Italia in prima linea nella grande caccia al “rifiuto” spaziale
Il problema dei detriti in orbita diventa sempre più grave. Si cercano soluzioni
Matteo Sacchi – Lun, 04/01/2021
Nessuno ci avrebbe mai pensato il 4 ottobre 1957 quando lo Sputnik 1 divenne il primo satellite artificiale messo in orbita dall’uomo (per altro orbita bassa che lo portò ad incenerirsi sull’atmosfera in due mesi e tre settimane).
All’epoca lo spazio attorno alla terra era sgombro e deserto, una landa desolata di solitari atomi di idrogeno con qualche piccolo meteorite a rompere la monotonia. Oggi non è più così, nello spazio attorno alla terra sono presenti nugoli di detriti. È il risultato delle migliaia di lanci che si sono susseguiti nel tempo.
E già da qualche anno la cosa sta diventando un problema. Si va dai satelliti inattivi sino ai piccolissimi frammenti. In mezzo ci sono anche cose più strane. Tra i detriti si possono contare anche un guanto perduto da Edward White durante la primissima attività extra-veicolare statunitense, una macchina fotografica scivolata via di mano durante la missione Gemini 10, i sacchi d’immondizia espulsi dai cosmonauti della Mir durante 15 anni di vita della Stazione Spaziale… Ma al di là delle piccole curiosità il tema è serio. Molti piccoli oggetti ad un certo punto si inceneriscono semplicemente perdendo quota ed entrando in contatto con l’atmosfera. Ma altri possono creare gravi problemi. Già nel 1991 uno Space Shuttle dovette effettuare una manovra evasiva di sette secondi per evitare di scontrarsi con un frammento del satellite Cosmos 995. Nel 2001 gli oggetti di grande dimensione monitorati in orbita dall’Esa erano già più di 9mila. Ma basta qualcosa di molto piccolo alle velocità orbitali per colpire un satellite o una navetta e danneggiarla gravemente.
Ecco che quindi si corre ai ripari, come ieri ha spiegato all’Adnkronos l’esperto di detriti spaziali dell’Asi (Agenzia Spaziale italiana) Ettore Perozzi: «La tematica dei detriti spaziali entra per la prima volta nel programma spaziale dell’Unione Europea». Dunque il 2021 potrebbe presentarsi come l’anno di svolta per il grande tema dei rifiuti. Spiega ancora Perozzi: «In questo campo l’Italia è stata fra i 5 Paesi europei che hanno iniziato le attività di monitoraggio degli oggetti spaziali, che siano satelliti o detriti» evidenzia Perozzi. Si tratta soprattutto di progettare in modo diverso le nuove missioni: «ogni volta che si studia una missione spaziale, si cerca di capire la sua sostenibilità ecologica e quindi il suo impatto sull’ambiente spaziale. Per fare questo, la comunità scientifica italiana ha anche sviluppato degli indici di sostenibilità dello spazio». Le previsioni parlano in fatti di una media prevista di 990 lanci di satelliti l’anno per i per prossimi anni a livello mondiale (crisi permettendo).
Una strada su cui si muovono anche altri enti spaziali. Giusto per fare un esempio, l’Università di Kyoto e l’azienda giapponese Sumitomo Forestry hanno stretto un accordo per sviluppare il primo satellite fatto di legno, materiale che eviterebbe il rilascio dei detriti spaziali, sempre più numerosi in orbita, senza ostacolare il funzionamento di antenne o altri dispositivi. Il lancio è previsto per il 2023; dall’anno successivo, le due parti inizieranno a studiare come costruire strutture di legno in ambienti spaziali.
Esiste poi il grande problema del monitoraggio e della ripulitura dell’esistente in orbita.
Ancora Ettore Perozzi all’Adnkronos: «La prima azione da fare è cominciare a ripulire lo spazio per non far peggiorare la situazione. Bisogna cioè catturare i grandi oggetti spaziali inattivi rimuovendoli dall’orbita e riportandoli sulla terra. Questi rifiuti spaziali si devono insomma far rientrare e bruciare nell’atmosfera». Ma non è ne semplice da fare e nemmeno economico. Oggi lo sputnik rischierebbe di andare a sbattere su una nuvola di rumenta cosmica.