“Il giorno del Ringraziamento”.-Black Friday

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 Due anni fa avevo pubblicato a puntate su La poesia e lo spirito Blog una mia novella ambientata nel periodo del Thanksgiving statunitense, dal titolo “Il giorno del Ringraziamento”.
Per ricordare che il Black Friday è una brutta tradizione, vi ripropongo qui il mio testo, completamente gratuito :) Buona lettura!

Monica Mazzitelli

https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2017/12/06/il-giorno-del-ringraziamento-ultimo-capitolo-con-pdf/

 

MINICA

“Il giorno del Ringraziamento” – Ultimo capitolo
Pubblicato su 06/12/2017 da Monica Mazzitelli

il-giorno-del-ringraziamento-pdf  qui Il giorno del Ringraziamento pdf. – Testo e immagine di Monica Mazzitelli]

13.

Samuel e Jeff erano usciti da un po’. Il fuoco si stava addormentando, le braci ferme. James si era versato l’ultimo goccio di caffè dalla moka ormai fredda, una scusa per restare ancora a parlare.
Francesca aveva appoggiato le gambe sulla sedia di fronte alla sua e aveva le spalle appoggiate a metà dello schienale, rannicchiata e comoda. Con l’indice accarezzava lo stelo del suo bicchiere quasi finito. Dovevano essere le due, tra poco la pendola l’avrebbe scandito.
«Come stai?» le chiese.
«Adesso bene.»
«Ti dispiace che partiamo domani?»
Si sollevò sulla sedia per rispondergli, prendendo un lungo respiro attraverso le narici. «Devo dire di sì. Stavolta non ho la solita sensazione che “è stato bello ma è ora di tornare in possesso della mia casa”. E della mia solitudine, ovviamente.»
«In effetti è un luogo un po’ sperduto questo, non trovi? Non ti mette malinconia?»
«No… non fino ad oggi, almeno.» sorrise lei «Quando ho voglia di compagnia scendo giù al paese e vado a salutare qualche amico, oppure sono loro a chiamarmi per venirsi a bere un caffè o mangiare un boccone.»
«Beh me lo immagino! Se gli fai dei pranzi così… io verrei qui tutte le domeniche!»
«In effetti una domenica al mese di solito tiro una sfoglia e chiamo un po’ di amici per le fettuccine.»
«Ma sono sempre gli stessi?» esitò James «C’è qualcuno in particolare che…»
Francesca si sentì arrossire mentre rispondeva che no, non c’era nessuno in particolare. Restarono un po’ in silenzio, James chiedendosi perché le avesse posto una domanda così diretta e imbarazzante. Ma tra amici si poteva anche fare, no? Lei sapeva così tante cose di lui, anche cose di cui lui non aveva alcuna idea: gli era rimasta appesa dentro la domanda su quale vantaggio − anzi lei l’aveva anche definito “tornaconto” − lui avesse ottenuto dall’essere ubbidiente.
Non si sentiva più infastidito da quella domanda. Sapeva che lei gli avrebbe saputo chiarire perché, se non ci fosse arrivato da solo, e che sarebbe stata una spiegazione semplice e cristallina; disarmante. Qualcosa che l’avrebbe stupito e che lui avrebbe poi lasciato scendere lentamente dentro lo stomaco, senza che gli facesse del male. E che se ci avesse dormito su sarebbe stato ancora meglio. E quando questa cosa fosse entrata a far parte del suo sistema si sarebbe sentito più leggero e armonioso. Meno impaurito, di sé e di lei.
«Vuoi sapere quella cosa di prima, quella del tornaconto a essere ubbidiente?»
Francesca sorrise «Ci hai ripensato?»
«No, lo sto facendo adesso.»
«Pensi che fosse una domanda utile?»
«Utile e irritante come tutte le tue domande. Se vuoi ci rifletto e te lo dico.»
«Senti James, questi giorni ho esercitato alcuni miei aspetti professionali, qui. Sono cose che metto in conto di fare quando organizzo questi weekend, fanno parte innominata del pacchetto. Ma adesso avrei voglia di non farlo.»
«Ma certo scusami!» le rispose imbarazzato «Non vorrei mai che tu pensassi che io volevo sfruttare una tua competenza per…»
«Guarda, niente del genere. È solo che vorrei uscire da questo “ruolo” adesso. Almeno ora, qui con te. Vorrei evitare livelli dispari, tra noi.» fece una pausa «Anche perché mi sento stanca come non mi sentivo da tempo. Stanca di… molte cose. E vorrei tirare il fiato.» concluse con un sorriso debole.
James le sorrise «Come ti capisco. Sono arrivato distrutto qui, lo sai meglio di me. Ho usato questi giorni per svuotarmi di molte cose. Lasciar cadere i pesi mi ha impaurito, l’hai visto, ma da stasera inizio a comprendere che era l’unico modo per ripartire con la mia vita. Forse ho capito che devo pensare solo a me stesso, anche se voglio far felice qualcuno. Che devo lasciare le persone libere. E restare libero anche io. Non cercare di controllare ma lasciare scorrere, accettare quello che la vita ti mette sul piatto.»
