Ideologia inquinante
9 Giugno 2022
Cantava Giorgio Gaber quasi trent’anni fa: “L’ideologia, l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia…”. Aveva ragione. Anzi, nel nostro Paese le ideologie si moltiplicano
Augusto Minzolini
Cantava Giorgio Gaber quasi trent’anni fa: «L’ideologia, l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia…». Aveva ragione. Anzi, nel nostro Paese le ideologie si moltiplicano. Ai tempi di Gaber c’erano solo quelle di destra e di sinistra. Ora, invece, nascono come funghi: dai noi-vax ai putiniani di diversa estrazione. Ma la più perniciosa è sicuramente quella ambientalista: quando il verde dimentica il realismo e il pragmatismo e diventa un’altra ideologia come i rossi e i neri, allora i danni si sprecano.
Lo abbiamo già visto il mattino del 24 febbraio scorso quando i Paesi europei, in primis l’Italia, si sono accorti, mentre i carri armati russi invadevano l’Ucraina, di essersi impiccati al gas russo per aver fatto gli schizzinosi con il nucleare. Ieri, per coerenza, al Parlamento di Strasburgo sulle auto uno schieramento trasversale, in cui i verdi si sono mescolati con rossi e neri, ha preparato la corda per appenderci per il collo all’albero cinese: è stato bocciato, infatti, un emendamento del Ppe che prevedeva di limitare la riduzione delle emissioni per le auto entro il 2035 del 90% invece del 100%. La conseguenza è che da quell’anno non saranno vendute più auto a benzina o diesel. Ci saranno, quindi, solo auto elettriche che, per funzionare, hanno bisogno di batterie, il cui monopolio è saldamente nelle mani di Pechino. Di fatto, un calcio negli zebedei all’industria automobilistica italiana ed europea (e al suo indotto) e un tappeto rosso steso per dare il benvenuto ai prodotti del dragone cinese.
Sarebbe bastato un meccanismo più graduale, ma così va il mondo. Anche perché l’ideologia, anche quella verde, non prevede compromessi: o tutto, o niente. Lo si è visto al mattino a Strasburgo quando gli ambientalisti, duri e puri, e la solita sinistra sempre attenta al richiamo della foresta, battuti su alcuni emendamenti riguardanti il nucleare e il mantenimento di alcune quote di emissione indispensabili oggi alle nostre imprese per sopravvivere, per ripicca hanno bocciato – e rinviato – l’intera riforma Ets. Appunto, l’approccio ideologico non prevede le mezze misure.
Si tratta, però, di una mentalità pericolosa che può suscitare a lungo andare una reazione. Anche perché l’assenza del buon senso, del gradualismo, di quel metodo prudente del passo dopo passo proprio del riformismo, determina grossi costi sociali. Oltreché politici. Per non aver impostato con raziocinio la nostra politica energetica, per aver detto un «no» pregiudiziale al nucleare, per aver bloccato le trivellazioni nel nostro mare in cerca di gas, la guerra in Ucraina, e le sanzioni, ci hanno costretto addirittura a rimettere in funzione le centrali a carbone. Un ritorno alla preistoria. Fra qualche anno, con le nuove regole che ci sta imponendo l’ideologia ambientalista, rischiamo di riprendere precipitosamente la strada del petrolio se per caso la Cina decidesse di invadere Taiwan. O, peggio, se la filosofia verde scoprirà di avere sbagliato i conti: cioè se si accorgerà che forse sarebbe stato più facile sviluppare una tecnologia per permettere alle auto di consumare meno, che non smaltire milioni e milioni di batterie esaurite e i relativi contenuti tossici. Sempreché non si decida di spedirle sulla Luna. E inquinarla.
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