ciò che stava accadendo nelle province meridionali.
Alla luce di tutto ciò, il 13 Febbraio possa diventare veramente il giorno della memoria in cui tutti ricordino il sacrificio dei nostri antenati che persero la vita per difendere la nostra terra dagli invasori piemontesi. Diversamente, gli antenati rimarranno per sempre “borbonici” e “briganti” destinati ad essere sepolti nella dimenticanza e nella vergogna e ai loro sterminatori ,gli “italiani”, vanno pagine di storia come eroi, monumenti, strade e piazze intitolate.
IL 13 Febbraio sia “l’anagramma” della conoscenza della verità storica che ci possa aiutare a costruire un futuro migliore. Un futuro in cui quelle atrocità non si ripetano mai più.
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13 febbraio 1861: ‘o Surdato ‘e Gaeta, in ricordo dei vinti ignoti
by Federico L. I. Federico 13 Febbraio 2021
Questo articolo atipico, per non dire anomalo, si fa precedere da una immagine di un grande artista contemporaneo, Domenico Purificato, nato a Fondi, nell’entroterra Gaetano, che volle commemorare con quest’opera pittorica di grandi dimensioni – circa tre metri per oltre due metri – l’assedio di Gaeta e la fine della monarchia dei Borbone di Napoli, la cui resa sotto le cannonate del generale savoiardo Cialdini avvenne in questi giorni di febbraio nel 1861, il tredici di Febbraio.
E quest’articolo si chiude con uno stralcio – il blocco delle ultime tre strofe di ben cinquanta strofe complessive – tratto da una lunga poesia celebrativa dell’assedio scritta da uno dei più grandi poeti in lingua napoletana: Ferdinando Russo.
Il pittore Domenico Purificato affida a una folla anonima ma fortemente simbolica, fatta di commedianti, regnanti e regnicoli, che si accalca intorno al corpo senza vita di Pulcinella, simbolo forte della Napoletanità, profonda e radicata nei secoli, del Regno più antico d’Europa, il Regno di Napoli, cancellato dalla Storia senza una dichiarazione di guerra, sul finire del Secondo Millennio dell’era cristiana, per una intesa trasversale tra le nazioni e le organizzazioni internazionali ostili al papato di Roma.
Il Poeta Ferdinando Russo invece affida alla straziante storia dell’io narrante di un uomo solo e disperato, Michele Migliaccio “fu Giesummino”, il ricordo degli anni giovanili in cui aveva versato il sangue, perso un braccio e quasi perso un occhio per “Franceschiello” che lo aveva premiato con una medaglia al valore.
Di Re Francesco II di Borbone poi Michele tesse le lodi dicendo, tra l’altro: ‘O chiammavano scemo e Lasagnone, ma annascunneva ‘o core ‘e nu lione!
E qui mi fermo con il mio commento, lasciando definitivamente la parola a Ferdinando Russo, anzi al valoroso Michele Migliaccio, il vinto finito all’Ospizio dei Poveri.
Per il resto mi limito a lasciare alla libera coscienza dei lettori il doveroso ricordo dei vinti ignoti, nell’anniversario della resa di Gaeta, limitandomi a ricordare ad essi che la Storia, quella con la Maiuscola, la scrivono i vincitori. Sempre.
(Stralcio, tradotto per i non Napoletani, da: ‘O Surdato ‘e Gaeta, di Ferdinando Russo)
… Mo’ passo ‘e juorne a ricurdarme ‘e fatte
… Ora passo i miei giorni ricordando i fatti
de chilli quatto mise maleditte,
di quei quattro mesi maledetti
e veco ‘e mbomme ncopp’ ‘e ccasematte,
e rivedo le bombe sulle casematte
e sento ‘e chiante ‘e tanta ggente afflitte !….
e risento i pianti di tanti disperati.
Sa’ quant’ ‘e lloro se so’ fatte chiatte?
Ah, quanti di loro si sono rifatta una vita agiata…
Che ne parlammo a fa? Stàmmoce zitte!
Non paliamone nemmeno… Stiamo zitti!
Ma, sempe ca m’ avota ‘o cereviello,
Ma, quando mi pare opportuno,
io me vaso ‘a meraglia ‘e Francischiello
io bacio la medaglia datami da Franceschiello
‘A tengo comm’ ‘a na relliquia santa,
La conservo come una reliquia santa
pecchè me l’aggio mmeretata overe!
perché me la sono meritata davvero!
‘A porto ncopp’ ‘o core da ‘o Sissanta!
La porto sul cuore dal 1860!
So’ cinquantasej’ anne! E pare ajere!
Sono 56 anni! E mi pare ieri!
P’essa darria sta vita tutta quanta!
Per essa darei subito questa vita!
Sott’ ‘o cuscino ‘a stipo tutt’ ‘e ssere,
La metto sotto il cuscino ogni sera,
e quanno murarraggio, dint’ ‘a fossa
e, quando muoio, nella fossa
l’ hanno ‘a fa sta! Vicino a sti qquatt’ ossa!
la devono lasciare! Accanto alle mie ossa!
Mo sta ccà, sott’ ‘a giubba…. Che dicite?
Ora sta qua, sotto la giubba… che dite?
Pecchè me l’ annasconno ?… Embè…. Signò!…
Perché me la nascondo? Ebbene… signore…
Nun me songo spiegato ? Nun capite ?…
Non mi sono spiegato? Non capite?
Site giovene e ‘struito, mo’ ‘nce vo’…..!
Eppure siete giovane e istruito,
Io me l’ aggio abbuscata p’ ‘e fferite,
Io me la sono guadagnata per le mie ferite,
p’ ‘o vraccio muzzo !…. È na relliquia o no?
per il braccio mozzato!… E’ una reliquia o no?
E ‘a putesse purtà, sta gloria mia,
E potrei portare questa mia gloriosa medaglia
ncopp’ ‘a livrera d’ ‘a Pezzentaria?
appuntata sulla livrea della Pezzenteria?
https://www.genteeterritorio.it/13-febbraio-1861-o-surdato-e-gaeta-in-ricordo-dei-vinti-ignoti/