Raccontate perché Asia è morta, non che somiglia alla Jolie!
Si può fare un oggetto di uno spirito forte e coraggioso che continua a resistere su un campo di battaglia al fianco di cuori pulsanti nella lotta a difesa della libertà? Si rende davvero possibile soffermarsi sull’aspetto estetico di una combattente della resistenza curda, senza risalirne all’anima e tacendo i motivi per cui ha perso la vita?
Oscar Nicodemo Giornalista e copywriter
Asia Ramazan Antar aveva vent’anni. Apparteneva all’etnia curda e combatteva realmente l’Isis per difendere la propria terra, se stessa, il genere a cui apparteneva, la voglia di progresso e di libertà che le veniva dall’animo.
Asia, come altre della sua generazione, è morta sul campo di battaglia, nell’indifferenza delle democrazie occidentali pur schierate contro il nemico che le ha tolto la vita. Parrebbe logico abbastanza che gli stati minacciati dallo Stato Islamico soccorressero i curdi, bombardati anche dalla Turchia, il cui governo non ne desidera la presenza all’interno del paese e mal li sopporta ai confini. Sulla vicenda del popolo curdo, invece, regna il silenzio, in una sorta di disattenzione forzata a garanzia del disimpegno politico delle nazioni europee e della stessa ONU, che fanno davvero poco per risollevare il destino infausto e la sofferenza di genti senza uno stato proprio.
Asia ha dato la vita per una causa di speranza che riguarda un popolo intero, per migliaia di famiglie costrette a vagare per territori ostili e zone di efferati conflitti, per le donne oltraggiate e violentate da fanatici che le vogliono sottoposte e asservite, per i bambini a cui la guerra ha portato via fin troppo: parenti, casa, genitori, infanzia. Lei è morta per questo.
Eppure, per tanti media italiani il suo sacrificio si ferma a un immagine plasticamente evocativa, che ne rimanda il ricordo alle fattezze di una attrice bella e famosa, pubblicizzata dal consumismo alla moda del civile ed evoluto mondo occidentale. Asia è, per gli osservatori dei miei stivali, la “Angelina Jolie del Kurdistan”. Come se un’esistenza vissuta per sublimare l’ideale arcaico di giustezza potesse essere ricondotto a una fotografia sbiadita di una star di successo, riducendo stupidamente le fattezze fisiche della nobile guerrigliera a copia improbabile e dissimile di un’originale che si discosta enormemente dalle condizioni di sofferenza causate dalla meschinità delle guerre e dagli interessi delle nazioni. Si può fare un oggetto di uno spirito forte e coraggioso che continua a resistere su un campo di battaglia al fianco di cuori pulsanti nella lotta a difesa della libertà? Si rende davvero possibile soffermarsi sull’aspetto estetico di una combattente della resistenza curda, senza risalirne all’anima e tacendo i motivi per cui ha perso la vita?
Asia resta bellissima, troppo bella per essere contemplata da chi non sa vederne la passione di combattente e la dignità di donna oltre il corpo. Asia non finisce qui ed è troppo grande per rientrare in definizioni da marketing mediatico. Asia è memoria, presenza, sogno. E non somiglia a nessuno se non alla sua terra, l’altopiano fatale e incantevole a cui è rimasta legata per sempre.
Dedico a lei questa poesia curda:
Io vado, madre.
Se non torno,
sarò fiore di questa montagna,
frammento di terra per un mondo
più grande di questo.
Io vado, madre.
Se non torno,
il corpo esploderà là dove si tortura
e lo spirito flagellerà, come
l’uragano, tutte le porte.
Io vado … Madre …
Se non torno,
la mia anima sarà parola …
per tutti i poeti.