I batteri patogeni viaggiano tra i continenti attaccati alIa plastica
Secondo uno studio scozzese il pellet di materiale plastico è un rifugio formidabile per alcuni microrganismi dannosi per l’uomo. Che, protetti da sole e acqua, possono spostarsi per migliaia di chilometri
di Federico Formica
Pellet di plastica ricavati da rifiuti raccolti in un centro per il riciclaggio di Berlino. Fotografia di Sean Gallup/Getty Images
I batteri del colera e dell’escherichia coli possono viaggiare per migliaia di chilometri via mare senza rischiare di essere uccisi dai raggi solari o mangiati da altri microbi. Per raggiungere la costa di un altro paese – e a volte di un altro continente – in perfetta salute scroccano un passaggio dai miliardi di minuscole particelle di plastica che l’uomo ha disseminato nel mondo. Sulla superficie di questo materiale, pensato proprio per resistere agli agenti atmosferici e per molto tempo, questi ospiti creano un biofilm nel quale riescono a convivere insieme a tante altre comunità microbiche.
Le conclusioni sono il risultato di uno studio condotto dall’Università scozzese di Stirling e pubblicate sulla rivista scientifica Marine Pollution Bulletin.
I ricercatori hanno analizzato i minuscoli detriti di plastica in cinque spiagge della Scozia scoprendo che il 45% di questi era contaminato dal batterio E coli e il 90% dal Vibrione. Entrambi possono causare problemi intestinali nell’uomo, con conseguenze più gravi sulle fasce più deboli, come bambini e anziani.
Il fatto che due batteri siano stati ritrovati in sole cinque spiagge della Scozia non deve però illudere. Richard Quilliam, primo autore dello studio e ricercatore nella facoltà di Scienze naturali nell’ateneo di Stirling, allarga il campo: “L’ipotesi è che le nostre conclusioni si possano estendere ad altre aree costiere del mondo. Ci sono inoltre molte evidenze del fatto che la plastica possa ospitare comunità di svariati tipi di batteri”, spiega via email a National Geographic Italia. Insomma, per ora i ricercatori hanno cercato solo due batteri ma l’impressione – che dovrà essere confermata da prove – è che si sarebbero potuti trovare diversi altri organismi.
Belli ma pericolosi
La ricerca aggiunge un nuovo elemento di preoccupazione per la salute dei nostri mari e dell’ambiente in generale, ma gli studiosi scozzesi si sono concentrati su un particolare detrito: il pellet di plastica. Gli inglesi le chiamano “nurdles”, per noi sono quelle minuscole perline di tanti colori che troviamo in tutte le spiagge, soprattutto in inverno quando non vengono pulite ogni mattina.
Queste perline sono i “mattoncini” di base con i quali l’industria realizza tanti oggetti di plastica, ad esempio le bottiglie e i recipienti di detersivi, bibite o vernici. Hanno la forma di minuscoli granuli per poter essere trasportati più facilmente in container dai quali, a volte, fuoriescono contaminando l’ambiente marino e costiero. Il fatto che siano così colorati e attraenti pone un altro pericolo: i bambini tendono a metterli in bocca. E alla luce dello studio appena pubblicato, per i genitori questo è un ulteriore motivo di preoccupazione. Le perline di plastica finiscono inoltre anche nello stomaco di molte specie marine.
L’incontro. “I batteri arrivano in mare in tanti modi: dagli scarichi agricoli che contengono i liquami degli animali da allevamento, oppure dagli scarichi delle nostre fogne, soprattutto in caso di forti piogge – spiega ancora Quilliam – nei paesi meno sviluppati questi batteri possono proliferare a causa di reti fognarie insufficienti. Una volta raggiunti i fiumi e, da qui, il mare, questi agenti patogeni possono entrare in contatto con i detriti plastici e legarsi a loro”.
Il ricercatore aggiunge che non è ancora possibile calcolare per quanto tempo questi batteri riescano a sopravvivere in acqua a contatto con la plastica, né per quanti chilometri possano viaggiare senza essere intaccati dal sole. Ma un progetto chiamato Plastic Vectors, finanziato dal Natural Environment Research Council e diretto dallo stesso Quilliam si è prefissato proprio l’obiettivo di scoprirlo.
Colpa del clima?
Non è facile valutare in che modo il cambiamento climatico abbia influito sulla scoperta fatta dai ricercatori scozzesi. Quilliam ammette di non averne idea, ma che il fenomeno potrebbe essere “esacerbato” dalla possibilità che la temperatura del mare continui ad aumentare: “Questo scenario potrebbe portare a una maggior diffusione di alcune nuove malattie nell’ambiente marino e delle alghe tossiche”, precisa. Non solo: fenomeni estremi come le inondazioni costiere, che portano sulle nostre spiagge grandi quantità di rifiuti plastici, stanno diventando sempre più frequenti. E la colpa è del clima impazzito.
(18 marzo 2019)