CERCEMAGGIORE: L’INVENZIONE DI MONTE SARACENO
Molte persone non lo sanno ma quella che solo dal 1876 chiamiamo Montagna Saracena e in italiano Monte Saraceno, è un’invenzione tutta moderna.
Sull’argomento ho dedicato un ampio periodo di ricerca e studio culminato in una pubblicazione uscita nel 2016 sulla rivista ArcheoMolise.
Per dovere di cronaca, preciso che l’altra e sola persona, ad accorgersi e accennare già che “‘a mentagne” di Cerce e Monte Pianadolfo o Piandolfo (dal toponimo di chiara origine longobarda) erano la medesima cosa, fu Luigi Di Marzo.
Stefano Vannozzi
Longa est vita, si plena est (II)
“Il cemento ideale di una comunità è formato dalla coscienza della propria cultura e dalla capacità che abbiamo di conservarla e di accrescerla” Ludovico Magrini
CERCEMAGGIORE: L’INVENZIONE DI MONTE “SARACENO”
Pubblicato il 20 marzo 2018 di stefanovannozzi
Cercemaggiore e Monte Pianadolfo (oggi Monte Saraceno), cartografia, particolare, incisione del 1789 (da Atlante geografico del Regno di Napoli […] di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni 1808).
“A fianco di Cercemaggiore è uno dei maggiori rilievi del Sannio oggi noto con il nome di Monte Saraceno, dove sono i resti di un esteso recinto fortificato di epoca sannita. Dalla sua cima, a 1086 metri di altezza, si scorge una mirabile visuale che, partendo dal gruppo del Matese, abbraccia la catena abruzzese delle Mainarde, uno spicchio di Adriatico con le prime alture della Puglia dauna, fino ai monti dell’Irpinia.
L’italiano “saracèno” proviene dal latino tardo sarracenus o saracenus, dal greco Sa?a????? (sarakenós), secondo altri da saarquî voce araba sarqi = orientale. Nel medioevo il termine qualificava non soli gli arabi e i mussulmani ma tutti gli infedeli e i pagani, i “non cristiani” di qualsiasi origine e provenienza. Nell’accezione popolare divennero “opera saracena” tante strutture (mura, porte, ponti …) della cui origine si era persa ogni cognizione ma che per antichità e imponenza incutevano timore. È questo il caso di Cercemaggiore, dove è stato introdotto in epoca moderna il toponimo Saraceno, imposto agli antichi resti murari visibili sulla vetta del rilievo montuoso.
Molti studiosi, non approfondendo l’argomento con ricerche archivistiche e basandosi su semplicistiche deduzioni dalla tradizione toponomastica (qui non più antica, però, di quattro o cinque generazioni), hanno formulato e accreditato l’ipotesi dell’esistenza di un reale insediamento saraceno (scambiando per saraceni i resti dell’abitato sannita), talvolta con erronea associazione a notizie storico-feudali appartenenti al castrum di Monte Saraceno di Baselice (BN). Le più recenti e mirate campagne archeologiche hanno escluso ogni possibile rioccupazione in epoca post-classica o medioevale del rilievo e delle strutture ivi presenti. Se infatti il passaggio dei Saraceni è certa per l’antica Saepinum nell’anno 882, con plurisecolare conferma del toponimo di fonte Saracena e di rivo o torrente Saraceno (flumina saraceni), stessa cosa non può dirsi per Cercemaggiore. Del resto, anche il primo, sparuto abitato di epoca longobarda sulla cima del monte S. Maria di Cercemaggiore ha origine non prima del X secolo, quando il pericolo saraceno è ormai superato.
Anteriormente al XIX secolo non trovo riscontro alcuna della menzione del nostro monte in unione al toponimo Saraceno, anzi i documenti provano che dalla fine del medioevo fino all’età moderna, il rilievo è stato sempre e solo chiamato semplicemente “la Montagna”; e “‘a mentagne” è ancora oggi denominata la contrada nella parte alta del monte. Della comune e generica denominazione delle montagne molisane fa fede anche Francesco Longano quando, nella prima edizione del Viaggio per lo Contado di Molise nell’ottobre 1786 ovvero descrizione fisica, economica e politica del medesimo, scrive che: «si costuma da que’ Popoli chiamare anche montagne quelle, che rispetto alla Majella, e al Matese non sono se non che alture notabili. Tali sono la montagna di Campolieto, di Castelluccio, di Ripalimosani, Frosolone, Cerce, Gildone, ec.». L’autore rincara la dose nella successiva edizione del 1796: «In quanto ai monti, oltre al Matese e alla Maiella, che non si trovano neppure memorati dagli antichi scrittori, si fa solo menzione del monte Tiferno, il quale ha dovuto dare il nome al fiume. Si costuma però di denominare montagne anche le alture, così nella Ripalimosani chiamasi montagna una altura d’un miglio, così la montagna di Cerce, di Frosolone ed altre».
Cercemaggiore e Monte Pianadolfo (oggi Monte Saraceno), cartografia, particolare della pianta della Provincia di Molise, di Attilio Zuccagni Orlandini, tavola per l’Atlante Geografico dell’Italia, Milano, 1868, Collezione privata di Stefano Vannozzi, Roma.