«Il che significa anche avere il coraggio di mangiare le cose buone però, sapendo che nel momento stesso in cui le mangi, le consumi anche.»
«Sì, beh, per questo mi devo ancora attrezzare un po’.» sorrise lui.
«Sapessi io!» sorrise Francesca.
James scoppio a ridere «Allora non sei Mary Poppins, neanche tu!»
«Ma scherzi? Sono solo molto consapevole, e ho fatto molta strada, certo, ma devo affrontare le mie difficoltà ogni giorno.»
James annuì e restò un po’ in silenzio a riflettere. Francesca prese un’espressione assorta, continuando a passare l’indice sullo stelo del bicchiere. Poi James si alzò e le venne vicino. «Vado a nanna ora, tu?»
«Sì, anche io. Finisco di sparecchiare e vado.»
«Ti aiuto allora.»
Portarono tutto di là, senza dirsi altro. Poi lei iniziò a spegnere le luci una ad una, prima in cucina poi in salotto, lasciando accesa solo quella esterna per Jeff e Samuel. La pendola batté le due e mezza.
James la aspettava ai piedi delle scale, con la testa leggermente inclinata da un lato. Mimando un inchino le diede la precedenza per salire e la seguì. Arrivati davanti alla sua porta le chiese se anche la sua camera avesse la vista sul lago.
«Dici la stanza dove dormo in questi giorni o la mia stanza abituale?»
«Perché? La lasci agli ospiti? Ma dai!»
«Occasionalmente, se sono più di cinque. Con l’aggiunta di Samuel ho dovuto farlo.»
«E non ti dispiace?»
«Dipende dall’ospite. Questa volta è andata bene.»
«Chi era?»
Francesca sorrise «Tu James.»
«Oh no! Ti ho cacciato io dalla tua stanza, che brutto… mi dispiace! Vieni dentro, per favore!» le disse, senza molta logica.
Francesca entrò con un sorriso trattenuto e si mise davanti alla finestra a guardare il buio, le dita appoggiate contro il vetro. Fuori era molto freddo, non potevano essere più di cinque gradi. James accese la luce accanto al letto e poi andò verso di lei. «Vuoi dormire qui stanotte?» le chiese.
«Ma no figurati, sto benissimo nell’altra stanza, e poi ti pare che ti mando via?»
James si avvicinò appoggiandole le mani intorno alle braccia, appena sotto le spalle «Vuoi dormire qui, con me, stanotte?»
Era così serio, i suoi occhi di un blu ancora più profondo, quasi viola. Francesca si sentì senza forze, trasformata in acqua. Voleva dirgli di sì ma non riusciva a rispondere, lo guardava negli occhi e basta.
«Quella cosa di mangiare le cose buone e essere disposti a perderle… Senti, io non so cosa sia una cosa buona da mangiare per te Frances. Non so se un uomo di una quindicina d’anni più grande di te – facciamo diciassette? – che si è comportato come un vero rompicoglioni per tre giorni, possa essere nel tuo novero delle cose buone. Ma se per caso lo fosse voglio chiedertelo: vuoi fare l’amore con me, adesso?»
Francesca sentì un risucchio che aspirava frammenti nel suo petto, il viso serissimo «Non sono sicura che mi ricordo come si fa.»
James scoppiò a ridere «Forse neanche io.»
Lei gli allacciò il collo con i polsi, lui la sollevò da terra e la portò fino al letto. Ci caddero sopra con un sospiro, ci fu un bacio e poi un singhiozzo, e poi molti altri baci prima che fossero pronti a spogliarsi. E tutto il tempo mentre Francesca sentiva la bellezza di non avere una volontà precisa e rabbrividiva nella sensualità della sua resilienza, James sceglieva per entrambi intuendo i loro desideri.

Francesca si scostò leggermente da lui per far passare aria più fresca tra le loro lenzuola, ma James le cinse le ginocchia con la gamba, senza svegliarsi. Allora lei fece scivolare per terra il piumino lasciando solo la coperta leggera, perfetta per il loro calore. Sentì che si stava riaddormentando quando le ruote di una macchina sgranocchiarono il ghiaino del parcheggio. Jeff e Samuel. Chioccia felice di tutti i suoi pulcini sotto il tetto.
Dopo un minuto il cigolio delle scale e poi il rumore di una sola porta che si apriva e chiudeva. Dovevano scelto la camera di Jeff, le parve. Pensò quanto sarebbe stato bello quando l’ocra carico di quella stanza avrebbe accolto le loro carezze e il loro piacere, pensò a quanto libero si sarebbe sentito Sam, finalmente. E che Jeff l’avrebbe fatto sentire a suo agio e bellissimo quale era. Chissà se si sarebbero rivisti ancora, se Jeff avrebbe aperto un ristorante italiano a Seattle invece che a Santa Monica. Importava davvero? C’era bisogno di un per sempre? Non bastava questo?
Si addormentò.