Tutto origina da una croce in legno, poi detta “saracina” (con formazione di un ossimoro nell’associazione di termini contrastanti nel significato), apposta agli inizi del XIX secolo sulla sommità del monte e sostituita un secolo più tardi da una più monumentale opera in ferro, tuttora esistente. Per un chiaro processo di sineddoche, “la parte” (croce saracina o saragena) è diventata in pochi decenni “il tutto” (dalla forma dialettale di “montagna saracena” all’italianizzata forma attuale di “monte saraceno”). L’iniziativa è da ricondursi a Vincenzo Rocca (21.01.1761 – 17.03.1845), arciprete di Cercemaggiore da 1803 al maggio 1829 e futuro vescovo di Larino. L’intento del prelato era di rintracciare quelle poche notizie storiche (o quantomeno così da lui ritenute) utili a colmare i periodi bui della storia cercese, nel tentativo di dare una nobile origine anche all’istituendo convitto del soppresso convento domenicano della Libera. Il Rocca operò una ricerca delle memorie più antiche, supplendo i vuoti con personali ed erudite argomentazioni o traendo conclusioni dagli scritti del Muratori e di altri letterati, dettando epigrafi che ripercorrevano l’origine della chiesa matrice e di quella di S. Maria della Libera, fino a commentare antichi memoriali con proprie note autografe apposte a margine, aggiungendo postille e notizie prima inesistenti. È emblematico che, prima di lui, nessun testo amministrativo, religioso o storico faccia mai parola alcuna a Cercemaggiore dei saraceni! Nessuna menzione specifica appare intorno alla storia del ritrovamento della statua della Libera né nello Zodiaco di Maria di fra’ Serafino Montorio del 1715 né nel prezioso e ricco manoscritto di P. Giuseppe Pellegrino redatto nel 1719. Il Rocca (da cui attingerà a piene mani il P. Giordano Pierro per le sue narrazioni sul convento e sul territorio di Cercemaggiore) è convinto assertore della presenza di opere saracene sul monte dell’Università e in quello di S. Maria, ove è edificato il paese. Aggiunge infatti sul testo del Pellegrino: «In Cercemaggiore su due monti fabbricarono due forti, dei quali si ergono i ruderi alla giornata» e ancora poco dopo «A foli 2 a tergo si è detta l’invasione dei Saraceni causa della sepoltura della statua di Maria S(antissi)ma Vergine S(ant)a M(ari)a a Casale. Dalle tavole cronologiche stesse della Biblioteca si legge che gl’Abati Cassinesi armarono truppe come Normanni dal XI° secolo e inneggianti inscacciarono i Saraceni dal regno di Napoli». Gli fa eco centosei anni dopo lo storico domenicano Pierro, che precisa anche: «la tradizione riferisce che contro i Saraceni, che avevano occupato Cercemaggiore, abbia combattuto un Abate di Montecassino con truppe raccogliticce», fiabesca storiella in seguito raccolta e divulgata da Renato Lalli nel 1966, con il titolo La Fossa di Vallone Oscuro. Alla figura mitizzata del saraceno si attribuisce forza sovrumana: i Sarageni sono enormi giganti che si sfidano, giocando a palla dalle vette dei due monti. Il moro, il diverso, viene velocemente assorbito dalla fantasia popolare, trasformando persino fatti storici in legenda: il barone Giovan Francesco Brancia che, in un momento di rabbia, si scaglia armato contro i frati domenicani entrando a cavallo nella chiesa del convento e restandone ferito, diventa nella storia raccontata dal volgo il cavaliere saracino, armato di spada e assetato di sangue, punito dall’intervento divino. “Saraceno” è stato anche un importante circolo sportivo e socio-culturale del paese, attivo dal 1947 al 2000, e ai saraceni è l’intitolazione di una delle principali vie del paese. (…)”
Testo tratto da: Vannozzi S., La Montagna di Cercemaggiore: Da Pianadolfo a Monte Saraceno, inventio di un toponimo, in «ArcheoMolise», n. 26, anno VIII, Settembre-Dicembre 2016.
Lo studio completo e gratuito è scaricabile da academia.edu: http://www.academia.edu/32028531/LA_MONTAGNA_DI_CERCEMAGGIORE_Da_Pianadolfo_a_Monte_Saraceno_inventio_di_un_toponimo_2016_
Cercemaggiore, l’ampio pianoro sulla montagna che ha dato origine al toponimo longobardo di Pianadolfo ovvero piano di Landolfo, o Arnolfo, Adolfo… soppiantato nel 1876 dalla nuova e odierna denominazione di “Saraceno”.
Bibliografia specifica:
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Breve Analisi della Reintegra delle Montagne, e de’ Boschi dell’Università di Cercemaggiore 1806, Napoli.
D’Amora, N., Miceli D., De Muro D., Gesualdo G., Per l’università di Cercemaggiore contra il patrimonio di quell’ex barone della restituzione de’ frutti delle montagne […], Napoli, 1808.
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Musca, G., L’Emirato di Bari 847-871, Edizioni Dedalo, Bari, 1992.
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